Disfatta azzurra: è ora di rottamare le leghe

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Sì, è crisi. Ma non da ieri sera, nella notte di San Siro. La crisi è iniziata nel 2010 dopo il disastroso mondiale sudafricano; un trend confermato nel 2014 in Brasile. Allora chi è appassionato di schemi, permutazioni e numerologie si è diviso: seguendo lo schema del “ogni dodici anni una finale mondiale“, era fiducioso e forse rappresentava anche la grande maggioranza anche quando Buffon nei minuti finali ha tentato il colpo di testa della disperazione.

C’è anche chi, come chi scrive, ha precedentemente osservato e con qualche anno di anticipo, che dopo due eliminazioni indegne alla prima fase del mondiale (Brasile 1950 e Svizzera 1954 e quindi Sudafrica 2010 e Brasile 2014), gli azzurri abbiano scontato un quadriennio di riposo (Svezia 1958). Il rischio si è quindi tramutato in timore, quindi un paura e infine in terrore. Il rischio non si è trasformato in un aggettivo positivo come coraggio e audacia e la nostra Nazionale, come ben sappiamo, non andrà in Russia la prossima estate.

Ma come si è accennato poc’anzi, le cause di tali disfatte non possono essere ridotte a numeri, coincidenze ridondanti e fredde statistiche. Nel 2010 campioni del mondo in carica, arriviamo ultimi nel girone più facile contro squadre mediocri: Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda (quest’ultima formata addirittura da semiprofessionisti e da alcuni svincolati). Era lì che la Figc, ancora pascia e soddisfatta dell’impresa di Germania 2006, doveva dare la scossa al movimento calcistico italiano. Ma bisogna ammetterlo: prima Giancarlo Abete e poi Carlo Tavecchio non hanno saputo dare le risposte e anzi hanno volutamente sottomesso ancora di più la Federazione alle convenienze delle Leghe di ogni ordine e grado, degli amici e degli amici degli amici.

Ci provò Demetrio Albertini a trovare la quadra con la sua diplomazia: venne ignorato. Ci provò Roberto Baggio, con un magnifico progetto sulla valorizzazione del settore giovanile: venne messo da parte. Ci provò Cesare Prandelli con i suoi stage che servivano ai nuovi giocatori a fare squadra: bene, ma “…gli stage a Coverciano costano troppo” e quindi non si devono fare più. Decisione della Federazione o della Lega di Serie A ormai controllata da affaristi e faccendieri cinesi, americani e stranieri in generale?

E già, gli stranieri. Sono un problema? Forse sì, perchè danno un quadro falso dei valori tecnici reali della Serie A che comunque non è più da anni ai livelli degli anni ’90.

Ma allora aveva ragione Sandro Pochesci lo scorso sabato pomeriggio quando ha detto: “Date un’opportunità ai tanti bravi giocatori di Serie C e di Serie D”. Ora per aver detto la verità rischia un ingiusto deferimento, e Sandro Pochesci è uno che realmente sa cosa vuol dire giocare e allenare nelle categorie dilettantistiche e che quindi conosce il calcio più di un allenatore che ha allenato solo in Serie A. Aveva ragione perchè la Svezia si è difesa in undici per centottanta minuti e noi non siamo stati in grado di segnare, perchè il nostro recordman è ancora Gigi Riva con 35 reti e nessuno dopo di lui ha saputo fare meglio, da Paolo Rossi, a Roberto Baggio per finire con Christian Vieri, ultimo vero goleador della Nazionale. Ognuno di questi parcheggiati o esiliati dalla nazionale al primo cambio di allenatore. Non si segna e nel calcio per vincere bisogna segnare.

Dare però la colpa a Gian Piero Ventura è riduttivo, anzi: Ventura in questo momento si trova tra incudine e martello ed è stato forse la vittima inconsapevole di un sistema malato molto più grande di lui, pur essendo un ottimo maestro di calcio. In Italia lo spettatore medio trova solitamente il capro espiatorio nel CT, ma intanto gioca la schedina contro la qualificazione degli azzurri. Sono forse veri tifosi questi? La riforma del sistema di governance del calcio in Italia parte dalla rieducazione forzosa del tifoso, per finire con lo scioglimento delle Leghe, con il commissariamento della Figc e con il controllo totale del Coni sul calcio italiano.

In conclusione ci sono quattro anni per rottamare, riflettere, ricostruire e ripartire verso il Qatar, senza trascurare l’Europeo itinerante del 2020 e la nuova Nations Cup del 2018-2019.

Alfonso Perugini
Alfonso Perugini
Nato ad Atripalda (AV), il 6 dicembre 1988. Pubblicista dal 2011; laurea magistrale in Informazione e Sistemi Editoriali; collabora con “Il Corriere Laziale” e con altre testate anche non sportive, radio e web-radio.

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