Olanda, prove di harakiri. Ma alla fine è buona la prima

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Serata sulle montagne russe per Frank de Boer e l’Olanda che, però, inaugurano il proprio torneo con un 3-2 sull’Ucraina importante per due motivi: perché permette agli Orange di rispettare i pronostici del gruppo C e per il modo nel quale gli olandesi si riprendono due punti che stavano per gettare alle ortiche. A dispetto del tambureggiante movimento di opinione che in patria aveva cercato, negli ultimi giorni, di scoraggiare il Commissario Tecnico dallo schierare con un 3-5-2 gli Orange de Boer va avanti per la propria strada e, almeno per ora, vede compensata la propria fermezza.

La più grande nota lieta che de Boer si porta via dalla Johan Cruijff Arena, oltre al risultato, è la voglia di far bene: gli Orange prendono da subito le redini dell’incontro in mano e lo fanno non disdegnando di alzare moltissimo il baricentro del proprio starting-XI. Ne consegue un’Olanda costantemente in pressione sulla retroguardia di Shevchenko, che se da un lato nel primo tempo difende con ordine, dall’altro è tenuta costantemente sul chi-va-là da un’Olanda il cui predominio di campo è sottolineato anche dalla sistematica riconquista del pallone sulla trequarti ucraina che di fatto non permette mai a Malinovskyi e co. di rifiatare.

Ancora da oliare, in alcuni meccanismi, il 3-5-2 del tecnico olandese: pur se le occasioni non mancano, in particolare per Dumfries, l’Olanda pare non riuscire a sfruttare con continuità l’ampiezza che il modulo di de Boer dovrebbe garantire, con la manovra che spesso finisce per accentrarsi andando a sbattere contro la solida fase difensiva che l’Ucraina riesce a mantenere almeno per un tempo. A livello di squadra, da applaudire anche la capacità di reagire al 2-2 subito per mano degli ucraini, che in pochi minuti rimettono in piedi una gara che l’Olanda vinceva con merito: grave il black-out, cui però i ragazzi di de Boer rispondono riuscendo a riattaccare la spina.

Capitolo singoli: positive le prestazioni di quasi tutti gli Orange, dovendo fare un nome però non si può non menzionare Georginio Wijnaldum. Il neo-acquisto del Paris-Saint Germain è una sorta di uomo-ovunque per i Tulipani, e quasi inevitabilmente è l’uomo che insacca in rete il pallone che apre le marcature con uno di quegli inserimenti oramai divenuti proverbiali. Rischia di tornare a casa con molti rimpianti ma riesce a farsi perdonare Denzel Dumfries: il terzino del PSV Eindhoven getta alle ortiche due ghiotte palle gol, ma si fa perdonare con il gol della vittoria (dopo aver propiziato l’1-0 di Wijnaldum) e in generale si fa apprezzare per una spinta pressoché costante sull’out di destra.

Tra gli spunti di riflessione che la Nazionale Orange si porta a casa, ovviamente un mini black-out per i quali in una competizione lampo come un Campionato Europeo non c’è davvero spazio. L’uno-due messo a segno in apertura di ripresa induce infatti l’Olanda a mollare la presa su di un avversario che, comunque, dimostra di essere vivo per l’intera durata della gara; la testata di Dumfries (o meglio, le indecisioni di Bushchan) rende all’Olanda tre punti che sarebbe stato sanguinoso gettare al vento.

Tra i singoli, steccano Weghorst e van Aanholt: il primo, grazie all’ottima stagione al Wolfsburg, parte titolare in tandem con Depay ma, aldilà del rocambolesco gol del 2-0, è fagocitato dalla morsa di Matvienko e Zabarnyi che di fatto lo annullano per buona parte della gara. Il terzino del Crystal Palace, invece, fatica a mettersi in evidenza come il suo alter ego sulla destra Dumfries: a sinistra non affonda quasi mai e, anzi, accentrandosi scopre più volte la fascia agli affondi di un Ucraina pericolosa solo dalle sue parti.

Dopo aver mancato due rassegne consecutive (Europei 2016 e Mondiali 2018) l’Olanda riparte con il piede giusto; vincere giovedì con l’Austria vorrebbe dire ipotecare la qualificazione per gli Orange, di un Frank de Boer che, per ora, è riuscito a spegnere le critiche.

 

Michael Anthony D'Costa
Michael Anthony D'Costa
Nato a Roma nel 1989, si avvicina al calcio grazie all’arte sciorinata sui campi da Zidane. Nostalgico del “calcio di una volta”, non ama il tiki-taka, i corner corti e il portiere-libero.

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