Gli esami non finiscono mai

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Il Milan non perde una gara di campionato da inizio marzo, ha fatto più punti di tutti in questi mesi e guida la classifica di Serie A 2020-2021. Numeri importanti e su un campione di partite vasto, il che dovrebbe escludere la possibilità di parlare di “fuoco di paglia”. Eppure, dopo ogni successo dei rossoneri, la partita seguente viene definita come “prova del nove” o “esame di maturità“, quasi a mettere sempre in discussione il reale valore di questo gruppo.

Già nella scorsa stagione, dopo i successi ottenuti contro le romane alla ripresa post-lockdown, arrivò la sfida contro la Juventus e si parlò di prova del nove per il Milan, che era già stato in grado di ottenere un doppio pareggio in Coppa Italia contro i bianconeri, giocando in entrambi i casi in 10 contro 11. Battuta con un’incredibile rimonta la Juventus, il calendario presentava immediatamente la difficile trasferta con il Napoli al San Paolo: altro esame per i ragazzi di Pioli, che pareggiarono 2-2 dimostrando grande personalità. Dopo aver affrontato Roma, Lazio, Juve e Napoli nel giro di cinque giornate (facendo 10 punti), era giunto il momento della prova di maturità, il che significava non perdere punti contro le piccole: ne seguirono tre successi con Parma, Bologna e Sassuolo. Il campionato stava per terminare, ma mancava ancora una partita densa di significato: alla penultima, a San Siro arrivava l’Atalanta. Piccolo flashback nel flashback: pochi mesi prima, nel periodo post Giampaolo ma ante Zlatan (e, a tutti gli effetti, anche ante Rebić), i bergamaschi avevano rifilato cinque pappine ai rossoneri, condannandoli a una tra le peggiori sconfitte della loro storia. Esame importante dunque per il Milan, che uscì indenne dalla sfida pareggiando 1-1, nonostante le pesanti assenze di Theo Hernández e Bennacer, rimpiazzati da Laxalt e Biglia, non esattamente due da top 11 negli ultimi anni.

Terminata la stagione nel migliore dei modi, il Milan era atteso al varco: il calendario prevedeva un inizio agevole per i rossoneri contro Bologna, Crotone e Spezia, prima del derby. Un calendario molto simile a quello dell’anno precedente, per non dire uguale, di conseguenza per gli uomini di Pioli era un bell’esame di maturità: per dimostrare di essere diventati squadra, avrebbero dovuto fare bottino pieno, vincere e convincere, per presentarsi alla stracittadina nel miglior modo possibile. Detto, fatto: 9 punti in saccoccia. Ed è allora che è arrivata la vera prova del nove, quel derby che il Milan non vinceva da tempo immemore. E il Milan l’ha vinto. Si può parlare ora di squadra pronta per la lotta di vertice? Troppo presto. Dopo il derby c’era la Roma, un bell’esame, dal momento che un’eventuale sconfitta sarebbe stato come buttare alle ortiche il lavoro fatto fino a quel momento. E il Milan con la Roma non ha perso, ha pareggiato, uscendo anche dal campo insoddisfatto, con quella sensazione che si prova quando si sa, in cuor proprio, che la partita la si poteva tranquillamente vincere.

Arriva dunque la sofferta vittoria di Udine e il ko contro il Lille: ci eravamo sbagliati tutti, la prova del nove è ora. Finalmente possiamo vedere come questa squadra reagisce ai momenti difficili. E il Milan offre una prestazione di grosso spessore contro l’Hellas, andando prima sotto di due reti e recuperando poi nei minuti di recupero, dopo una traversa colpita, due gol annullati e altre occasioni sciupate. Il Milan non è crollato, ma nelle ultime tre di campionato ha collezionato “solo” 5 punti. E allora come la mettiamo? Semplice, dopo la sosta delle nazionali c’è la trasferta di Napoli. I rossoneri non vincono al San Paolo da 10 anni, non avranno mister Pioli in panchina, i partenopei hanno solo 3 punti in meno del diavolo e, se non fosse per la partita persa a tavolino e il punto di penalizzazione, avrebbero potuto anche essere primi. In poche parole, un vero e proprio esame di maturità. E il Milan vince al San Paolo, anche se si fa male Ibra. Milan da scudetto, dunque? No, le perplessità sono ancora troppe, e indovinate un po’? Le prossime partite senza lo svedese saranno la vera prova di maturità per il Milan che dovrà dimostrare di saper vincere anche senza il suo totem, per dimostrare a opinionisti illustri come Antonio Cassano che senza Ibra i rossoneri non sono da ottavo posto.

Non finirà certo qua: anche in caso di vittorie nelle prossime uscite, il motivo principale sarà l’inconsistenza degli avversari e il calendario che va incontro alla squadra in un momento complicato a livello di defezioni della rosa. Tralasciando il fatto che per fare un grande campionato bisogna avere anche momenti in cui la dea bendata ti tende una mano, la realtà è che la fortuna tocca tutti prima o poi, ma solo chi ha la forza e la prontezza di afferrarla ne può beneficiare. La sensazione, però, è che tutta questa diffidenza stia aiutando il Milan: il continuo sottovalutare le reali potenzialità di questo gruppo gli permette di marciare non a fari spenti (sarebbe impossibile, visto il primo posto in classifica) ma quasi, senza eccessive pressioni. Chiunque stia sottovalutando il Milan, sta facendo il gioco del Milan. Dovessero i rossoneri continuare con questo rendimento fino a gennaio inoltrato, sicuramente in molti se ne uscirebbero con una delle più inflazionate frasi del momento: “Il Milan trae beneficio dall’assenza del pubblico, la prova del nove ci sarà quando la gente tornerà allo stadio”. Nel frattempo, andrebbero fatti enormi complimenti a Stefano Pioli che, non essendo uno che tende a mettersi in mostra, non si sta guadagnando soprannomi come “maestro” o affini, restando nell’immaginario collettivo il buon “padre Pio-li” o il burattino i cui fili sono tirati da Zlatan Ibrahimović.

Il Milan è ormai una realtà, ha un’idea di gioco ben precisa, segna quasi sempre due o più gol a partita e ha almeno cinque giocatori che potrebbero essere inseriti nella top 11 della Serie A (Donnarumma, Kjær, Theo Hernández, Kessié e Ibra); ha un centrocampo che funziona a meraviglia con il triangolo Kessié-Bennacer-Çalhanoğlu che, al momento, non si è dimostrato inferiore a nessuno. Oltretutto, inizia ad avere una panchina profonda: con il Napoli mancava Leão, quindi è entrato il sotituto del sostituto di Rebić, Haugue, e ha fatto gol. Sembra quasi che nessuno riesca a capacitarsi di come questo gruppo abbia fatto a crescere così tanto e così in fretta, immaginando che, prima o poi, debbano arrivare una serie di sconfitte che ricaccino in basso il Milan e lo facciano tornare nella mediocrità in cui ha vivacchiato per quasi un decennio. Quanto ancora deve dimostrare questa squadra per ottenere la credibilità che merita? Il tempo, come sempre, sarà galantuomo.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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