Home » Un dieci sacrosanto
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L’estate è quel periodo dell’anno in cui, data la mancanza di partite di calcio vere, l’appassionato tende a notare cose di cui non gli interesserebbe alcunché durante la stagione, tipo: ogni santa voce di calciomercato, le amichevoli o, ancora di più, la redistribuzione dei numeri di maglia nei maggiori club europei. Ecco allora che Google registra flussi anomali di ricerca sul nuovo numero del giovincello appena preso dal Bayern o dell’ultimo supercolpo del PSG, sbirciando di tanto in tanto il Barça, la Juventus o il Real Madrid.

Già, il Real Madrid. Una squadra dove – di solito – i dorsali dall’1 all’11 sono costantemente occupati, anche in virtù della regola non scritta della Casa Blanca per cui non è il caso di vestire numeri troppo alti, a meno di non affacciarsi momentaneamente in prima squadra dal Castilla, la formazione B delle Merengues. I 37, i 50, i 44 sono roba per ragazzini e non calciatori “veri”, nella capitale spagnola.

Del resto, al Real il club viene prima di tutto, sempre. Non esisterà mai un giocatore talmente importante per cui verrà presa in considerazione l’ipotesi del ritiro della maglia: ogni numero dei Blancos trae il suo prestigio dall’essere stato vestito da tanti campioni, non da uno in particolare. Tutto ciò vale in maniera quasi anomala per la maglia numero dieci perché… è la maglia numero dieci. Che, come sappiamo, è la meno “normale” della storia del calcio, nonché la più intrisa di fascino, mistica, tradizione, ambizione e chi più ne ha più ne metta.

A far l’elenco di chi ha vestito quella casacca lì nella capitale spagnola si diventa matti per il pantheon che si va a scomodare e che, come tutti i pantheon di livello eccelso, conta anche un paio di imbucati clamorosi tipo Lass Diarra e Robinho (ma ci piace così). Però i vari: Figo, Seedorf, Özil, Puskás, Michael Laudrup, Netzer, Prosinečki, Hagi sintetizzano piuttosto bene il concetto di trequartista in tutte le sue possibili declinazioni attraverso le varie epoche (ma soprattutto guardando agli ultimi venticinque anni) ed è molto difficile trovare un altro club che possa vantare una parata di 10 di questo livello – probabilmente ce ne sono giusto un paio, cioè il Milan e il Barcellona.

Tutto ciò per dire che il nuovo numero 10 del Real Madrid si chiama Luka Modrić. Il quale, dopo cinque anni di onorata militanza madridista e una vagonata di trofei (dieci), è stato insignito del prestigiosissimo onore, precedentemente preclusogli dalla presenza di Mesut Özil e, soprattutto, del buon James Rodríguez – trequartista eccellente che, però, nella capitale spagnola non ha mai trovato quello scintillio che avrebbe meritato, se non per fugaci momenti.

Comunque sia, la nomina del croato a numero dieci è una delle scelte più giuste e felici che siano mai state fatte da quel lato del Manzanarre. Modrić è stato un pilastro insostituibile del Real tre volte campione d’Europa negli ultimi quattro anni e, a tratti, è stato semplicemente ingiocabile, per gli avversari (cfr. l’ultima finale, quella di Cardiff. Mostruoso). Non è un dieci “classico” che vive tra le linee e per il gioco a due tocchi ma è erede diretto di quella tradizione pedatoria per cui il vero diez inizia l’azione e gioca nel cuore della squadra, in mezzo al campo, assieme ai mediani (in Sudamerica direbbero enganche, cioè collegamento tra i reparti).

A trentadue anni il croato è al vertice della sua carriera e può guardare più o meno chiunque dall’alto in basso, ormai. Il suo status tra i centrocampisti più forti del mondo non è più in discussione da anni e adesso potrà affrontare quel che resta della sua carriera forte di quest’ultimo imprimatur al suo valore che, proprio come il suo stesso ingresso nello spogliatoio e nei meccanismi del Real Madrid nonché nel gotha del calcio mondiale, è arrivato in punta di piedi.