Il re è vivo. Viva il re!

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Più che un uomo, una leggenda. E non da ieri, assolutamente. Ma l’ottavo trofeo di Wimbledon, giustamente The Championship (cioè “il” torneo, per antonomasia), non può non avere un sapore particolare per sua maestà Roger Federer perché – come e più di Melbourne – è stato il manifesto supremo della vecchia/nuova semionnipotenza tennistica che l’elvetico riesce a sprigionare sul campo.

Sarebbe insensato dire che il Federer attuale è in assoluto più forte di quello di quindici anni fa che, atleticamente, com’è ovvio che sia, aveva risorse inaccessibili per il Roger di adesso. Però l’attuale ha effettivamente qualcosa in più del precedente ed è un qualcosa maturato in anni di piazzamenti difficili, secondi posti brucianti, infortuni a getto più o meno continuo e sconfitte talvolta anche impronosticabili. Il tennis dello svizzero è meno barocco di un tempo (che, pure, è un’esagerazione. Ma serve per rendere l’idea), ancor più pragmaticamente minimalista, spaventosamente efficace. Il bello stile non viene sacrificato in alcun modo ma la ricerca del vincente è più diretta di qualche anno fa, più cinica – se possibile. Se il Federer ingiocabile visto tra il 2003 e il 2008 sapeva di automa perfetto, di cyborg impenetrabile nel quale, tuttavia, Nadal ha dimostrato di poter trovare falle di sistema e Djoković l’ha confermato, quello attuale è un vecchio lupo di mare che accetta l’emotività e, quindi, la controlla. Ma non con la repressione, come farebbe un giovane, bensì col buon senso. Assorbe gli urti per restituirli al doppio della potenza.

Federer sa di non poter più contare come un tempo sulle sue gambe o sulla sua resistenza alla fatica e quindi, come uno scacchista consumato dai tornei e dal tempo, si sforza di essere sempre due mosse più avanti dell’avversario. A tratti, anche nei suoi anni migliori, sembrava imprigionarsi da solo nella miriade di scelte tecniche che il suo repertorio onnicomprensivo gli consente e finiva per ritardare troppo il colpo o scegliere quello sbagliato. Adesso invece sembra che giochi in costante anticipo, rispetto agli avversari, come se sapesse cosa faranno per metterlo in difficoltà. Non c’è più esitazione. È incredibile.

Indubbiamente il 2016 horribilis che ha passato lo ha molto aiutato nel conservarsi a livello energetico e nel rigenerarsi, è fuor di dubbio. Però, un anno fa, chiunque avrebbe detto che riteneva lo svizzero più di là che di qua, vista la progressione più recente della sua carriera. E invece. Re Roger non ha sbagliato una scelta che fosse una nella preparazione di questo 2017. Arriva agli appuntamenti tirato fisicamente a lucido, il suo livello di focus mentale è mirabolante, la sua voglia di vincere infinita. Sembra al contempo rilassato ma anche tesissimo, in controllo ma pure consapevole che non può dare nulla per scontato.

Roger Federer è un miracolo dello sport contemporaneo. Più di una leggenda, più di un mito. Un miracolo, né più, né meno. Perché nell’era moderna sembrava semplicemente impossibile immaginare uno sportivo della sua età in grado di rimanere a questi livelli iperborei così a lungo, così bene e migliorando le poche lacune del suo gioco (anche se forse sarebbe meglio dire approccio, in realtà) in maniera così sconcertante. Ma il basilese non è un atleta ordinario, bensì è uno di quei tennisti che nascono una volta ogni cento anni, forse di più.

 E noi possiamo essere grati che sia nato mentre potevamo essere qui a guardarlo.

Giorgio Crico
Giorgio Crico
Laureato in Lettere, classe '88. Suona il basso, ascolta rock, scrive ed è innamorato dei contropiedi fulminanti, di Johan Cruyff, della Verità e dello humour inglese. Milanese DOC, fuma tantissimo.

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