La notizia succosa di ieri è l’esonero di Montella: tardivo ma giusto, come si diceva su queste stesse colonne. L’esonerato Vincenzo come prima pagina di una giornata che non ha sorriso alla categoria degli allenatori, visto anche l’allontanamento di Bucchi da parte del Sassuolo (il che dovrebbe far rivalutare ulteriormente il buon Eusebio Di Francesco, caso mai non bastasse quello che sta combinando alla Roma). Due esoneri molto diversi tra loro per contesto, ambizioni e dimensioni dei club, ovviamente, ma che hanno in comune la scelta delle due società di concludere la finestra di tempo entro cui aspettare dei risultati che considerassero soddisfacenti.

Il tempo, questa variabile sfuggente per definizione che nel calcio non è mai tenuta particolarmente in considerazione dalle varie proprietà e che, anzi, è completamente soggetta all’altra variabile, quella dei risultati. Quasi sempre non ce n’è mai abbastanza, di rado viene concesso in giuste quantità, praticamente mai ce n’è in disavanzo e, solo in occasione di allineamenti strani dei pianeti, può capitare (non più di tre o quattro volte in un trentennio) che ce ne sia persino più del necessario. Al Sassuolo, strano a dirsi, quest’anno è capitato proprio quest’ultimo scenario.

La società neroverde non ha cambiato troppo dalla scorsa stagione (anche se probabilmente nel complesso è leggermente meno forte) e ha puntato su un mister stimato per quanto fatto nelle ultime tre stagioni tra ormai ex Lega Pro e Serie B: un allenatore ancora giovane ma che la scorsa estate era ampiamente considerato tra i profili in rampa di lancio. Tuttavia la proprietà emiliana ha scelto di allontanarlo senza nemmeno aspettare la fine di novembre (Di Francesco, il primo anno di Serie A, venne mandato via a fine gennaio in una situazione che appariva più critica), probabilmente perché c’è la convinzione che l’impresentabilità mostrata fin qui dalla squadra fosse sostanzialmente irrimediabile con Bucchi in sella. Anzi, forse era pure destinata persino a peggiorare, magari andando a esaurire proprio il tempo, ossia quell’unica risorsa che invece pareva abbondare a bocce ferme.

La sensazione è che la squadra abbia completamente rigettato la nuova filosofia di gioco che l’ex attaccante del Perugia voleva introdurre, ancorandosi (non si capisce quanto inconsciamente e quanto consapevolmente) alle convinzioni maturate in cinque anni di lavoro con Di Francesco, finendo per rimanere, per così dire, a metà del guado, in un limbo dove è stata sostanzialmente presa a schiaffi da quasi tutti. Nonostante i neroverdi siano ancora virtualmente salvi, il terrore che incute lo spettro della retrocessione è tale che s’è preferito disfarsi delle ambizioni tecniche di Bucchi (e cestinare quello che aveva tutta l’aria di essere un progetto pluriennale) per riesumare l’onesto Iachini. Del resto la nuova filosofia di gioco è stata respinta al mittente, rendendo senza senso un’eventuale concessione di ulteriore tempo (che pure ci sarebbe stato) al mister uscente: un caso più unico che raro, in Serie A.

Va anche detto che fare due punti su ventuno disponibili in casa (e un solo gol!) riduce di parecchio il margine temporale che si pensa di poter avere per avviare un nuovo progetto tecnico, nonostante ci siano ben quattro squadre in grado di fare persino peggio – comunque lontane un tiro di schioppo, da qui la premura di Squinzi. In campionato lo spazio per porre basi tecniche solide di fatto c’è solo finché non si gioca, cioè tra luglio e metà agosto: quando parte la sarabanda domenicale le idee non contano quasi più nulla, se non portano una congrua quantità di punti. Bucchi lo ha imparato nel modo più doloroso.

Montella, invece, lo sa benissimo (e ormai da molti anni) ma ciò nonostante non è riuscito ad assemblare in maniera coerente una squadra che esiste solo in quanto mucchio informe di singoli. I rossoneri avevano il problema opposto rispetto al Sassuolo: se in Emilia un allenatore nuovo ha fallito nel processo di adattamento a una squadra già rodata finendo per esserne masticato e respinto, a Milanello il mister confermato dall’annata precedente non è riuscito ad adattare il collettivo alle sue idee, di fatto non riuscendo a trovare né un modulo né undici titolari fissi.

Anche qui: ci vuole tempo per prendere otto, nove individui che non hanno mai giocato a pallone insieme e renderli nuovi titolari in un contesto che, appunto, non solo non esiste ma vuole pure migliorare sensibilmente il sesto posto della stagione precedente. Al Milan, per esigenze di bilancio, c’è (c’era?) la necessità di essere competitivi fin da subito ma la missione è mestamente fallita e Montella ha finito per pagare tanti errori che sicuramente ha commesso ma che, forse, senza l’impellenza data dall’estrema necessità di conseguire una qualificazione europea, avrebbero potuto essere perdonati nell’ottica di dare al progetto il tempo fisiologicamente necessario per prendere forma. O, meglio, forse, se avesse saputo di avere più tempo, Montella non avrebbe iniziato a dare i numeri, la sua presa sul gruppo non si sarebbe allentata e magari sarebbe riuscito a dare un minimo di stabilità in più alla squadra e, perché no, racimolare qualche puntarello in più. Non lo sapremo mai.

Tutto ciò per dire che ieri sono naufragati due gestioni tecniche che, in un mondo ideale, avrebbero dovuto essere giudicate solo la prossima stagione, dati i cambiamenti notevoli in corso. Da una parte stavano mutando radicalmente idee & filosofia di gioco, dall’altra due terzi degli uomini a disposizione: non proprio stravolgimenti di poco conto. In entrambi i casi i risultati non all’altezza delle aspettative hanno portato a un’estrema riduzione dello spazio temporale a disposizione degli allenatori, già in partenza esiguo a Milano per esigenze extra campo e diventato tale a Sassuolo per via della refrattarietà della squadra a uscire dal seminato difranceschiano.

Come dire: i risultati determinano il tempo, il tempo determina la qualità del lavoro tecnico che si fa e il lavoro tecnico che si fa determina i risultati. L’unico modo per rompere l’equazione è dare più tempo. Ma forse, oggi giorno, è chiedere troppo.