La Svezia ai mondiali: il miracolo di Janne

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Svezia ai mondiali, dunque. Come abbiamo più volte scritto, in questa lunga campagna di qualificazione, erano in pochi a crederci, soprattutto dopo il sorteggio degli spareggi: esserci arrivati era stato considerato, dalla quasi totalità dei commentatori svedesi, un ottimo risultato. Nell’autunno 2016, ai nastri di partenza, per tutti l’obbiettivo era la qualificazione ai prossimi Europei del 2020.

Intendiamoci: siamo commentatori di calcio svedese, ma di nazionalità italiana. Il fatto di avere seguito la parabola sportiva della nazionale Blågul con attenzione professionale (e, naturalmente, con un pizzico di passione, indispensabile e conseguente in questi casi) non ci ha impedito, ieri, di fare il tifo per gli Azzurri, e di essere dispiaciuti per l’eliminazione della nostra rappresentativa.

A chi pensa il contrario, rispondiamo che questa è una testata italiana, che ha tutto da perdere da una situazione che vede la nostra Nazionale fuori dai giochi. I mancati accessi, dovuti all’assenza degli Azzurri, non saranno certamente compensati dall’attenzione che avremo (ovviamente) per la competizione, e per tutte le altre rappresentative. E nessuno fa il tifo contro il proprio lavoro. Può sembrare tautologico specificarlo: ma certi commenti su alcune pagine social dedicate al calcio svedese ci hanno davvero amareggiato.

Tornando al campo, la Svezia ha giocato, in questi 180 minuti, nell’unico modo che le era possibile: il concetto di fare densità, a un certo punto della ripresa, ieri sera, è stato di mettere 11 uomini dietro la linea della palla. Vi è la quasi unanimità, in Svezia, nel dire che il fallo di mano di Emil Forsberg e l’intervento di Augustinsson su Parolo potevano essere puniti più severamente. Però, la sensazione (anche da parte italiana, visto che qualche episodio dubbio è avvenuto anche nella nostra area) è stata quella che l’arbitro Lahoz abbia voluto gestire la partita lasciando giocare.

A Stoccolma, ieri sera, Robin Olsen è stato salutato come un eroe, e molti hanno esaltato la prestazione gladiatoria di Andreas Granqvist. Brutte notizie, invece, per Jakob Johansson: si sospetta una lesione al legamento crociato che potrebbe impedire, al giocatore dell’AEK, di poter far parte dei 23 convocati per Russia 2018. Il resto, è il capolavoro di Janne. Coma ebbiamo scritto più volte, l’ex allenatore dei Peking ha ricostruito la nazionale svedese con intelligenza, nominando Andreas Granqvist capitano, e trovando un leader probabilmente inatteso. Ha resistito alle pressioni di chi gli chiedeva d’importare in blocco l’U21 campione d’Europa, e non ha cercato di fare cose particolari: la sua Svezia gioca con un 4-4-2 scolastico e, quando serve, fa valere la sua forza fisica.

Janne, in conferenza stampa, ha elogiato i suoi giocatori, con la consapevolezza che non siano dei fuoriclasse, ma un gruppo solido, che ha seguito le sue indicazioni: poche cosa da fare, ma fatte bene. Ha giusto avuto qualche parola in più per il “suo” capitano Granqvist e per Nilsson Lindelöf, forse l’elemento più interessante di questo collettivo, sicuramente in un momento difficile nel suo club. Quando qualche giornalista italiano gli ha chiesto di Zlatan, ha cambiato discorso: non voleva parlare di un giocatore che ha lasciato la nazionale da 15 mesi, ma dei ragazzi in campo in questa campagna di qualificazione mondiale. Giusto così.

In Svezia in molti sono rimasti amareggiati per i fischi all’inno. Certo, non si tratta di una novità sui campi da calcio: si pensi all’inno francese fischiato dagli algerini, o alla scelta delle ASF elvetica di non far eseguire il salmo svizzero in occasione dell’ultima finale della Coppa nazionale, a causa dei fischi uditi l’anno precedente. Tuttavia, si tratta di comportamenti irrispettosi e fuori contesto, che speriamo di non dover più riportare.

La qualificazione porterà, tra l’altro, parecchio denaro nelle casse della Svff: un particolare non secondario, che potrebbe aiutare non poco il movimento calcistico, facendogli magari ritrovare, anche a livello di club, quel prestigio che aveva qualche lustro fa. Infine, un immagine simbolo, citata anche da SportbladetJanne che ripulisce lo spogliatoio, a fine partita. Un gesto semplice, ma molto svedese nei modi, rubato da un membro dello staff. Può essere un esempio, oggi, per chi dovrà ricostruire, dalle fondamenta, il movimento calcistico italiano, al suo punto più basso degli ultimi sessant’anni.

Silvano Pulga
Silvano Pulga
Da bambino si innamorò del calcio vedendo giocare a San Siro Rivera e Prati. Milanese per nascita e necessità, sogna di vivere in Svezia, e nel frattempo sopporta una figlia tifosa del Bayern Monaco.

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