Verso #Euro2020 – 1984 – Le “carrè magique” di Hidalgo e “Le Roi” Michel Platini: in Francia nasce il “calcio champagne”

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La storia del primo campionato europeo disputato in Francia nel 1984 comincia settant’anni prima in un piccolo comune della provincia di Novara, Agrate Conturbia, una vecchia provincia dell’Impero Romano. Da lì, nel 1914, partono verso la Francia cinque fratelli che di cognome fanno Platini, con l’accento sulla prima “i”. Tre maschi e due femmine, che però non trovano ciò che speravano in terra d’oltralpe e, così, quattro di questi tornano presto in Italia. L’unico a restar lì è Francesco, con la sua sposa. Lavora da muratore prima e investe i suoi guadagni poi nel “Cafè des sportifs” nel centro del piccolo borgo di Joeuf, dipartimento della Meurthe e Mosella. Tra i suoi figli c’è Aldò (ormai da pronunciare con l’accento sulla o) che ha la passione per la matematica e per il calcio, gioca da centrocampista. Non diventa professionista, ma nel 1955 a lui e Anna, la sua signora, nasce il secondogenito, Michel. Un predestinato. È lui il primo dei due protagonisti di questo racconto.

E infatti è Aldò il suo primo allenatore, sa che il figlio diventerà un campione. Propensione naturale per lo sport e gran coordinazione nei movimenti a corpo libero. La statura può essere un problema. Bassino, i compagni lo prendono in giro, lo chiamano le Ratz (il topino) o le nain (il nano). A 14 anni va a Parigi ad una kermesse con tutti i giovani migliori di Francia. Il vento gli disturba il provino, che va male. Gli istruttori gli regalano un biglietto per il Bateau-mouche, per la Tour Eiffel e per la finale di Coppa di Francia: Bordeaux-Marsiglia (18 maggio 1969, 2-0). E arrivederci e grazie. Cresce con i miti Laszlo Kubala e Johan Cruijff e si fa chiamare “Pelèatini” con un guizzo di superbia che poi dimostrerà ampiamente di meritare.

La prima squadra di Michel è il Nancy e fa talmente bene che la lascerà da miglior marcatore di tutti i tempi. Il 13 Maggio 1978 vince la Coppa di Francia con un suo gol: Nancy-Nizza 1-0. L’anno prima ha già messo la sua impronta anche sulla nazionale, segnando contro la Bulgaria uno dei gol che vale la qualificazione ai mondiali d’Argentina. Passa al Saint-Etienne che in Ligue 1, all’epoca, è la vera big del campionato. Tre anni prima ha disputato la finale di Coppa dei Campioni, persa contro il grande Bayern Monaco in maniera anche sfortunata. È, perciò, una squadra di grande spessore. E, infatti, Michel conquista il titolo di campione al secondo anno.

Nel frattempo Artemio Franchi, presidente FIGC e UEFA, decide nel 1977 di riaprire le frontiere della Serie A, dopo la disfatta del ’66 contro la Corea. Platini aveva firmato un pre-contratto con l’Inter nel 1978, ma la vera riapertura si avrà soltanto nel 1981, così Michel resta parcheggiato in Francia. Quando è il momento, però, i nerazzurri non esercitano l’opzione e piombano su di lui Arsenal e Juventus. Michel studia per cinque mesi l’inglese, è convinto che sarà un “Gunner”. Ma nel 1982 c’è la maglia a strisce bianconere nel suo futuro e lo si viene a sapere in modo curioso: dall’aeroporto di Lione, una delle torri di controllo chiama una radio francese e dice di avere schedulata una richiesta di decollo per un Cessna, volo privato, destinazione Torino. Dentro c’è Michel Platini. Lo viene a prendere l’autista di Agnelli con la limousine, va in sede e incontra Boniperti. Da lì, è storia che tutti sappiamo.

E veniamo al secondo protagonista. Quando Michel Platini nasce, nel 1955, Michel Hidalgo vince il campionato francese con lo Stade de Reims e l’anno successivo arriva in finale di Coppa dei Campioni. Studia la bellezza, perciò, dal favoloso Real Madrid di Di Stefano, Gento e Rìal. Segna pure un gol in quella finale, ma soccombe 4-3. Il nome non tradisce le origini, il padre è spagnolo e fa l’operaio metallurgico, la madre è parigina e lui nasce a Leffrinckoucke, a 15 km dal confine con il Belgio. Il confronto Francia-Spagna lo segna, evidentemente, fin dai primi vagiti e sarà nel suo destino. Dopo aver vinto da giocatore, sarà il grande selezionatore della Francia campione d’Europa e guiderà i galletti in 76 partite, di cui 10 ai mondiali, 5 agli Europei e 18 di qualificazione. Non solo calciatore e allenatore di successo, ma anche abile sindacalista che guida la rivolta dei calciatori contro i contratti a vita e ottiene la libertà di quelli a tempo determinato. Una prima rivoluzione che metterà sempre di più i calciatori al centro del potere contrattuale in sede di mercato.

Hidalgo plasmò come Prometeo, a sua immagine e somiglianza, un gruppo di giovani che si sarebbe fatto valere e non rubò mai loro il fuoco del talento per irrigidirlo dentro schemi cervellotici. Subì un tentativo di sequestro poco prima del mondiale del ’78, ma riuscì a disarmare e mettere in fuga i rapitori. Un gruppo di contestatori che condannavano l’ipocrisia del governo francese nel vendere le armi al regime dittatoriale di Videla. Stessa sorte subìta da Johan Cruijff che, non a caso, a quel mondiale non partecipò, mentre Hidalgo decise di andare. Nell’’81 affida la fascia di capitano a Platini, il talento su cui costruire la leadership di un gruppo che dovrà maturare sotto i dettami del bel gioco.

Lo stile è subito riconoscibile: densità fluida di passaggi, improvvise verticalizzazioni, trame costruite con l’appoggio del centravanti. Una manovra “effervescente”, impossibile da contenere nell’ipotetico “calice” del rettangolo verde. Nasce il “calcio champagne”, Hidalgo ne scrive lo spartito ispirandosi alla grande Olanda di Cruijff. Mette allegria e bellezza negli occhi di chi lo osserva.

La chiave del gioco è il quadrilatero di centrocampo, “le carrè magique”. In matematica, il quadrato magico è una disposizione di numeri positivi che, scritti e incastrati in una tabella, sommati da qualsiasi lato li si osservi, producono sempre il medesimo risultato. Il valore di quelle somme è detto “costante magica”. E nella Francia di Hidalgo, le somme dei valori tecnici di ogni singolo elemento danno sempre lo stesso esito: spettacolo. Giresse è il pensatore, detta i ritmi e i tempi del gioco; accanto a lui Fernandez, il mastino con i calzettoni alle caviglie che non lascia passare il nemico; Tigana è la mezz’ala peperina che s’inserisce a tradimento tra i difensori. E c’è Michel, il genio, che semplicemente… decide le partite. Con un gol o una giocata che dà l’assist al compagno. Attorno a questo quadrato, ruotano gli altri comprimari, in realtà eccellenti interpreti del progetto francese. La Francia si scopre calciofila guardando quello spettacolo di bellezza, molto simile ad un balletto del Bolshoi.

Hidalgo ha un dialogo con i calciatori costante, anche dopo la cocente delusione della notte di Siviglia del Mondiale 1982, quando il cammino dei Bleus si arresta in semifinale contro la Germania. Un suicidio, visto che conduce 3-1 nei supplementari e si fa rimontare fino al 3-3, prima di perire mestamente ai calci di rigore. Una notte che verrà ricordata anche per l’entrataccia-killer di Schumacher, il portierone tedesco, sul povero Battiston di cui non ebbe pietà e spaccò i denti.

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Per ospitare la settima edizione dei campionati europei di calcio, la Francia fa le cose in grande ed allestisce ben 7 stadi per disputare le partite di un torneo che prevede sempre 8 finaliste, ma con 2 novità: le semifinali incrociate tra le migliori 2 di ciascun gruppo e l’abolizione della finale per il terzo posto. C’è il Parco dei Principi di Parigi ovviamente, il Vélodrome di Marsiglia, lo Gerland di Lione, il Geoffroy-Guichard di Saint-Etienne, il Bollaert di Lens, la Beaujoire di Nantes e la Meineau di Strasburgo. La grande assente, lo diciamo subito, è l’Italia. Paese ospitante dell’edizione precedente, nazionale campione del Mondo in Spagna due anni prima e, ancora una volta, Paese ospitante dei Mondiali del 1990. Un’assenza che, ovviamente, fa molto rumore. Il girone di qualificazione, non impossibile, è stato disastroso. Tre pareggi nelle prime tre sfide contro Cecoslovacchia, Romania e Cipro, quindi il crollo con 4 k.o. di fila e l’unica vittoria, ininfluente, contro i ciprioti all’ultima gara. Il 16 Aprile, a Bucarest, il giovane Ct Mircea Lucescu ci dà la mazzata decisiva battendoci 1-0 con il gol di Laszlo Boloni. È la vecchia guardia, soprattutto, a tradire. Paga del successo mondiale e, probabilmente, al crepuscolo del ciclo vincente cominciato nel 1978 non offre le prestazioni che ci si attenderebbe. Bearzot, addirittura, usa le partite finali per testare nuovi elementi in prospettiva Mondiali ’86: giocano Bergomi, Bagni, Vierchowod, Baresi, Ancelotti, Righetti e Giordano. In tutto, 6 reti in 8 gare, di cui 4 segnate solo contro Cipro e un pesante 0-3 a Napoli per mano della Svezia. Si può parlare tranquillamente di disastro. Agli Europei ci va la Romania, che supera di un punto la Svezia.

La nuova mascotte ufficiale del torneo si chiama “Péno”, un galletto che veste la maglia della Francia con il numero 84.

“Les bleus” padroni di casa, dunque, Romania come abbiamo visto. E le altre? La Spagna di Miguel Muñoz ha da ripristinare l’orgoglio ferito, dopo aver fallito clamorosamente il Mondiale ospitato in casa. Arriva a questa rassegna in modo quantomeno “sospetto”. Perché? Se la gioca nel girone con l’Olanda e l’ago della bilancia diventa la malcapitata Malta. Gli oranje vincono 5-0 e si piazzano in cima al girone con punti. Le “Furie Rosse”, sotto di due lunghezze (all’epoca la vittoria valeva ancora 2 punti) incontrano Malta quattro giorni più tardi. La vittoria è scontata, ma per superare i tulipani occorrono undici gol di scarto, perché conta la differenza reti. Detto, fatto: la partita di Siviglia finisce 12-1, e naturalmente lascia molto amaro in bocca agli uomini dell’allora Ct, Kees Rijvers. C’è anche il Belgio, finalista rivelazione dell’edizione precedente, ma arriva a questa rassegna castrato dalle squalifiche per illecito sportivo di sei suoi pilastri.

Guy Thys deve rinunciare a Gerets (milanista mancato), il portiere Preud’homme, Meeuws (reo del fallo di mano non visto da Garrido e che spedì l’Italia a casa quattro anni prima), Vadersmissen, Daerden e Plessers. La gara tra Standard Liegi e Waterschei dell’8 maggio 1982, l’ultima di quella stagione che ha permesso a “Les Rouches” di diventare Campioni del Belgio, era stata truccata. Stranamente, lo Standard Liegi non subì né la revoca del titolo nazionale né la retrocessione, a causa della prescrizione. Thys decide, allora, di affidare la squadra nelle mani di un giovane talento emergente: Vincenzo Scifo. Figlio di minatori italiani di Aragona (Agrigento) emigrati in Belgio nel ’52, poteva diventare ragioniere, ma preferì sfruttare le sue doti analitiche sul rettangolo verde e disegnare occasioni da gol per i compagni, in questo caso Vandenbergh e Coeck. Lo vedremo in Italia prima con la maglia dell’Inter e, successivamente, con quella del Torino, in quell’esaltante stagione in cui Mondonico portò i granata fino alla finale di Coppa Uefa contro l’Ajax.

La Germania Ovest si conferma solida presenza, ma sta cambiando pelle tra la vecchia generazione che ha chiuso i battenti con la finale del Mundial ’82 persa e la nuova che disputerà due finali consecutive, vincendone una come ben sappiamo. C’è la tumultuosa Jugoslavia che, da quando Tito se n’è andato, ribolle di rabbia dall’interno per una scissione che, di lì a poco, cancellerà dalla storia il Paese. Infine, il coriaceo Portogallo che è plasmato sui blocchi di Benfica e Porto e la Danimarca di Sepp Piontek, un gruppo sfrontato che si sta plasmando e che darà il meglio di sé ai mondiali messicani. Illuminata dalle intuizioni di Michael Laudrup e guidata dal pallone d’oro Allan Simonsen. Quest’ultimo, però, è vittima della sfortuna, perché lascia sul campo, nella partita inaugurale contro la Francia, una tibia fratturata che lo estromette subito dai giochi. Per la cronaca, Platini decide la sfida in modo fortunoso, a dieci minuti dal termine. I danesi riusciranno comunque a qualificarsi dietro i padroni di casa, con un percorso gemello pieno di gol ai danni di Belgio e Jugoslavia, nettamente inferiori. Le Roi Michel mette a segno nella fase a gironi ben 7 gol, conditi da due triplette. Segno evidente di chi è già padrone di quel torneo.

Nell’altro girone si assiste al tramonto della Germania di Jupp Derwall, genio quattro anni prima e, come spesso accade nel calcio, brocco adesso. Il suo gruppo non lo segue più ed è esso stesso spaccato da invidie e malumori. Alcuni giocatori sono fuori ruolo per consentire assistenza adeguata a Rummenigge, così la favola finisce ben presto. Il girone è appannaggio di Spagna e Portogallo, che chiudono in testa a pari punti, con la differenza reti che premia gli uomini di Muñoz.

Al Vélodrome di Marsiglia, il 23 Giugno, si gioca la prima semifinale, che vede opposte la Francia e il Portogallo. L’impianto è un vero e proprio fortino del tifo calcistico nazionale, che tocca la vetta massima al risuono dell’inno. Non a caso, s’intitola “La Marsigliese”, un canto dei rivoluzionari francesi che nel 1700 risuonava per le strade, intonato dai volontari provenienti da Marsiglia (da lì il nome) al loro arrivo a Parigi. Dirige la sfida l’italiano Paolo Bergamo che, suo malgrado, verrà ricordato insieme a Pierluigi Pairetto per lo scandalo di Calciopoli del 2006, quando entrambi erano i designatori arbitrali della Serie A.

La stella lusitana è Fernando Chalana, la prima vera ala del calcio portoghese, il precursore di CR7. Lo chiamano Il Piccolo Genio o Asterix, a causa dei baffoni folti che non abbandona mai e, soprattutto, per le sue illuminazioni verso i compagni finalizzatori. Da un suo passaggio, quasi sempre, l’azione si chiude con i festeggiamenti per un gol. Vince cinque campionati e tre coppe di Portogallo prima dei 25 anni. Poi, per bocca dello stesso Sven Goran Eriksson che lo allenò per un anno al Benfica, “ha incontrato la donna sbagliata”. Lei è Anabela e, per il clamore mediatico che suscita, la possiamo paragonare all’odierna Wanda Nara. Accompagna Chalana ovunque, è il centro dell’attenzione della stampa estera. Parla di tutto: tattica, soldi, contratti, parla male dello staff medico e dell’allenatore della nazionale. Da una sua frase può oscillare il bilancio annuale di un’impresa di cui lei è testimonial.

Per Fernando l’84 è l’anno di grazia e in questa serata i francesi non riescono a fermarlo in nessun modo. La partita si mette, però, subito bene per gli uomini di Hidalgo: al 24’ un sinistro teso e velenoso di Domergue su punizione lascia di sasso il portiere Bento e porta avanti i galletti. C’è ancora il sole a baciare gli spalti, ma, pian piano, cala la notte. Platini e Giresse inventano, ma Fernandez davanti non è altrettanto abile, Bento ci mette il suo con qualche balzo felino importante e la Francia non riesce a prendere il largo. Così, nella ripresa, il Portogallo prende fiducia pian piano e al 74’ raggiunge il pareggio: da un cross perfetto proprio di Chalana arriva l’incornata imperiosa di Rui Jordao (un vigoroso ragazzo che, appesi gli scarpini al chiodo, si dedicherà alla pittura e alla scultura), che manda la palla all’incrocio dei pali. La partita va, così, ai supplementari. I francesi non hanno mai vinto ai rigori (ci riusciranno a nostre spese ai mondiali casalinghi del ’98), perciò, devono evitarli assolutamente.

Ma le cose si mettono male. Dopo 8’ del primo tempo supplementare, ancora Chalana fa venire il mal di testa a suon di finte sull’out destro a Domergue, crossa al centro, la palla sorvola tutta l’area e, sul versante opposto, ancora Rui Jordao si coordina perfettamente e batte di controbalzo il pallone. La traiettoria è mortifera, scavalca Joël Bats e si deposita in rete sotto la traversa. Sorpasso Portogallo! E ci vuole tutta la bravura del portiere francese per dire di no a Nenè, messo davanti alla porta, ancora una volta, da un’illuminazione di Chalana.

Quella sera lì avrebbe potuto inventare anche il viaggio nel tempo. Si va al secondo supplementare, gli ultimi 15 minuti prima del baratro francese. Al 114’ la svolta: da un’iniziativa brillante di Giresse prende il via un’azione convulsa al limite dell’area portoghese, fatta di tentativi di verticalizzazioni e batti e ribatti, fin quando da un ultimo tocco di Platini la palla arriva a Domergue che, davanti alla porta, non sbaglia e riporta la gara in parità. Per lo sforzo prodotto da entrambe le squadre, a quel punto i rigori sembrano inevitabili. Ma la storia ha in serbo un’altra sorpresa. Così, a 90 secondi dai tiri dal dischetto, sale in cattedra Tigana. La sua accelerazione e la sua caparbietà lo portano a vincere un rimpallo, a fuggire verso il fondo dell’area e a mettere in mezzo un pallone d’oro che Roi Michel prima stoppa e poi scaraventa in rete, facendo impazzire al chiaro di luna i quasi 60.000 spettatori presenti sugli spalti. La Francia è in finale, per la prima volta nella sua storia. Tigana quel giorno compie 20 anni.

Ventiquattr’ore dopo, a Lione, viene stabilita la sfidante nell’altra partita tra Spagna e Danimarca. Lo spettacolo è meno esaltante, gli iberici non hanno mai fatto oltre il dovuto, ma hanno saputo gestire i momenti chiave del torneo. I danesi, al contrario, sono più effervescenti, ma pagano l’inesperienza. Partita subito sbloccata al 7’ con Søren Lerby, che raccoglie una respinta corta di Arconada sul colpo di testa di Elkjaer e lo fulmina da due passi. Il pareggio arriva a metà ripresa ad opera di Maceda, che spedisce in buca d’angolo un’altra corta respinta, stavolta di un difensore danese, in un’azione cominciata da Gordillo. Non succede più nulla e si va ai calci di rigore stavolta, dove l’errore decisivo è proprio di Preben Elkjær Larsen, il centravanti che, dodici mesi più tardi, regalerà alla prima città italiana non-capoluogo di regione il primo e unico scudetto della propria storia: è la favola dell’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli. Sta di fatto che, dopo vent’anni esatti, la Spagna può giocare la seconda finale europea della sua storia, dopo il trionfo di Madrid del 1964.

E veniamo all’atto conclusivo: il 27 Giugno, al Parco dei Principi di Parigi ci sono Francia e Spagna a contendersi il trofeo. L’arbitro è il cecoslovacco Vojtech Christov. Fin dall’inizio è chiaro il copione della partita, “le carrè magique” francese giganteggia e suona lo spartito, in platea gli spagnoli attendono comodi nella poltrona difensiva. Non è una bella partita, tipica di una finale si direbbe. Il primo tempo si chiude a reti inviolate, è previsto che tutto succeda nei secondi 45 minuti. E infatti, a ridosso dell’ora di gioco, la partita si apre. Arconada fa la frittata: prima posiziona male la barriera su un calcio di punizione e, quando Platini goloso calcia a giro proprio dove ha lasciato il buco la Spagna, si fa sfuggire il pallone bloccato sotto i guantoni che, lemme lemme, finisce oltre la linea di porta. Basta quello per decretare le sorti del torneo, perché gli uomini di Muñoz pagano il saldo della “stramba” qualificazione ai danni dell’Olanda. Nemmeno l’espulsione di Le Roux all’’85 riesce a dare la spinta per il forcing finale, anzi, al 90’ è Bellone a chiudere lo spettacolo, segnando il gol del raddoppio con un pallonetto dolcissimo in contropiede. Platini bacia la coppa prima di sollevarla al cielo di Parigi: “pour le roi Michel le jour de gloire est arrivé!”.

Platini mette a segno ben 9 gol nella fase finale, timbrando il cartellino in ogni partita e stabilendo un primato che dura tutt’ora. Tutto merito di Hidalgo, che aveva trovato la formula vincente e che lo stesso Michel gli ha riconosciuto: “Con lui giocavamo un calcio bellissimo, è riuscito a creare un centrocampo con quattro giocatori creativi, che potevano inventare un passaggio vincente in qualsiasi momento. Ha saputo schierare in campo contemporaneamente quattro numeri 10”.

Curiosità finale, il 1984 è l’anno d’oro del calcio francese, perché non solo i galletti conquistano l’europeo in casa, ma trionfano anche alle Olimpiadi estive di Los Angeles. La squadra è totalmente diversa e certamente più giovane, ma sale in cima al podio battendo al Rose Bowl di Pasadena il Brasile 2-0, con reti di Brisson e Xuereb (anche i verdeoro, dunque, hanno pianto in California), mentre il bronzo va alla Jugoslavia.

In Italia: L’11 giugno muore il segretario del PCI Enrico Berlinguer, dopo un’emorragia cerebrale che lo aveva colto il 7 a Padova, aveva da poco tenuto un comizio per le elezioni europee. Al funerale ci saranno 2 milioni di persone. Sull’onda emotiva di quel tragico evento e per la prima e unica volta nella storia, il P.C.I., supera la D.C. Il 28 agosto la Fininvest di Berlusconi acquista Rete 4.

Il premio Nobel per la fisica lo vince l’italiano Carlo Rubbia, fisico, accademico e senatore a vita.

Il 15 luglio viene estradato in Italia dal Brasile, dove era stato arrestato in Ottobre, il boss di Cosa Nostra Tommaso Buscetta. Cominciò a raccontare al giudice Falcone le sue vaste conoscenze sulla “cupola”. Il 29 settembre a Palermo, in base alle sue rivelazioni, vengono emessi 366 mandati di cattura. L’inizio di un percorso di giustizia che porterà all’istruzione del “Maxi-processo” ai mafiosi del 10 Febbraio 1986 tenutosi nell’aula-bunker del carcere palermitano dell’Ucciardone.

Serie A: anno molto interessante, la Roma scudettata acquista Toninho Cerezo e Ciccio Graziani, ma non riuscirà a bissare il titolo e perderà la finale di Coppa dei Campioni a Roma contro il Liverpool ai calci di rigore. Dopo i gol nei tempi regolamentari di Phil Neal e Roberto Pruzzo, dal dischetto falliscono Conti e proprio Graziani. L’Udinese acquista Zico, ma non riesce ad andare più in là di un anonimo nono posto in campionato. La Juventus pesca dall’Avellino e mette tra i pali Tacconi e dà a Vignola il ruolo di vice-Platini, che sarà per la seconda volta capocannoniere del torneo con 20 gol. Dietro proprio Zico con 19. Il 6 maggio, contro gli irpini, la Juventus pareggia 1-1 e si laurea campione d’Italia per la ventunesima volta.

Cinema e tv: nella sitcom statunitense “How I Met Your Mother” il personaggio di Tracy McConnell nasce il 14 settembre 1984. Un anno che dà il titolo anche al romanzo di George Orwell “1984”, in cui apprendiamo per la prima volta il concetto di “Grande Fratello”: un personaggio che nessuno ha mai visto di persona, ma che tiene costantemente sotto controllo la vita di tutti i cittadini. La seconda stagione della famosa serie di successo “Stranger Things” è ambientata nel 1984. Il film di John Hughes, “Breakfast Club”, è ambientato sabato 24 marzo 1984.

Roberto Tortora
Roberto Tortora
Laureato in Scienze della Comunicazione, a Salerno. Master in Giornalismo IULM, a Milano; Giornalista professionista.

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