#Dioèmorto – Cinque gol da ricordare di Maradona, il D10S rotondo del calcio

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Diego Armando Maradona per me è un frastuono, un roboante ululato della domenica pomeriggio. Quello dei tifosi del Napoli del mio paese d’origine, Sarno (provincia di Salerno), che ascoltavano “Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto” seduti al “Bar Moka” ai piedi del palazzo dove vivevo. Ero un bambino, ho vissuto El Pibe de Oro con l’udito, più che con la vista, da quando avevo 1 anno appena (era il 1984 quando l’argentino salì le scalette del San Paolo per la prima volta) fino a quando di anni ne avevo da compiere 8 (il 17 Marzo 1991, giorno di Napoli-Bari, ultima di Diego in Italia).

Ogni volta che quel grande Napoli scendeva in campo, nella Serie A più bella di tutti i tempi, si aveva la sensazione nell’aria che qualcosa di grande poteva succedere. E che alla fine sarebbe successo. Così, mentre mio padre sonnecchiava post-pranzo, mia madre guardava i programmi tv della domenica pomeriggio, io giocavo in casa come tutti i bambini e, puntualmente, venivo preso di soprassalto appena gli azzurri segnavano un gol. Non c’erano le pay-tv, si doveva attendere 90°Minuto per guardare cosa era stato capace di fare il Dìos del futbol in campo poche ore prima.

Non potevo, non riuscivo ancora a capire bene il calcio per l’età che avevo. Ma percepivo intorno a me l’aura di grandezza e di entusiasmo che coglieva le persone intorno a me. Crescendo, non lo nego, sono stato poi ammaliato da Van Basten e dal Milan degli Invincibili, il che mi ha dato tifo rossonero per la vita. Questo, però, non mi ha mai impedito, amando io profondamente il calcio, di ammirare tutte le squadre e tutti i campioni capaci di regalare magie ed emozioni. Ancor di più, se a gioire per quegli anni trionfali, erano i familiari, gli amici, le persone a me vicine e care, per le quali non potevo non empatizzare.

A quasi quarant’anni, devo fare i conti con la morte che, a dire il vero, già da molto tempo ormai mi ha svelato il suo significato, portando via nonni, parenti, qualche amico, i genitori di amici cari e via dicendo. E sapevo che anche Diego Armando Maradona, prima o poi (molto più poi che prima), avrebbe lasciato la dimensione terrena per tornare lassù, a ringraziare l’altro Dio, quello della Chiesa, per aver spinto quel pallone in porta a Messico ’86, contro gli odiati rivali inglesi. Però, come accade con tutti i grandi del nostro tempo, in qualsiasi campo si siano essi distinti, il momento della morte ci coglie e ci coglierà sempre impreparati. El Diéz ci lascia nello stesso giorno in cui diede il commiato George Best e nel medesimo addio pure di Fidel Castro. Una data, quindi, che da oggi può essere celebrata come inno al genio e alla rivoluzione. Non solo nel calcio, ma in assoluto. Diego Armando Maradona è stato dichiarato morto per arresto cardiocircolatorio alle 13:02, ora argentina, del 25 Novembre 2020 in casa sua a Tigre, nel quartiere di San Andres (una quarantina di chilometri da Buenos Aires) e non sono ancora capace di capirlo.

Per questo, farò finta che non lo sia, farò finta che è di nuovo il 30 Ottobre, quando ho avuto il privilegio di scrivere su di lui per i suoi 60 anni e decido che voglio raccontare ciò che resta nel cuore di tutti coloro, tifosi del Napoli e non, tifosi dell’Argentina e non, tifosi del calcio e non, che lo hanno vissuto. Dal vivo o soltanto in tv. Voglio raccontare, cioè, i suoi gol più belli. Ne scelgo cinque, una pochezza lo so, rispetto alle magie di cui è stato capace.

Voglio partire dalla fine, o quasi, della sua carriera, dai campionati mondiali di calcio di USA 1994. Diego Armando Maradona viene da tre anni difficili. La positività alla cocaina, riscontrata dopo quel maledetto Napoli – Bari del ’91, è stato l’epilogo della sua epopea italiana. Il Paese che lo ha tanto amato, dopo la semifinale del mondiale al San Paolo in cui l’Argentina aveva eliminato l’Italia (motivo poco serio) e dopo le intercettazioni dell’ “Operazione Cina” che lo vedevano coinvolto in affari di droga con la camorra del clan Iovine (motivo molto più serio), lo ha scaricato e con esso anche la FIFA. Resta inattivo fino al 1992, quando torna al Siviglia per una sola stagione, quindi al Newell’s Old Boys dove, però, non gioca praticamente mai.

A quel punto, però, il massimo organo calcistico mondiale ha di nuovo bisogno di lui, per vendere i biglietti di un mondiale che il popolo americano accoglie freddamente, innamorato, com’è da sempre, di baseball, football e basket. Il presidente della federazione argentina, Julio Grondona, riesce a convincerlo e lui si prepara come un forsennato, per essere al top della forma in tempo. Il 21 Giugno, a Boston, sotto una cappa di umidità e qualche goccia di pioggia estiva, l’Argentina scende in campo con le migliori intenzioni e fa un sol boccone della malcapitata Grecia. Gabriel Omar Batistuta firma una tripletta, poi, al 60’ (un numero del destino, evidentemente), Diego decide che è ora di illuminare il Foxborough Stadium: al limite dell’area scambia la palla a velocità supersonica con Fernando Redondo e con il suo sinistro lascia partire un tiro fulminante all’incrocio dei pali, sul quale il malcapitato portiere Antonis Minou nemmeno prova a lanciarsi. Palla nel sacco e urla belluine di Diego davanti alla telecamera, per ribadire che lui c’è, è tornato e vuole essere ancora protagonista. “Non se sabìa donde estaba la pelota, parecìa un flipper”, commenta Victor Hugo Morales, l’aedo, il cantore professionista migliore delle gesta maradoniane.

Catapultandoci indietro, ai vagiti argentini della sua carriera, non possiamo non immergerci in quel catino ribollente di passione e gloria che è la Bombonera, casa del Boca Juniors. Una delle case anche di Diego. È il 10 Aprile 1981, Torneo Metropolitano: una serata fredda con il campo pesante. Diego sa usare la sciabola, non solo il fioretto e lotta come un leone per tutto il campo. Con un po’ di fortuna, fornisce il pallone dell’1-0 a Miguel Angel Brindisi. Quindi, dopo che gli Xeneizes si erano portati anche sul 2-0 sempre con Brindisi, in fin di gara è servito dall’ottimo Cordoba sulla sinistra, dribbla con elementare sforzo il portiere della nazionale Fillol e deposita comodamente il pallone del 3-0 in rete. Una pura noche del diez en la cancha. Un gol che, quella notte, Morales quasi cantò con ritmo: “Ta-ta-ta-ta-ta, que sea, que sea, que sea, gol, gol, gol, gol, gol, goooool, gooool de Boca. Maradona, Diego Armando Maradona, el mejor jugador de futbol del mundo”.

E veniamo al mondiale messicano, anno di grazia 1986. Diego viene da due campionati in crescendo del Napoli: prima un ottavo, poi un terzo posto. Non basta, è ora di vincere davvero. Prima con la Selección, da cui era stato escluso a sorpresa nel 1978 e con cui non aveva potuto festeggiare il primo titolo mondiale. E che lo aveva visto protagonista, ma solo in negativo, nel 1982, con tanto di espulsione contro il Brasile e una marcatura “british” – per essere buoni – patita dal nostro Claudio Gentile.

A Puebla, il 5 Giugno 1986, con un balzo del giaguaro di sinistro, in diagonale, buca la porta di Giovanni Galli e pareggia il rigore di Altobelli in un Italia-Argentina che termina 1-1 nella fase a gironi. Nei quarti di finale, a Città del Messico, c’è l’Inghilterra da superare allo Stadio Azteca. La storia è nota e viene scritta nello spazio di 4 minuti. I 240 secondi più folli della storia del calcio. Al 51’ si incunea tra le maglie d’Albione e cerca uno scambio con Valdano, il compagno di squadra alza un campanile, ma non controlla. Lo fa Glenn Hoddle, centrocampista e futuro Ct inglese, che tenta un retropassaggio a Shilton. Su quella sfera, però, si avventa Maradona, che salta poco prima del portiere in uscita e con il pugno indirizza la palla in rete. Arbitro e guardalinee convalidano. La “mano de Dìos” decide di ricompensare così le sofferenze del popolo argentino per la sanguinosa guerra alle Isole Falkland / Malvinas. Al 55’, invece, Dio ci mette non solo la mano, ma tutto sé stesso. Entra nel corpo del Pibe de Oro e lo trasforma in divinità.

Non so come descrivere il gol più bello della storia del calcio, meglio di tantissimi che, prima di me, lo hanno già fatto. Mi affido, perciò, alla cantilena albiceleste di Victor Hugo Morales, ancora lui (direbbe Piccinini) che, grazie al Diéz, è entrato nella storia: “…la va a tocar para Diego, ahí la tiene Maradona, lo marcan dos, pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fútbol mundial, y deja el tendal y va a tocar para Burruchaga… ¡Siempre Maradona! ¡Genio! ¡Genio! ¡Genio! ta-ta-ta-ta-ta-ta… Goooooool… Gooooool… ¡Quiero llorar! ¡Dios Santo, viva el fútbol! ¡Golaaaaaaazooooooo! ¡Diegooooooool! ¡Maradona! Es para llorar, perdónenme … Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… barrilete cósmico… ¿de qué planeta viniste? ¡Para dejar en el camino a tanto inglés! ¡Para que el país sea un puño apretado, gritando por Argentina!… Argentina 2 – Inglaterra 0… Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas, por este Argentina 2 – Inglaterra 0”.

Aquilone cosmico, da che pianeta sei arrivato? La domanda del telecronista era legittima, lo è ancora oggi, perché ancora oggi non sappiamo dare una risposta. Possiamo solo dire grazie per la sua venuta in questa Terra calcistica. Finita qui? No, perché in semifinale Diego fa un altro show contro il Belgio. Prima, su assist geniale di Burruchaga, una stilettata d’esterno in diagonale, da posizione defilata e in corsa, a battere Pfaff in uscita. Poi, un’altra serpentina da mandar fuori di testa chiunque: supera in dribbling quattro difensori fiamminghi e silura ancora una volta il portiere. Doppietta e finale, poi vinta, contro la Germania Ovest. Quest’ultimo, insieme al gol contro gli inglesi, occupano il primo e il quarto posto nella classifica dei dieci gol più belli della storia della Coppa del Mondo. Nessuno, finora, è arrivato a tanto.

E veniamo, finalmente, alla sua amata Napoli, al “suo” amato Napoli. Il 3 Novembre 1985 il trionfo iridato al mondiale messicano è ancora solo un progetto da realizzare. Nel processo di crescita partenopea, Diego sta dando il suo contributo sempre più decisivo. Bisogna cominciare a dar fastidio agli odiati squadroni del nord. La Juventus, prima di tutte le altre. Quale migliore occasione, se non quella in cui viene al San Paolo da capolista e a punteggio pieno? A dispetto della sua fama di “città del sole”, quel giorno alle pendici del Vesuvio precipita una pioggia battente e il campo, lungi dall’essere trattato con le moderne tecniche odierne, è praticamente un pantano. Sugli spalti, più di ottantamila spettatori sui gradoni e sotto gli ombrelli temono la squadra di Trapattoni. Maradona no, è sicuro, irriverente, ha l’aria di sfida di chi vuole stupire. Dopo più di un’ora d’equilibrio, un lampo squarcia il cielo grigio di Fuorigrotta.

Punizione a due in area da posizione defilata sulla destra. Maradona impone ad Eraldo Pecci di toccargli la palla leggermente indietro. L’ex-torinista è dubbioso, ma, come si dice, ubi maior…. Al fischio dell’arbitro Pecci esegue, Cabrini e Scirea si avventano sul pallone, ma Diego, appena trenta centimetri più in là, disegna una parabola così dolce ed azzeccata, così precisa e rapida, che Stefano Tacconi, uno dei migliori portieri del mondo all’epoca, non fa in tempo a vedere, tra pioggia e barriera. Si tuffa, cerca invano di interrompere l’arte. Ma questa, si sa, esce dai confini di un quadro quando vuole e, quando il pallone rotola in rete alle sue spalle, sotto la traversa, lo stadio San Paolo intero esplode in una bolgia da far tremare i sismografi. Un gol pazzesco, impossibile! Napoli 1, Juventus 0. La lenta, ma inesorabile scalata al potere è cominciata. Napoli città e Napoli squadra, comandate e guidate da Maradona, puntano all’eldorado. Tacconi, dopo 35 anni, si guarda alle spalle ogni tanto, per capire come ha fatto quel genio a beffarlo così!

Il quinto è un gol che pochi ricordano, di sicuro i tifosi del Napoli ce l’hanno invece ancora bene in testa. Non è importante, non ha portato trofei, non è stato segnato contro una big. Ma in esso c’è tutto l’assoluto genio del Pibe de Oro, capace di dare tutto per sé e per i compagni del Napoli, per farli crescere e portarli al successo. Coppa Italia 1984-1985, prima fase a gironi. All’Adriatico di Pescara c’è il Napoli di Maradona, non ancora grande, ma Diego fa già effetto e i 25mila spettatori sugli spalti ne sono una testimonianza inequivocabile. I partenopei non hanno difficoltà a superare l’ostacolo, lo 0-3 è di quelli in scioltezza. Ma il pubblico presente di casa, più che la delusione per la sconfitta, non dimenticherà mai le gesta di Maradona che fa la foca contro due difensori, perde un primo rimpallo, approfitta di un controllo goffo di un terzo difensore e, questa volta, con un rimpallo a suo favore, da terra e spalle alla porta, si prodiga in una rovesciata improvvisata che coglie di sorpresa il povero portiere Pacchiarotti, messo letteralmente con il culo per terra. Gol e corsa sotto la curva partenopea gremita. Diego Armando Maradona per i suoi tifosi non si risparmiava mai.

Queste le prime fotografie che mi sono venute in mente in un pomeriggio d’autunno di profondo dolore, scritte di fretta, per non rischiare di lasciar scappare via le emozioni più dense. Sono pochi gol, lo so, lo ripeto e me ne scuso, ma, per il resto delle magie da batticuore che solo lui è stato capace di produrre, andate pure su YouTube. Ci resterete per giorni.

AD10S Diego, il più rotondo di sempre. Ci mancherai come quel calcio che non c’è già più. Anzi di più.

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

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