I grandi “piccoli” della F1 – Parla Gian Carlo Minardi, 2/a puntata

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La seconda parte della nostra intervista a Gian Carlo Minardi, fondatore dell’omonima scuderia che ha calcato i circuiti della Formula 1 per 340 occasioni dal 1985 al 2005, prima che la scuderia di Faenza venisse ceduta alla Red Bull per diventare Toro Rosso prima e Alpha Tauri adesso.

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Tante scuderie italiane nonostante la presenza di un faro da questo punto di vista quale era ed è tuttora la Ferrari. La presenza della Rossa è stato uno sprone in più in tal senso?
La Ferrari, di cui ero tifoso prima di diventare costruttore (e lo sono diventato anche grazie al consiglio di Enzo Ferrari) e sono tornato a esserlo in maniera obiettiva dopo la fine della mia avventura da costruttore, nel bene e nel male ha trainato in 72 anni tutta la Formula 1. Nel bene perchè in un’area di 200 km attorno a Maranello (nella quale è compresa anche la Minardi e ora l’Alpha Tauri) c’è una serie di officine e di terziario che rendono l’Italia unico paese assieme all’Inghilterra (e non è un caso che Mercedes, Honda e anche Renault si siano trasferite oltre Manica) in grado di ospitare una scuderia di Formula 1. Poi, praticamente tutti i team hanno fornitori italiani. L’Italia ha un movimento di miliardi attorno al Motorsport che è trainante per piccole e grandi aziende, sia di serie che sportivo.

In questa Formula 1, è proprio impossibile l’ingresso di uno o più piccoli costruttori?
Oggi è più difficile. In primis, per la complessità della vettura e di alcune sue componenti, come l’elettronica e la power unit. Poi, per la garanzie che bisognerebbe fornire alla Federazione e a Liberty Media, enti che pretendono strutture organizzate e un budget che ora penso nessun privato possa fornire a livello mondiale.

Possiamo identificare nei primi anni Duemila, con l’avvento delle grandi case automobilistiche in Formula 1, il periodo spartiacque per questo sport, con le piccole scuderie che vennero praticamente costrette a cedere il passo? Sebbene poi queste grandi case non siano poi durate così tanto.
Beh, probabilmente sì. In quel frangente, non furono ascoltati i piccoli. Io già alla fine degli anni ’90 proposi delle regole che poi sono state attuate nel 2007-2008, quando la nostra avventura in Formula 1 era già terminata. Come quella del numero dei motori per stagione e come quella che ogni casa motoristica doveva fornire in egual modo i propulsori alle squadre con le quali aveva stipulato un contratto di fornitura. Regole attuate con ritardo, perché alla fine degli anni ’90 la FIA ed Ecclestone spingevano per l’ingresso delle grandi case automobilistiche in Formula 1. Io avvisai loro del rischio con un quesito: “Signori, siamo sicuri che una grande casa automobilistica accetterebbe di buon grado di stare dietro alla Minardi nel caso in cui noi riuscissimo ad azzeccare una qualifica e/o una gara?”. Loro mi risero dietro e mi risposero candidamente che se non avevo i soldi per correre, dovevo stare a casa. Risultato? Si è verificato quello che Gian Carlo Minardi aveva previsto. Mentre i media sottolineavano le nostre difficoltà, che noi eravamo sempre quelli dell’ultima fila – spesso dimenticando che noi siamo stati sempre tra i primi 10 del Mondiale, piazzamento che ci garantiva di avere una quota dei diritti televisivi, anche quando vi erano 18 scuderie e quindi 36 vetture – e la Federazione (ebbi importanti discussioni con l’allora capo della FIA Max Mosley a tal proposito) non garantiva a noi “comprimari” il minimo per sopravvivere, c’è stata la moria delle grandi case. Prima è uscita Toyota, poi BMW, poi Honda e sono rimasti 10 team, di cui una parte in grande sofferenza. E poi, dopo diversi anni dalle nuove regole, i test di Barcellona hanno dimostrato che tutte le vetture erano racchiuse in 1’7”, segno che i piccoli hanno colmato il gap tecnico. Intendiamoci, alla fine saranno sempre i grandi a prevalere per tanti motivi, ma bisogna dare la possibilità ai piccoli di sopravvivere per avere almeno 20 macchine in pista.

Vorrei fare ancora un passaggio sulla storia. In 20 anni di Formula 1 hai avvertito una sorta di snobismo da parte di qualche “grande”?
Da alcuni sì. Per esempio, non è un mistero che il mio rapporto con Ron Dennis (storico direttore sportivo della McLaren, ndr) non è stato idilliaco perché lui in un paio di occasioni si è espresso in maniera spregevole nei confronti delle piccole scuderie. Ti cito un episodio. Prima le posizioni delle squadre nei box venivano sorteggiate e non si seguiva la classifica del campionato precedente come accade tuttora. L’attuale ordinamento è stato stabilito proprio su spinta di Dennis, il quale dichiarò pubblicamente che non voleva che il suo box fosse accanto a quello della Minardi. Forse, Dennis era anche geloso del rapporto di stima e di amicizia che avevo con uno dei suoi piloti (Senna, ndr). Con gli altri, invece, c’è stata più “comprensione” nei nostri confronti e non vi sono stati problemi particolari.

Una curiosità: nel 2006 quando ci fu la cessione alla Red Bull non ci fu nessuna possibilità di conservare il nome storico della Minardi?
No, nessuna. La Red Bull pose come condizione non trattabile il cambio del nome. Certo, dispiacque ma è stata una legittima scelta di marketing della Red Bull il passaggio a Toro Rosso e quindi va rispettata, anche perché è una scelta fatta da chi di marketing se ne intende. D’altronde, anche il cambiamento del nome da Toro Rosso ad Alpha Tauri, azienda d’abbigliamento di proprietà della Red Bull, è una scelta di marketing. Detto questo, ancora oggi qualche diversi miei ingegneri e meccanici lavorano in Alpha Tauri. Solo poche settimane fa sono stati a trovarli. Ora questo team non è secondo a nessuno dal punto di vista dell’organizzazione tecnica. Mi auguro che quest’anno, qualora si dovesse riprendere a correre, arrivino a centrare un quinto posto nel Mondiale Costruttori che sarebbe meritato.

A tal proposito, quando la Toro Rosso vinse a Monza nel 2008, venisti contattato da molti per avere un tuo commento. Che ricordo hai di quella giornata?
Posso dirti che ho ancora i brividi ripensando a quella giornata. Ero davanti alla TV perché da quando la Minardi non corre più, non ho più assistito a un Gran Premio dal vivo. Fu molto bello il post gara dove tutti ingegneri e meccanici hanno nominato il sottoscritto e il lavoro della Minardi. Allora molti ex dipendenti lavoravano in Toro Rosso. Sì, quel successo era frutto anche del lavoro degli anni precedenti e di quei 21 anni.

Veniamo all’attualità e all’emergenza COVID-19. Come credi possa ripartire la Formula 1?
Bisogna vedere come verrà attuato il Budget Cup. Ora è di 175 milioni di dollari e stanno decidendo di abbassarlo ancora e di differenziarlo tra top team e squadre di seconda fascia. I cambiamenti, dopo questa pausa forzata per il Covid-19, saranno inevitabili. Ma in tutto il Motorsport, non solo in Formula 1. Io, nel mio ruolo che occupo all’Aci Sport, sono in contatto con la segreteria generale con Marco Ferrari e Marco Rogano, per programmare il prossimo futuro e tutti i nuovi regolamenti del caso. Insomma, stiamo cercando di organizzare una ripresa che solo al momento in cui si ripartirà ci renderà chiare le difficoltà che andremo a incontrare. Ma il vero problema è il 2021.

In che senso?
Nel 2020, Liberty Media dovrebbe suddividere teoricamente i ricavati dei diritti del 2019 e quindi la liquidità per le squadre dovrebbe essere garantita. Ma se non si corre nel 2020 (e già sono saltati circuiti che non possono più essere recuperati), vengono a mancare dei budget che possono garantire la sopravvivenza per alcuni. Ora si sta cercando di dire delle date per la ripartenza, ma sono tentativi fatti solo per tenere buoni gli sponsor che vorrebbero già ridiscutere i contratti, dato che attualmente è impossibile stabilire alcunché. Uno scenario difficile a cui si aggiunge il fatto che il Concordia agreement, il Patto che impegna i sottoscrittori a rimanere in Formula 1 per gli anni della sua validità, è in scadenza e non stanno spirando venti caldi per il suo rinnovo, anzi. Vi sono costruttori scettici a tal riguardo, come ad esempio la Renault. Mi auguro che in questo periodo ognuno faccia il suo compito e metta da parte i suoi interessi personali per la salvaguardia della Formula 1.

 

 

Giuseppe Pucciarelli
Giuseppe Pucciarelli
Nato a Salerno il 3 maggio 1986, laureato in Fisica, ex arbitro di calcio FIGC. “Sportofilo” a 360° con predilezione per calcio e ciclismo, è un acceso e convinto fantacalcista.

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