Grazie di tutto Michael

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Nel bene come nel male, grazie di tutto. Perché anche un amante tradito conserva dei ricordi, mal nasconde le lacrime e l’emozione di fronte agli schiaffi delle vita. Dai 120mila abitanti di Chester a Liverpool, fino a Madrid e Newcastle. In più, svariate spedizioni più o meno (s)fortunate con i Tre Leoni, altro amante che tradisce, e pure spesso.

Questa Domenica il pensiero non può che andare a chi è stato grandissimo, mancando sul più bello di concretizzare. Come chi ha molto talento, in qualunque campo, ma lo spreca suo malgrado, il ragazzo che giovanissimo viaggiava a mille all’ora con la maglia dell’Inghilterra ha deluso un po’ tutti nella seconda parte di carriera, a partire da quel (maledetto) passaggio a Madrid, alla Liga Spagnola, a un sistema che in fin dei conti non lo ha voluto.

Perché tratta(va)si di un portento vero, un talento puro: chi fece ammattire l’Argentina, chi fece godere la terra di Suà Maestà, i suoi tifosi nel loro sbiadito ricordo del trionfo mondiale del 1966, poteva prendersi il mondo e lo fece. Passando, magari, per la porta di servizio: non la Champions League – quella il Liverpool la prenderà subito dopo il suo addio, scherzo del destino – né la Coppa del Mondo, ma un tris di coppe nazionali ed europee fenomenale, nel 2001 che lo incoronò pallone d’oro, simbolo del calcio inglese, bandiera della Premier League per tutto il globo.

Come scrive, in un articolo peraltro consigliatissimo e, agli occhi di chi per quel ragazzo e la sua squadra tifava, commovente, Davide Coppo su Studio: “Se la storia fosse fatta soltanto di vincitori e sconfitti, Michael Owen sarebbe certamente uno sconfitto. […] Dicono accetti le panchine con serenità e si dedichi anima e corpo alla famiglia e ai cavalli, sua grande passione. Fortunatamente la storia non è questo, e Michael Owen si può a buon titolo inscrivere nella categoria degli eroi“.

Da parte di scrive, l’onore e l’onore di mettere da parte almeno per una Domenica Serie A maschile e femminile, campionato di calcio e di basket, rugby union o rugby league: lo sguardo della memoria corre non solo all’Argentina, o alla scorpacciata contro la Germania, ma in generale all’undici con cui quella vecchia volpe di Gérard Houllier iniziò la finale di Dortmund della UEFA 2001, la finale in cui innamorarsi del Liverpool. Forse meglio anche di della Champions 2004-2005, della sua epopea: parliamo di quei Reds capaci di mettere insieme il 22enne Owen al totem Hyypiä, il pratico Murphy all’affidabilissimo Hamann, la leggenda in divenire Gerrard all’enciclopedia del football che rispondeva al nome di McAllister.

Primo inglese a vincere l’European Football of the Year dai tempi di Kevin Keegan, il giovane Michael avrebbe poi tradito Anfield, per scottarsi alla Mecca del Bernabeu, non superare l’audizione per la parabola del figliol prodigo, cristallizzarsi a Newcastle, svernare a Manchester, sponda United.

L’addio è di quelli amari, per quello che è stato e soprattutto per ciò che poteva essere: auguri per tutto, Michael, davvero. Basta rancori, basta ripicche, basta tutto: chi (anche) grazie a te si è innamorato di Stevie G e Robbie Fowler non può portare rancore, ti sarà grato sempre e comunque.

Matteo Portoghese
Matteo Portoghese
Sardo classe 1987, ama il rugby, il calcio e i supplementari punto a punto. Già redattore di Isolabasket.it e della rivista cagliaritana Vulcano, si è laureato in Lettere con una tesi su Woody Allen.

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