“Sei una bambina o un bambino?”. La lettera aperta di Cizeron è un inno al coraggio

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Nella giornata dedicata alla lotta contro l’omofobia, il pattinatore francese Guillaume Cizeron ha deciso di postare una foto su Instagram con il proprio compagno, annunciando così pubblicamente la propria omosessualità. Argento olimpico nella danza del pattinaggio sul ghiaccio a Pyeongchang nel 2018 con Gabriella Papadakis e campione mondiale ed europeo in maniera quasi ininterrotta dal 2015 al 2019, l’atleta ha lasciato all’Equipe una meravigliosa lettera per far sentire la propria voce. Con la sua storia che è stata messa oggi in prima pagina del quotidiano francese.

“Sei una bambina o un bambino?”, mi domandavano i miei compagni di classe quando ero piccolo. Seguivano generalmente risate e prese in giro degli altri studenti. Ero una bambina o un bambino? La domanda non mi sembrava così incongruente. Da giovane, mi ricordo di essermi interrogato spesso sulla mia identità e mio genere. Mi ricordo di aver chiesto a mia mamma: “Mamma, sono una bambina o un bambino?”

Certo, non ero ancora in grado di comprendere o formulare le mie domande, ma avevo la sensazione di essere differente. Differente dagli altri ragazzi. Ero terrorizzato all’idea di essere nato dentro il Corbo sbagliato, per tanto tempo non ho saputo che essere gay fosse una possibilità, pensavo semplicemente che qualcosa non andasse in me. Non voglio incoraggiare gli stereotipi, ma sono sempre stato più incline a giocare con bambole, travestimenti e trucco. Molto presto, ho capito che i ragazzi non “dovevano” giocare con le Barbie. Quindi, ho smesso. Mi sedevo sul letto, guardando le mie due sorelle  vestire le loro bambole.

Alle elementari, mi trovavo spesso da solo, non volevo giocare a calcio con gli altri bambini e alcuni giorni, le mie compagne volevano restare solo tra ragazze. Allora mi sedevo a un angolo e attendevo disperatamente la campanella della fine della ricreazione. Al college, passavo molti intervalli in bagno, a nascondermi per non essere torturato o non dover subire l’umiliazione della solitudine. Ero un ragazzo estremamente timido e terribilmente sensibile, non rispondevo quasi mai agli insulti. Frocio, finocchio, checca e così via. Gli insulti ritmavano la mia giornata e diventarono presto delle piccole melodie malsane nel sottofondo dei miei pensieri. L’assuefazione è il frutto dell’intimidazione, ci si abitua alla violenza, diviene normale. E ben presto, si finisce per credere che ce la si meriti. Quelli che come me sono stati portati a credere che non meritavano di esistere, devono costantemente lottare contro questa versione di se stessi modellata dagli altri.

Ancora oggi mi capita a volte di dovermi autocensurare delle mie azioni, smorfie o parole, per imbarazzo o per paura di non piacere. Da anni, provo a fare un lavoro dentro di me che consiste nel riscorre e accettare le parti di me che ho nascosto, sepolto, soppresso. Ogni essere umano possiede dentro di sé una parte di mascolinità e di femminilità, che lo voglia o no. Personalmente, coltivo e celebro entrambi, sia nella vita che sul ghiaccio. Le due energie sono complementari e mi diverto a trarre qualcosa da una o dall’altra a seconda dei ruoli che metto in mostra quando ballo sul ghiaccio.

Perché parlare di tutto ciò oggi, mi chiederete. Sto riflettendo su questa domanda da mesi e dopo averne parlato con i miei cari, ho realizzato che le mie parole avrebbero avuto il potere di aiutare qualsiasi persona ad amarsi meglio, accettarsi e per questo valeva la pena parlare. Oggi, nonostante gli enormi passi avanti fatti nel cammino verso la tolleranza, la lotta non è ancora finita. Ritengo che il mio silenzio non sarebbe servito alla causa e sarebbe stato più sinonimo d”indifferenza che di presa di posizione. Anche se la mia convinzione è che una vera convinzione significa non doversi ritrovare a fare una dichiarazione, visto che un eterosessuale non ha mai dovuto svelare il proprio orientamento.

In un mondo ideale, nessuno dovrebbe avere bisogno di giustificare le proprie attrazioni sessuali o romantiche. Come qualcuno a cui tengo molto mi ha detto molte volte: “Tu meriti di essere amato. Semplicemente perché tu esisti”. Ciascuno merita amore e dignità, e poco importa se questo si identifichi in un uomo, una donna, o nessuno dei due; poco importa che ci si senta attratti da un uomo, una donna o entrambi. Noi vogliamo semplicemente lo si lasci vivere tranquillamente, con il rispetto, l’amore e i diritti che noi meritiamo. Ma, in attesa che questo mondo si realizzi, vorrei che le persone che si riconosceranno nella lettura delle mie parole sappiano che non sono soli. Il modo in cui siamo trattati non deve definire ciò che diventeremo o i successi che avremo. Difendere la propria dignità e coltivare la propria ricchezza interiori sono le chiavi. 

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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