Prendete il calciatore teenager più eccitante di tutta la stagione 2016/2017 e mettetelo nel contesto più adatto possibile per la sua crescita, con un allenatore attentissimo a insegnare entrambe le fasi di gioco. Ora immaginare che questo allenatore sia anche stato bravissimo nel lanciare e dosare il nostro con modi e tempi corretti, ritagliando su misura per lui un ruolo che, effettivamente, gli calza a pennello, sicché il talento di cui sopra è già passato dallo status di promessa a quello di solida realtà del pallone europeo. Esatto, stiamo parlando proprio di Kylian Mbappé, del Monaco di Leonardo Jardim e di tutto ciò che è successo al talento di Bondy negli ultimi otto, fragorosi, mesi.

La nostra Serie A ci ha offerto in questa seconda giornata una valanga di spunti interessanti che si potrebbero sviluppare (per dire: la bella Atalanta che pure è ancora a zero punti, il ritorno alla vittoria in campionato della SPAL dopo quasi cinquant’anni, l’Inter che espugna l’Olimpico, il VAR, la Juventus che resta di una solidità disarmante, il nuovo ambiziosissimo Milan a punteggio pieno, il Napoli, la qualunque) ma non riesco a ignorare la voce delle ultime ore della notte scorsa secondo cui Mbappé sarebbe in procinto di passare dal Monaco al Paris Saint-Germain. Mi colpisce per l’ambizione esagerata ma genuina del PSG che trova modo di rinnovarsi e ingrandirsi anno dopo anno e mi disturba immensamente allo stesso tempo.

Prima di tutto perché i parigini spenderebbero altri 180 milioni oltre ai 222 già sborsati per Neymar poche settimane fa per un totale di più di 300 milioni investiti in due soli giocatori ma, soprattutto, perché la scelta del giovane Kylian di lasciare il principato per accasarsi alla compagine del Parco dei Principi è, tecnicamente e psicologicamente parlando, un salto nel vuoto. Mbappé passerebbe da un contesto in cui è l’astro nascente in rampa di lancio, il nuovo che avanza amato e riverito da tutti, il faro neanche troppo in pectore di un’oasi felice dove può competere per dei titoli e nello stesso tempo giocare quasi senza la paura di sbagliare esprimendosi più o meno liberamente a una squadra dove, prima di tutto, tocca vincere. Ma tocca vincere nel senso che anche il secondo posto sarebbe un fallimento, non che se si vince meglio ma anche il podio non si butta via. E tocca vincere, ormai, anche a livello europeo, in quella Champions che rappresenta il vero cruccio della proprietà qatariota.

Ma non solo. Al Monaco Kylian è sicuro del posto in squadra, ha già un’ottima intesa con Falcao ed è meravigliosamente inserito nei meccanismi monegaschi, sia in fase di possesso che in quella di non possesso. A Parigi, invece, dovrebbe costruire un’intesa da zero con Cavani (diversissimo dal Tigre) e Neymar, troverebbe una concorrenza che – almeno per adesso – potrebbe tranquillamente essere asfissiante, con magari il rischio, magari dovuto anche a fattori esterni incontrollabili tipo gli infortuni, di non riuscire a imporsi davvero tra i titolari e non riuscire quindi a mettere insieme quel minutaggio minimo fondamentale per un attaccante della sua età. È vero che un investimento del genere di solito viene tutelato dalla proprietà (cioè si impone al tecnico di far giocare il nuovissimo e costosissimo giocattolo anche nei momenti di down) ma è altrettanto vero che al PSG i soldi possono anche bruciarsi con relativo agio se questo significa perseguire gli obiettivi. Lo stesso Unai Emery non ha paura di tenere in panchina nessuno, tanto meno un diciottenne – a prescindere da quanto sia stato pagato.

Tatticamente Mbappé passerebbe anche da una squadra dove gli è non solo consentito ma addirittura chiesto di giocare nel ruolo che meglio si addice alle sue caratteristiche – la seconda punta – a un’altra dove dovrebbe per forza adattarsi a fare qualcosa che è meno nelle sue corde e che lo tiene troppo lontano dalla porta (l’ala). Vero che il giovane francese nasce esterno ma i diciotto mesi in cui Jardim ha avuto l’occasione di plasmarlo hanno visto una sua radicale trasformazione da freccia della fascia a predatore implacabile dell’area di rigore e delle sue immediate vicinanze: il tecnico portoghese ha avuto ormai molto tempo fa l’intuizione di liberare l’istinto killer del ragazzo avvicinandolo alla porta. Facendo tra l’altro di necessità virtù, in quel frangente. Ora, un ripristino del vecchio Mbappé formato ala pare un brusco passo indietro, un regresso di anni. Ne vale veramente la pena?

Lo scopo di questa articolessa non è la classica tirata moralistica sul calciatore mercenario che si vende al miglior offerente pur di avere uno stipendio più grosso e una bacheca più piena bensì un grido di dolore diretto allo stesso Mbappé perché, detto in greco antico, sta facendo una vaccata. Andare a giocare nel PSG è un passo che avrebbe potuto fare serenamente più avanti, visto che il tempo è completamente dalla sua parte, magari dopo aver messo qualche mattoncino in più nel suo percorso di maturazione tecnica (oggettivamente più semplice se rimanesse a Montecarlo). D’accordo, lui è di Bondy, a un tiro di sasso da Parigi – neanche venti chilometri – e questo elemento del ritorno a casa compensa l’esasperata magnificenza economica dell’operazione, avviata verso cifre fuori di testa che, tra le altre cose, si tradurranno anche in aspettative.

Ma l’argomento mi tocca – e scalda – tanto non tanto per le questioni finanziarie (di cui mi interessa il giusto) ma piuttosto perché ho l’enorme timore che un talento simile, quasi esagerato nella sua brillantezza, possa perdersi nei meandri dell’ipercompetitività dello spogliatoio parigino e nell’ambizione di un club che, da quando ha questa proprietà, raramente fa qualcosa di diverso dal cercare di comprare tutti i giocatori più forti a disposizione sul mercato per poi metterli insieme a forza, fagocitando chi si inserisce e risputando fuori chi non ce la fa. Praticamente chiunque abbia messo gli occhi addosso all’ex numero 29 del Monaco ne è stato folgorato e desidera vedere i prossimi capitoli del romanzo che sarà la carriera dell’attaccante francese, come capita sempre ai predestinati fortissimi, chiedendosi se riuscirà effettivamente ad arrivare in cima all’Olimpo o meno, quanto ci metterà, come si consacrerà… Una caduta rovinosa che ne rovini la carriera non se la augurano nemmeno i suoi più feroci detrattori.

Se abitassimo in Inghilterra, diremmo che l’appena maggiorenne Kylian è quel tipo di calciatore che nel mondo di Football Manager si rivelerebbe essere un autentico killer di tutto il sistema, quel giocatore che da solo ti fa vincere qualunque cosa. Nella vita reale, tutto sommato, si spera invece che non sia proprio l’approccio in stile Football Manager di prendere i più forti per i più forti a diventare il killer del talento di Mbappé, strozzato dalla pressione psicologica insopportabile di un ambiente che – pur di vincere – non fa prigionieri.