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I Pionieri del Calcio – Il progetto Pozzo, la scissione e il compromesso Colombo

Il Gazzettino dello Sport del 26 giugno 1922 recitava: “L’altro ieri a Torino il cav. Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport, eletto dalle due parti interessate – Federazione Italiana Giuoco Calcio e Confederazione Calcistisca Italiana – quale arbitro sulle questioni controversie dei due enti, ha emesso il suo lodo, sulla spinosissima questione delle squadre da ammettersi in prima categoria, nella veniente stagione calcistica 1922-23”.

L’antefatto: il progetto Pozzo

Fin dai suoi albori il campionato italiano di calcio prevedeva una fase eliminatoria a carattere regionale, seguita da una fase finale a livello nazionale. Ma se i primi anni il numero delle squadre si era mantenuto abbastanza basso e costante, durante il secondo decennio del Novecento era cresciuto drasticamente, fino ad arrivare a 88 partecipanti nel 1921. I tempi dilatati non piacevano in particolare alle squadre più blasonate, che dovevano aspettare luglio per disputare l’attesissima finale-scudetto. Così avevano chiesto l’intervento della Federazione, affinché riuscisse ad attuare una riforma che snellisse e rendesse più avvincenti i campionati.

Il compito venne affidato al futuro commissario tecnico della Nazionale bi-campione del Mondo Vittorio Pozzo. La scelta di Pozzo fu quella di abolire totalmente il torneo regionale a eliminazione per sostituirlo con grandi raggruppamenti a livello nazionale. Sostanzialmente vi sarebbero state: una Prima Divisione a 24 squadre (così suddivise: 7 Piemonte, 5 Lombardia, 3 Liguria, 4 Emilia-Romagna, 3 Veneto, 2 Toscana); una Seconda Divisione a 48 squadre (a cui avrebbero partecipato le partecipanti al campionato di Prima Categoria 1920-21 non ammesse alla Prima Divisione); una Terza Divisione a livello regionale e una Quarta Divisione, sempre a livello regionale.

L’assemblea del 24 luglio 1921 e la controproposta delle piccole

I problemi vennero a galla quando si dovette passare dalla teoria alla pratica. Quali formazioni potevano vantare il diritto di partecipare alla Prima Divisione? Nella confusione generale le grandi squadre cercarono di anticipare i tempi: in seguito a una riunione tenutasi a Milano, firmarono un patto comune che garantiva a tutte un “posto in paradiso”. Naturalmente le squadre rimaste fuori ma ugualmente meritevoli ritenevano di essere state defraudate e consideravo nullo il patto di Milano. Capeggiate dalla Novese, decisero allora di passare dalle parole ai fatti, stilando una sorta di controproposta alternativa al progetto Pozzo.

Il cosiddetto “Progetto delle squadre minori”, firmato a Novi e a Milano, prevedeva: una Prima Categoria a 72 squadre divise in otto gironi eliminatori; una Promozione; una Terza Categoria. Inoltre si sarebbe dovuta disputare una Coppa Italia, riservata alle eliminate di Prima Categoria e Promozione. Era un torneo completamente diverso rispetto a quello ideato da Pozzo, in cui anche alle piccole veniva data una cassa di risonanza maggiore. Senza considerare che le partite contro le grandi avrebbero prodotto gli introiti che avrebbero permesso il sostentamento annuale richiesto.

La scissione nella Confederazione Calcistica Italiana

La superiorità numerica delle piccole, che avevano fatto fronte comune, non produsse alcun effetto. Anzi, creò una frattura insanabile. La situazione di stallo venne interrotta dalla drastica decisione delle società che avevano sottoscritto il patto di Milano di lasciare in massa la FIGC e di fondare una propria federazione alternativa, la Confederazione Calcistica Italiana (CCI). Il torneo prese il nome di Prima Divisione in onore della First Division inglese e riunì tutte le squadre migliori dello Stivale. Ben presto anche altre squadre, ammaliate dalle possibilità di giocare in un campionato più affascinante e ricco, fecero lo stesso percorso e abbandonarono la FIGC.

Venne adottato il progetto Pozzo quasi per intero. L’unica discordanza fu il meccanismo delle retrocessioni: Pozzo ne aveva prevista una sola e diretta, il nuovo accordo ne prevedeva invece due e che ci fosse uno spareggio salvezza con le prime due classificare della Seconda Divisione. Del progetto fecero parte anche le squadre meridionali, inizialmente estromesse, che vennero relegato nella Lega Sud.

Il Compromesso Colombo

Impoverita da questi accadimenti, la FIGC provò a ricucire lo strappo offrendo il palmo della mano alla neonata CCI. Un accordo serviva a entrambe, visto che quest’ultima necessitava della ratifica della FIFA (altrimenti le squadre affiliate non avrebbero potuto giocare partite di carattere internazionale). I vari colloqui, inizialmente infruttuosi, portarono alla decisione descritta nel preambolo: venne dato l’incarico al cav. Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport, di dirimere la questione e trovare un punto comune d’accordo.

Il lodo fu emanato il 22 giugno 1922. Venivano abolite le vecchie categorie e le squadre FIGC dovevano essere redistribuite su quattro livelli. Ci sarebbero state una Prima e una Seconda Divisione, gestite dalla Lega Nord, e una Terza e una Quarta Divisione, organizzate come campionati regionali. In Prima Divisione per la stagione 1922-23 il numero delle squadre sarebbe sceso da 88 a 56 (36 della Lega Nord, 20 della Lega Sud), per poi scendere ulteriormente a 45 nella stagione successiva. Le due vincenti dei raggruppamenti territoriali si sarebbero qualificate per la finale scudetto. Con questa riforma era alle porte la nuova era del calcio italiano.

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