Due polmoni e un cuore perfetti: “O Rei” Pelè compie 80 anni!

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Edson Arantes do Nascimento nasce il 23 Novembre 1940 da papà Dondinho, mediocre calciatore, e da mamma Celeste, in piena dittatura d’ispirazione fascista di Getùlio Vargas e con l’intero mondo in guerra, ancora una volta. Vede la luce a Très Coraçoes (si pronuncia dolcemente “tresc corasoesc”), un borgo di nemmeno ventimila abitanti nello stato di Minas Gerais. Nome romantico, come sarà il suo modo di intendere il futebol, dovuto alla conformazione del fiume che bagna la città, Rio Verde, e che disegna tre curve morbide, simili a cuori. A cinque anni la famiglia si sposta a Baurù, cittadina dello stato di San Paolo e Edson (chiamato così in onore dell’inventore a stelle e strisce Thomas Edison) va a giocare subito con il Baurù Atletico Clube. Perché è innamorato del pallone come nessuno. Da bambino i suoi non navigano nell’oro, tutt’altro. Per campare, lucida scarpe e consegna la biancheria che la madre lava dietro compenso. Gioca per strada, mica con un pallone vero, ma con una sfera realizzata fatta di calzini, stracci e carta, cuciti tra loro in modo da assumere la forma più sferica possibile.

Esile e bassino, sembrava più un ballerino che un calciatore. Chiamato per questo in famiglia Dico. Ben presto, però, quel nomignolo viene soppiantato da un altro che il giovanissimo Edison odia proprio, cioè Pelè. Quattro lettere che tutto il mondo, ad ogni latitudine, imparerà presto a mettere insieme. Cosa vuol dire? Nulla, è semplicemente una presa in giro che gli altri bambini che giocano con lui gli affibbiano, perché non sa pronunciare il cognome del portierino che gioca con loro: Bilè. Quella B gli riesce difficile, sa dire solo “Pilè”. I suoi compagni di giochi cominciarono a chiamarlo così, poi Pelè… e il resto è storia. Waldemar de Brito, ex stella del calcio brasiliano, fa l’allenatore delle giovanili in quel Baurù e subito capisce che quel mingherlino lì ha un futuro davanti a sé. Così se lo carica in macchina e lo porta al Santos, quella che diventerà la sua casa per sempre. Esordisce in gara ufficiale il 7 settembre del 1956, a 16 anni ancora da compiere e segna subito, guadagnandosi, per la terza volta nella sua breve vita, un altro nomignolo: “gasolina”, cioè benzina, perché ha una velocità e un’energia infinita ed il suo serbatoio è sempre pieno. Destro, sinistro, velocità, compattezza fisica, intelligenza, personalità. È il prototipo dell’attaccante moderno e, nonostante sia 1,73m, non disdegna il colpo di testa, anzi: nella storia rimarrà la sua elevazione “eterna” su Burgnich nella finale del 1970 a Città del Messico ed il gol imperioso dell’1-0 all’Italia.

Che sia un predestinato, lo si capisce dal suo esordio con la Seleçao, il 7 Luglio del 1957 contro gli acerrimi rivali di sempre dell’Argentina. Non ha ancora compiuto 17 anni e segna il suo primo gol, anche se i verdeoro non possono evitare di perdere di misura. Così, il ct Vicente Feola se lo porta i mondiali del 1958 in Svezia. In Brasile la questione razziale, a quei tempi, era un tema rigido e teso e, sostanzialmente, la popolazione si divideva in due ceti sociali: i bianchi, borghesi o mediamente ricchi e i neri, la frangia più povera delle favelas e dei quartieri meno nobili. Di conseguenza, anche gli sport, compreso il calcio, erano appannaggio dei primi. Nel campionato brasiliano, solo il Fluminense utilizzava calciatori di colore, ma facendoli passare per bianchi. Come? Spalmando sul viso dei giocatori polvere di riso. Quindi, in quella Seleçao, solo Didì era di colore, il resto tutti bianchi. Da quel momento, però, ce n’era anche un altro: Gasolina. Feola lo manda in campo nella terza partita, quella decisiva per la qualificazione con l’Unione Sovietica. Pelè non segna, ma dà spettacolo e agevola la doppietta di Vavà, ma comincia a lasciare il segno nei quarti. Suo il gol decisivo contro il Galles, sua la tripletta in semifinale ad una straordinaria Francia, che sarà eliminata, ma con Just Fontaine terrà vivo, ancora oggi, il record di capocannoniere in una singola rassegna iridata con 13 reti.

La finale si gioca il 29 Giugno 1958 al Råsundastadion (abbattuto e rinato sotto il nome di Friends Arena) di Stoccolma, nel quartiere di Solna ed Edson ha soltanto 17 anni e 249 giorni. Ad oggi, il giocatore più giovane ad aver disputato l’ultimo atto di una Coppa del Mondo. Il Brasile asfalta i padroni di casa della Svezia, Pelè fa spalancare gli occhi del mondo con una doppietta. La prima firma è d’autore: stop, sombrero e destro al volo a battere il portiere, che bellezza! Dopo quel mondiale, il mito del calcio inadatto ai giocatori di colore crolla. Arriveranno, così, altre due Coppe del Mondo: nel 1962, in Cile, dove Pelè si infortuna gravemente nella seconda partita e ci pensa il “coloured” Garrincha a far sfracelli, e nel 1970, dove O Rei torna a dettar legge, in uno squadrone tra i più forti di sempre con Carlos Alberto, Jairzinho e compagnia bella.

Dopo il primo mondiale, sia Agnelli che Moratti provano ad accaparrarsi quel gioiello e portarlo in Serie A, l’Inter gli strappa anche un contratto, ma il presidente del Santos viene addirittura aggredito da un tifoso e la trattativa salta. Il governo brasiliano mette la parola fine nel 1961 e lo dichiara addirittura “tesoro nazionale INESPORTABILE” per trattenerlo in patria. Del resto, nemmeno il Santos, in fin dei conti, avrebbe ceduto ai miliardi italiani, perché sapeva che con quel giocatore avrebbe vinto tutto. A qualunque costo, infatti per potergli corrispondere uno stipendio adatto al suo valore, il club fece ogni sacrificio. Anche quello di sobbarcarsi faticose tournèe di esibizione in tutto il mondo. E così fu. E così vinse. Ogni incontro fruttava circa 5500 dollari all’inizio, ma, più si aggiungevano le vittorie, più Pelè segnava, più saliva il compenso, che arrivò a sfiorare cifre vicine ai 30000 dollari. Ad Edson toccava il 20%. Il 22 Novembre 1964 fece venire il mal di testa al portiere del Botafogo, Machado, trafitto per ben 8 volte nell’umiliante 11-0 finale. Con il record di marcature stabilito in una singola partita. Nel 1967, in uno dei suoi giri del mondo “raccatta-denari” con il Santos, giocò a Lagos, in Nigeria: le due fazioni che stavano combattendo, l’una contro l’altra, in una sanguinosa guerra civile diedero il “cessate il fuoco” per 48 ore, per potersi godere lo spettacolo di O Rei. Magie che solo il calcio sa rendere reali.

Il 19 novembre del 1969 è un’altra data storica per Pelè, quella del suo gol numero 1000 segnato al Maracanà su calcio di rigore: una rincorsa rapida, una finta di un nano-secondo che ferma il tempo degli spettatori presenti sugli spalti e spiazza il portiere, e la rete che causa una repentina invasione di campo e lo stop della partita, per celebrare il campione più amato di sempre. Il calciatore più forte di sempre, almeno per i brasiliani. Gianni Brera diceva di lui che aveva “due polmoni e un cuore perfetti”. Fu l’antesignano del “drible de vaca”, un numero da circo che consiste nel far passare il pallone da un lato dell’avversario e superarlo in velocità dall’altro lato, creando un senso di smarrimento che impedisce di fermarlo. Così, tra i suoi tanti gol, resta famoso anche un “non-gol” che poteva essere realizzato grazie a quel numero. Vittima, a Messico 1970, il portiere Ladislao Mazurkiewicz, che ancora sta cercando il pallone. Dopo averlo superato, Pelè cercò il gol a porta vuota in diagonale, ma clamorosamente, fallì la mira e il pallone uscì di un soffio.

Qual è il gol più bello segnato in carriera? Secondo Pelè stesso, dei 1281 gol attribuiti, quello memorabile… è l’unico che non abbiamo potuto vedere (dannazione!), segnato contro il Club Atletico Juventus il 2 Agosto 1959 allo Stadio Rua Javari: uno stop al volo, tre sombreri consecutivi (di cui uno al portiere in uscita) e il colpo di testa a porta vuota. I fortunati che c’erano ricordano che, dopo quella prodezza, i tifosi sugli spalti restarono in piedi quasi dieci minuti consecutivi ad applaudire Pelè. L’unico modo per poter apprezzare quel gol è rivederlo in un’animazione grafica grossolana che, siamo sicuri, non rende neanche la metà della sua effettiva bellezza, eppure già a vederlo così fa strabuzzare gli occhi.

Si, ma, a questo punto… è più forte Pelè o Maradona? Mentre noi ci affanniamo a capire chi sia meglio tra Messi e Cristiano Ronaldo (il primo per me, non me ne vogliate), i nostri padri avevano gli stessi dubbi tra O Rei e El Pibe de Oro e i nostri nonni, invece, pensavano a Di Stefano, invece del Pibe de Oro, perché non ancora conosciuto. A questa domanda ognuno dà la propria risposta, noi preferiamo collocarli entrambi nell’olimpo del calcio, a dominare tutte le altre divinità che siedono appena un gradino sotto. Per qualche tempo, il calcio ha dato il privilegio di poterli ammirare entrambi in attività, perché nel 1977 l’ultimo Pelé accumulava fortune ai New York Cosmos, mentre Dieguito iniziava il suo romanzo calcistico con la maglia dell’Argentinos Juniors. Quando gli astri si allineano, si dice. Come quando George Best fece un tunnel a sua maestà Johan Cruijff, per intenderci. In questo caso, però, un confronto diretto ufficiale non c’è mai stato. Purtroppo per noi comuni mortali.

Quando si ritirò dal calcio giocato, il 1 Ottobre 1977, l’allora ambasciatore brasiliano all’ONU, J.B. Pinheiro, fu eloquente: “Pelè ha giocato a calcio per ventidue anni e durante quel periodo ha promosso l’amicizia e la fraternità mondiali, più di qualunque ambasciatore”. A fine carriera Pelè è, poi, riuscito in un’altra impresa: farci innamorare anche di un gol… finto! Esattamente, la splendida rovesciata che realizza, nei panni di Luis Fernandez, contro lo squadrone nazista del film “Fuga per la vittoria” di John Huston, 1981. Un gesto così bello, sebbene creato ad arte, da essere ricordato con nostalgia ancora oggi, come lo avesse realizzato in una partita ufficiale. Fuori dal campo si è impegnato politicamente (il presidente Cardoso lo nominò ministro straordinario per lo Sport nel 1995), ha cercato di ridurre la corruzione nel calcio in patria, promuovendo una legge che fu denominata “Legge Pelè”, è stato testimonial di tantissime campagne benefiche… e si è dato decisamente da fare anche con le donne. Sul suo “curriculum” sentimentale anche un’ex-miss Brasile, Flavia Cavalcanti. E, soprattutto, tre matrimoni. La prima moglie, Rosemeri dos Reis Cholbi, è anche la madre dei suoi tre figli. Unione durata dodici anni e scioltasi nel 1978. Nel 1994 la seconda, Assiria Nascimento, e altri due pargoli. Stavolta la separazione dopo 14 anni. Cinque anni fa appena, infine, il terzo sì con Marcia Aoki, di origini giapponesi. La passione, evidentemente, non lo ha mai abbandonato.

Ok è tutta una favola… ma vogliamo parlare solo di calcio? Nudo e crudo? Allora ecco una sfilza di numeri e statistiche che chiariscono il personaggio, cominciando dal Palmarès: con la maglia del Santos 10 campionati “Paulista”, 4 Rio-San Paolo, 6 titoli del Brasileirao, 1 campionato statunitense (NASL), 2 Copa Libertadores, 2 Coppa Intercontinentale; 11 titoli di capocannoniere del Paulista, 1 in Copa Libertadores, 1 in Copa America, 1 volta MVP della NASL; con il Brasile 3 volte campione del Mondo (unico nella storia). E ancora: calciatore del secolo per la FIFA, per il CIO e per l’IFFHS (Federazione Internazionale di Storia & Statistica del Calcio), Pallone d’Oro FIFA del secolo, Pallone d’Oro FIFA onorario (unico nella storia). Il suo gol alla Svezia, nella finale del campionato del mondo 1958, è il terzo gol più bello nella storia dei mondiali (primo tra quelli realizzati in una finale), secondo soltanto a quello di Maradona contro l’Inghilterra a Messico ’86 e a quello dell’inglese Michael Owen all’Argentina a Francia ’98. Gol totali? La Fifa lo premia con 1281 sigilii in 1363 partite, anche se le gare ufficiali, stando alle attuali statistiche, si assestano a 821 con 761 gol. Ha segnato 5 reti in una sola gara per 6 volte, firmato un poker per 30 volte e realizzato triplette 92 volte. Massimo realizzatore in campionato (608 gol) e in competizioni nazionali (657). Massimo cannoniere con un’unica maglia (571 gol nel Santos), maggior cannoniere nella storia della Seleçao (77 gol in 92 presenze). Unico ad aver segnato più di 70 gol tra club e nazionale nell’arco di una singola stagione per due volte (1958 e 1965). Vi gira la testa dopo tutti questi numeri?

Inserito dal settimanale statunitense TIME tra i 100 eroi e icone del XX secolo, ha detto di sé stesso: “Quando morirò e andrò in Paradiso spero di ricevere la stessa accoglienza che ho avuto qui sulla Terra in vita dalla gente, grazie al nostro amato calcio”. Buon compleanno Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè: 80 anni da leggenda che vogliamo celebrare qui, in questa vita, ancora a lungo!

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

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