Ottovolante Milan. In Italia manca equilibrio nei giudizi

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Passerà alla storia come il weekend in memoria di Astori, quello di questo triste e pazzo inizio marzo; un fine settimana che ha toccato tutti, ma proprio tutti, e sul quale il nostro Francesco Moria ha dedicato un giusto, doveroso e toccante tributo. Dello “Show must go on” pieno di pura e semplice retorica a ferita fresca avremmo fatto volentieri a meno, di Dani Alves e altri animi insensibili anche: ma adesso era giusto ricominciare, anche un dovere nei confronti di chi quel pallone su un manto verde lo ha inseguito per una vita, dedicandogli la stessa; si è quantomeno provato a farlo. E insieme al calcio giocato sono tornate alla luce le tante – solite – discussioni, argomentazioni, correnti di pensiero che questo mondo del pallone porta e porterà sempre con sé. Un Napoli che si ferma nuovamente lasciando spazio alla nuova, ma quanto mai vecchia, capolista Juventus; una Lazio vittima di un Var-non Var che contro i biancocelesti sta dando il suo peggio; una lotta retrocessione più che mai viva e ricca di pretendenti.

È stato però anche un weekend dal sapore del tutto nuovo per chi, candidatosi a furor di popolo a clamorosa meteora del calcio italiano, ha regalato vittoria, gioia e 3 punti fondamentali nella rincorsa Champions del Milan con un gol a tempo scaduto in quel di Genova. André Silva, portoghese classe ’95 acquistato in estate al costo di 38 milioni complessivi, ha deciso di scrivere un pezzo di storia e di farlo nella maniera più congenita a un attaccante. Scrollarsi quella nomea di acquisto flop nell’unico modo in cui avrebbe potuto. Con il gol. Sono qui dunque a decantare le gesta di quello che adesso sarà sicuramente l’attaccante più forte della nuova epopea Milan? Il nuovo Cristiano Ronaldo (eh già, è portoghese) o perlomeno il degno erede di quella che è la pesantissima eredità di Shevchenko e Inzaghi (ma non era Cutrone)? Nulla di più sbagliato! Gli errori sono stati, sono e saranno di altri, di tutti quelli a cui piace parlare, scrivere, commentare di calcio senza un apparente equilibrio.

Chi ha seguito, più o meno assiduamente, le vicende del mondo rossonero da quello che ormai sembra un lontanissimo e caldissimo luglio “della rivoluzione” (Presa della Bastiglia cosa?), si troverà ormai con dei conati di vomito che nemmeno un quattordicenne alla prima sbronza potrebbe soffrire. Il Diavolo è riuscito a partire da “squadra scudetto” passando per “progetto fallimentare” fino a diventare “squadra da Champions” con una facilità disarmante. A distanza non di mesi e nemmeno di settimane: a volte sono bastati giorni per il voltagabbana delle menti ben pensanti, basti ricollegarsi alla sconfitta interna contro l’Arsenal di nemmeno quattro giorni fa che avrebbe potuto compromettere tutta una stagione di un Milan tornato di colpo “fragile e inesperto” per i momenti clou.

Nessuno è scampato alla critica incessante di tifosi più o meno occasionali e addetti ai lavori; ma anche, e soprattutto, degli organi stampa. C’era chi a ottobre chiedeva le dimissioni del duo Fassone-Mirabelli, la stessa coppia che nelle settimane estive era da statua d’oro, meritevole di elogi e onorificenze di vario genere e titolo. I due un po’ ci sono cascati – evitabile magari la conferenza auto celebrativa dei famosi 11 acquisti – ma un lavoro encomiabile era stato fatto considerate le macerie dalle quali, per i più attenti, si ripartiva. Sostituito Montella erano bastate due giornate (il clamoroso pareggio di Benevento e la debacle di Verona) per bocciare definitivamente un Gattuso “grande ex giocatore ma senza esperienza” che appariva il brocco capitato per caso in quella situazione. Ha sorriso e continua a farlo ora Rino quando intervistato a più riprese deve volare basso e tenere lontani i paragoni con Conte e i grandi tattici del remoto e recente passato. Potrei citare tanti altri esempi: Bonucci, BigliaÇalhanoğlu e chi più ne ha più ne metta. Da bocciati al meglio della Serie A, in preda alle più incredibili correnti eoliche di dicerie che nemmeno Ulisse nel ritorno ad Itaca.

Ultimo – ma non ultimo e son sicuro – il giovane portoghese. Un giocatore considerato già finito. 8 gol in Europa League, ma inadatto per la Serie A. Finito, flop, bidone. Ora no; se ne sentono di tutti i colori già dal 95/o minuto di ieri sera. “Mago Silva”, “André Salva il Milan”, “Ecco André Silva”. Giocatore spacciato, fino a qualche ora fa! Lo dirà Gattuso, è nel suo stile. Non era un brocco prima, non è un fenomeno adesso. Deve lavorare, come tutti. Purtroppo questo concetto di lavoro e ambientamento è stato ormai perso in Italia, anche da chi dovrebbe averne di esperienza in merito.

Il gol di Silva mi fornisce infatti un assist. Il calcio è il mondo dei tifosi, e loro si che hanno diritto, a prescindere da quanto sia bello o meno, di salire e scendere dal carro quando e come vogliono. Ma chi, per lavoro, da voce a tutto ciò che circonda calciatori, società e ambienti, deve imparare, ancora oggi, a dare un peso all’equilibrio nei giudizi. Un equilibrio sul Milan di Gattuso, squadra che con lavoro, grinta e anche fortuna sta cercando di rimediare a un disastroso inizio; equilibrio su giocatori che non sono fenomeni se in una stagione timbrano il cartellino 30 volte e che non diventano scarsi se in quella dopo ne fanno a malapena tre; equilibrio nel giudicare una squadra che gioca il miglior calcio d’Europa che poi con due risultati storti diventa improvvisamente troppo limitata per competere per il campionato; equilibrio su allenatori che nel giro di alcune settimane passano da salvatori della patria a “da esonerare” come unica soluzione; equilibrio nel portare alle stelle e poi affossare, e viceversa. Perché a quello, fortunatamente, ci pensano già i tifosi.

Damiano D'Agostini
Damiano D'Agostini
Classe 1992, studia giurisprudenza ed è istruttore di scuola calcio. Tifoso del Milan, legato al Borussia Dortmund e al Cagliari. Appassionato di MotoGP, ama il tennis femminile e la musica di Lindsey Stirling.

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