Questo non è il Milan di Galliani

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L’ha dichiarato lui stesso pochi giorni fa ai microfoni di Milan TV: con ogni probabilità queste saranno le ultime tre settimane di Milan di Adriano Galliani.
Dopo trent’anni tinti di rossonero al fianco di Silvio Berlusconi, con l’avvento della nuova proprietà cinese (il closing pare fissato tra il 2 e il 13 dicembre), lo storico Amministratore Delegato uscirà per l’ultima volta dalle porte di Milanello e di Casa Milan, lasciando spazio alla nuova dirigenza, guidata da Fassone, scelto come nuovo A.D. dai vertici orientali che saranno a capo del Milan dal 2017 in poi.

Dopo, parole sue, «ventotto primi posti, sedici secondi posti e o un primo posto o un secondo posto nella Supercoppa Italiana in un trentennio», dopo grandi vittorie e cocenti sconfitte, dopo (pochi) grandi colpi e (molte) cantonate prese sul mercato, dopo un centinaio di nuove “patch” che i tifosi rossoneri hanno potuto stamparsi sulle proprie magliette — da «il clœb più titolato al mondo» a «se contiamo la classifica degli ultimi tre anni, il Milan è la squadra che ha fatto più punti» (2012/2013), da «siamo la squadra che negli ultimi trent’anni ha vinto di più» a «se non parte nessuno, non entra nessuno» — il buon vecchio Adriano lascerà il suo amato ruolo, andandosene insieme a Berlusconi. Una fine inevitabile. Una fine giusta. Una fine senza dubbio tardiva.

E ora che lascia, la stampa cosa fa? La stessa stampa che — a volte — giustamente gli attribuiva le colpe di tutti i Milan costruiti male in questi ultimi anni, ora lo incensa per il GRANDE tesoro che lascia nelle mani della nuova proprietà. Il fantomatico Milan dei giovani, con un allenatore giovane, che gioca un gran calcio e che è soprattutto giovane. L’ho detto che è giovane? No, perché vorrei che il concetto fosse chiaro. Adriano Galliani lascia un Milan giovane. Che più giovane non si può. Forte. E giovane.
Donnarumma in porta, il futuro della nazionale italiana; Calabria, Romagnoli e De Sciglio in difesa, sembra di rivedere Tassotti, Baresi e Maldini; Locatelli in mediana, che tira come Ambrosini e imposta come Albertini; Suso, Niang e Lapadula, presi per due noccioline e ancora meravigliosamente giovani.

Allora, cerchiamo di chiarirci: Adriano Galliani è stato un buon dirigente finché ha avuto i soldi e finché il Milan è stato tra le prime cinque squadre più ricche del mondo. Da quando è finito tra il trentesimo e quarantesimo posto, ha dimostrato più di un’incompetenza sulla conoscenza dei giocatori, gestendo malissimo le poche risorse a disposizione. Che, poi, “poche” è un parolone: il Milan resta comunque la seconda squadra in Italia per fatturato, eppure non ci sembra che ogni anno sia arrivata seconda, negli ultimi cinque. Le spese folli per stipendi di giocatori e staff, gli affari fatti sempre con gli stessi procuratori, i giocatori inutili presi solo perché parte di una determinata scuderia, il “nome” — il più delle volte bollito — preso a fine estate per tener buoni i tifosi: questo è stato il Galliani degli ultimi dieci anni. Ah, e se volete aggiungeteci l’incapacità di vendere a cifre decenti i suoi più grandi giocatori, tipo Ibrahimović e Thiago Silva, venduti a meno di un David Luiz, per dire.

Tornando al paragrafo precedente, perché non ci sarebbe il tempo di analizzare in maniera dettagliata la carriera dirigenziale di Galliani al Milan (ma se avete venti minuti di tempo, potete leggere la Breve storia dei 30 anni di Galliani al Milan di Daniele Mazzanti per Ultimo Uomo), analizziamo solo il Milan attuale, quello che Adriano Galliani sta lasciando.Tralasciando il discorso sul gioco di Montella sul quale nutro più di qualche dubbio, ma non è questa la sede più opportuna per discuterne, analizziamo il meraviglioso tesoro lasciato dal “dottore” alla prossima società.
Donnarumma, classe ’99. Talento cristallino, preso quando aveva 13 anni, fatto esordire da Mihajlović. Che sia stato Galliani in persona ad andare a prendere un portiere di tredici anni in provincia di Napoli ho dei forti dubbi. Che abbia spinto per il suo esordio non ci credo nemmeno se lo vedo, visto che ha tolto il posto al suo “colpo” Diego López.
Calabria, classe ’96, è al Milan da quando ha 10 anni, non è stato scelto da Galliani e anche lui è stato lanciato da Mihajlović.
Romagnoli, classe ’95, pagato 25 milioni di euro, preteso da — guarda un po’ — Mihajlović. Vogliamo chiamarlo “colpo di Galliani”? Ha pur sempre pagato un ventenne 25 milioni di euro, non è certo una scoperta.
De Sciglio, classe ’92. Allora, se un giocatore di ventiquattro anni è un giovane mi sa che in Italia stiamo sbagliando tutto. Ma è arrivato nel 2002 a 10 anni, anche lui non scelto da Galliani.
Locatelli, classe ’98, arrivato anche lui giovanissimo, a undici anni. Non preso da Galliani.
Lapadula, classe ’90. Dai, ha 26 anni e ha poco più di 100 minuti in Serie A. Per favore.
Suso e Niang, ’93 e ’94, due giocatori certamente non fenomeni che hanno dovuto andare a Genova per esplodere e poter giocare titolari nel Milan. Il secondo è stato lanciato titolare nel Milan con continuità da, indovinate, Mihajlović.

Quindi, per concludere: Galliani non lascia proprio un bel niente alla nuova società. O, meglio, niente fatto per meriti suoi. Il suo unico merito, probabilmente, è aver approvato la decisione di investire più del 7% del fatturato annuo nel vivaio, permettendo agli scout di andare a trovare i vari Donnarumma e Locatelli, che — tenderei a ricordarlo — hanno esordito per caso nonostante i vari Diego López, Bertolacci, Montolivo, Boateng, ecc. ecc. comprati dal “dottor” Galliani.
Non sono un suo estimatore, ma andrà a finire che bisognerà dire che la nuova società si ritroverà come base da cui ripartire il “Milan di Mihajlović”. Che smacco, dottor Galliani.
E, come dice sempre lei: arrivederci, buon lavoro.

Francesco Mariani
Francesco Mariani
Twitter addicted, vive di calcio. In campo è convinto di essere Pirlo, ma in realtà è un Carrozzieri qualunque. Per lui il trequartista è una questione di principio.

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