Perché le dimissioni del presidente della FA Clarke sono una grande lezione sul linguaggio non discriminatorio

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Era un terremoto ormai atteso nella Football Association, la Federcalcio inglese, e puntualmente è arrivato nell’arco di poche ore, nel momento in cui le pressioni della società civile hanno fatto saltare definitivamente il coperchio. Nonostante le scuse portate avanti, Greg Clarke si è ufficialmente dimesso dal ruolo di presidente della FA, concludendo il proprio mandato dopo appena un anno e mezzo. E le ragioni sono legate a una questione che in Inghilterra continua a rimanere calda, estremamente sentita nel mondo dello sport, soprattutto dopo i tanti, vergognosi casi emersi in questi ultimi anni: il razzismo e, più in particolare, del modo in cui si parla pubblicamente di alcune tematiche.

Il dibattito sulla figura di Clarke è esploso improvvisamente nel corso di un incontro con il Digital, Culture, Media and Sport Committee quando, al momento del dibattito sulle difficoltà dei giocatori omosessuali nel fare coming-out a causa delle possibili ripercussioni sui social media, ha risposto: “Se vedete che cosa succede alle calciatrici femminili di alto livello, i calciatori di colore di alto livello e gli abusi che subiscono sui social media… i social media sono un tutti contro tutti”. Ad aver scatenato le polemiche è stato il termine “coloured footballers”, subito notato dal parlamentare e membro del Comitato Kevin Brennan, che ha chiesto a Clarke di ritirare l’uso della parola “coloured”.

L’ormai ex presidente della FA ha provato subito a scusarsi, usando come giustificazione l’utilizzo del termine “people of colour” molto utilizzato negli Stati Uniti: “Sono il frutto del lavoro fatto oltreoceano, ho lavorato negli USA per tanti anni, dove era richiesto l’uso del termine “people of colour” spesso perché questo era il prodotto della loro legislazione sulla diversità e il format di “discriminazione positiva”. A volte inciampo nelle mie stesse parole”. Troppo tardi: il danno era ormai fatto. Le critiche sono state subito tante, a partire da chi combatte ogni giorno con il razzismo come il presidente dell’associazione Kick It Out, Sanjay Bhandari “Sono estremamente rammaricato di sentire i commenti fatti da Clarke. Il suo uso di un linguaggio datato per descrivere persone nere e asiatiche come “coloured” è ormai roba di decenni fa e dovrebbe essere ormai consegnato nel cestino della storia.”.

In molti, anche sui social, hanno sollevato i propri dubbi sulla distinzione tra i due termini: perché “coloured people” è discriminatorio e “people of colour” no? Semplicemente, perché per convenzione il secondo indica più generalmente “persone di colore” (o meglio, un riferimento al gruppo collettivo dei non-bianchi), il primo fa più riferimento a un “persone colorate” con senso dispregiativo. In un interessante articolo pubblicato sulla BBC (“Warning: Why using the term ‘coloured’ is offensive”) Amelia Butterfly lo spiega bene: “In UK il termine è visto all’antica e qualcosa che potrebbe dire tua nonna. Ma fa anche riferimento a un insulto razziale altamente offensivo che richiama periodi in cui il razzismo era parte della vita di tutti i giorni. Negli USA, alla luce della recente era di segregazione del Paese, è tra i termini più offensivi utilizzati per descrivere una persona nera: “veniva usata per descrivere qualcuno che non era bianco, il che poteva rendere implicita una presunta normalità dell’essere bianchi”, spiega il Show Racism the Red Card. A tal proposito, l’articolo pubblicato sul Chiocago Tribune “Why is ‘people of color’ OK but not ‘colored people’?”, Dahleen Glanton spiega che il termine “coloured” è specificamente associato al periodo delle segregazioni della metà degli anni sessanta (si pensi alle “colored-only” toilette e fontane).

Il vero problema per Clarke, però, è che i casi in cui ha utilizzato un linguaggio fortemente discriminatorio sono già stati parecchi. Tempo fa, per esempio, era stato criticato per aver fatto riferimento a presunte “differenze di interessi di carriera” tra persone provenienti dal Sud-est asiatico e altre dal mondo Africano-Caraibico quando gli venne chiesto cosa stesse provando a fare la FA per migliorare la diversità nei propri organi di governo: “Le comunità BAME (Black, Asian and Minority Ethnic) non sono una massa amorfa. Se si guarda ai massimi livelli calcistici, la comunità Afro-caraibica è sovrarappresentata rispetto alla comunità del sudest asiatico. Se si va all’IT Deprtment della FA ci sono molti più sud asiatici di Afrocaraibici. Hanno differenti interessi di carriera.”

E anche sulla questione dell’omosessualità in sé nel mondo del calcio ha fatto uscite non proprio apprezzate, parlando dell’orientamento sessuale come una “scelta di vita”: “Il vero problema è che quando finisci davanti a 60mila persone e hai deciso il lunedì che vuoi rivelare la tua sessualità (e non fare mai pressione a nessuno per rivelarla), ciò che vorrei è che  chiunque vada in campo e dica “sono omosessuale. Sono orgoglioso e felice. È una scelta di vita e l’ho fatta perché la mia vita è un posto migliore”, mi piacerebbe pensare e penso che riceva il supporto dei propri compagni nello spogliatoio”.

Insomma, le dimissioni di Clarke non arrivano certo dopo un singolo, pur grave, caso isolato, ma dimostrano quanta attenzione bisogna fare quando si parla pubblicamente di determinate tematiche. Scadere in un linguaggio discriminatorio è qualcosa di inaccettabile, soprattutto da parte di una figura pubblica, che teoricamente dovrebbe portare avanti battaglie per combattere razzismo e discriminazioni. Una lezione di linguaggio non discriminatorio esemplare, a testimoniare una sensibilità che, almeno nello sport d’Oltremanica, sembra essere in evidente crescita.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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