Rugby: L’Italia ce l’ha fatta

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Foto FIR

Era difficile. Pressoché impossibile, almeno se si porge lo sguardo sul ruolino di marcia degli All Blacks nel 2012. Italia-Nuova Zelanda ha visto l’Olimpico di Roma dare una pronta risposta a chi, fra gli addetti ai lavori stranieri e non solo, aveva criticato la gente della palla ovale azzurra, pubblico bollato come “calcistico” forse con troppa fretta.

Vero è che il punteggio è pesante: 10-42 è “tanta roba”, un passivo che deve far riflettere, innanzi tutto sulla grandezza dell’avversario dell’Emisfero Sud. Forse, Carter (ieri in panchina) e compagni si sono scelti – fra Scozia e Italia – i team meno temibili del filotto europeo, ma globalmente diventa sempre più dura fare risultato contro chi ha mille opzioni offensive a disposizione, difende come si mettesse in palio ad ogni fase il prestigio oltre che la pulizia nel tabellino. Ciò che spaventa, in positivo (se si ama lo sport, perché ai più forti va data lode), è che la Nuova Zelanda mai sembra sazia: c’è sempre una marea nera pronta a pugnalarti nonostante i tuoi sforzi, per quanto ti provi a resistere. Pur dopo un primo tempo non brillantissimo, nella ripresa i campioni del mondo hanno tirato fuori non gli artigli ma l’intero repertorio, costituito dal superlativo mix fra rugby al tocco e gioco cinico, abile nel tempo a destabilizzare le certezze di Australia e Sud Africa (vedi l’ultimo rugby Championship, per non parlare dei nostri “cugini” argentini), figurarsi dell’Italia.

Venendo agli azzurri, è arrivato un certo salto di qualità. Se non altro, nell’atteggiamento: chi scrive non parlerà mai di abnegazione, sforzo o impegno, sostantivi adatti a qualsiasi partita di questo meraviglioso codice di questa meravigliosa disciplina, non per forza esclusiva della nazionale italiana. Onorare Castrogiovanni e compagni solo per il petto gonfiato dinnanzi all’Inno di Mameli, o per le botte prese, significherebbe disconoscerne i veri meriti: una crescita tattica oltre che di attitudine mentale, una maturazione vista di rado perfino da chi – come Zebre e Benetton, le franchigie nostrane impegnate nella durissima Celtic League – può lavorare giorno dopo giorno. Per 70′, indipendentemente da quanto detto dal tabellone dell’Olimpico (a proposito: la marea azzurra sugli spalti è una bella lezione ad altri sport: serve eccome uno “stadio nazionale“, sul modello di Francia e Inghilterra), l’Italia ha sfoderato una prestazione degna dell’alto livello che le compete e il test match per una volta ha premiato il talento avversario prima di tutto, non l’appannamento dei ragazzi di Brunel attorno all’ora di gioco.

Degli All Star della palla ovale – splendida l’immagine di Richie McCaw e Gigi Datome che circola nei social network, due capitani veri – o della meta di Sgarbi al 26′ non parliamo, ovvero ne parleranno tutti i giornali. Era giusto necessario ringraziare l’Italia per aver praticato un rugby degno dell’avversario,  della cornice e dell’occasione. A dispetto di altre gare perse ma piene di lodi “per l’impegno“. E anche i 72.357 di ieri pomeriggio saranno d’accordo.

Questa partita ha mostrato molti punti interessanti e soprattutto abbiamo dato una bella immagine del rugby azzurro, cercando di imporre, per quanto possibile, il nostro gioco, mostrando le qualità di questa squadra. Non penso che alla fine il calo sia stato principalmente dal punto di vista fisico, ma perché ci siamo trovati di fronte ad una squadra che, tra le sue peculiarità, ha quella di saper sfruttare al massimo i punti deboli degli avversari. Quella touche sbagliata sul 23 a 10, poteva permetterci di andare in meta, di aggiungere qualche punto e di mettere un po’ di paura ai nostri avversari. Ma abbiamo perso l’occasione e, proprio perché loro sono bravi a sfruttare gli errori degli altri, abbiamo preso la meta. Questo però è l’unico episodio per il quale mi rimane un po’ di amaro in bocca (Jacque Brunel, ct Italia)

 

ITALIA-NUOVA ZELANDA 10-42 (7-13)

Italia: Masi (61′ McLean), Venditti, Benvenuti, Sgarbi, Bergamasco Mi., Orquera, Gori (56′ Botes), Parisse (c), Favaro (46′ Barbieri), Zanni (64′ Bergamasco Ma.), Minto, Pavanello (59′ Geldenhuys), Castrogiovanni (56′ Cittadini), Ghiraldini (50′ st De Marchi), Lo Cicero (50′ Giazzon). All. Brunel
Nuova Zelanda: Barrett (53′ Jane), Gear, Smith C., Nonu, Savea, Cruden, Smith A. (61′ Kerr-Barlow), Read (c), Cane, Messam, Retallick, Williams (53′ Whitelock), Faumuina (46′ Franks), Mealamu (42′ Coles), Woodcock (64′ Crockett). All. Hansen
Arbitro:. Rolland (Irlanda)
G.d.l. Joubert (Sudafrica), Allan (Scozia)
TMO: Whitehouse (Galles)
Marcatori: p.t 13’ cp Cruden (0-3), 17’ meta Read tr Cruden (0-10), 20’ cp Cruden (0-13), 26’ meta Sgarbi tr Orquera (7-13).
s.t. 4’ cp Cruden (7-16), 9’ meta Nonu tr Cruden (7-23), 13’ drop Orquera (10-23), 28’ meta Jane, tr Cruden (10-30), 33’ meta Savea (10-35), 36’ meta Savea tr Cruden (10-42).
NoteMan of the Match: Conrad Smith (NZL). Spettatori: 73.000

 

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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