Accerchiato

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Spesso faccio lunghe – e magari inopportune – premesse, ma questa volta andrò dritto al punto: il nostro paese deve fare un grande passo avanti per quanto riguarda la cultura sportiva, e questo ragionamento vale per tifosi, giornalisti e dirigenti. Troppo spesso i giudizi sono legati esclusivamente ai risultati, senza nemmeno considerare tutte le variabili presenti – e determinanti – in una determinata situazione. Frank de Boer non è esente da colpe, ci tengo a precisarlo sin da subito, perché sette sconfitte in così poche partite, con alcune umiliazioni di rilievo in Europa League, non sono un bottino di cui andare fiero. E lui stesso, nel momento di abbandonare la nave alla deriva, non ha cercato alibi ma ha solamente ribadito come, in un progetto di medio-lungo periodo, sarebbe servito più tempo per lavorare, per far apprendere ai giocatori i proprio schemi di gioco, per far capire ai tifosi che non è facilissimo essere paracadutati ad Appiano Gentile, senza una qualunque esperienza in Serie A, dopo anni di Eredivisie.

Al di là del giudizio dei tifosi, e ne ho sentiti parecchio vicini a Frank de Boer in questi giorni, c’è sicuramente una critica da fare nei confronti della società Inter, la più colpevole tra le parti in questa situazione. Non ho sentito nessun dirigente nerazzurro, in questi pochi mesi, prendere le distanze da qualunque voce di esonero dopo una sconfitta: soltanto dopo la vittoria col Torino, quando il clima attorno a de Boer era già ampiamente irrespirabile, qualcuno in società si è sentito in dovere di fare una dichiarazione pro allenatore (a posteriori, però, parole soltanto di facciata visto l’esonero comunicato nella giornata di ieri). Gli alibi per l’allenatore olandese sono moltissimi: dalla preparazione effettuata da un altro allenatore al mercato gestito dai dirigenti e non dall’area tecnica, passando per le difficoltà linguistiche che hanno, inevitabilmente, complicato i rapporti con i media.

Quest’ultimo punto in particolare, a mio parere, ha definitivamente stroncato la carriera di de Boer all’Inter. La vittoria contro la Juventus non è stato un fuoco di paglia come molti hanno voluto sottolineare, perché i nerazzurri hanno spesso avuto in mano il pallino del gioco quest’anno, ma hanno avuto enormi difficoltà nel realizzare e nel proteggere Handanovič dagli attacchi avversari. E hai detto poco, affermerete voi, stai parlando praticamente delle due fasi di gioco principali calcistiche, quella offensiva e quella difensiva. Sì, ma un allenatore non va giudicato soltanto in base ai gol segnati e subiti, dietro c’è molto altro, specie perché a questa squadra, anche quando vinceva 1-0, si criticava l’atteggiamento provinciale e contropiedista. Ho visto poche, pochissime analisi lucide e non dettate dalla voglia di cavalcare l’onda anti de Boer sulla situazione nerazzurra: ciò che ho notato, invece, è un accerchiamento di massa nei confronti del capro espiatorio di turno. D’altronde contro argomentazioni quali “Frank di Burro” stampato a caratteri cubitali in prima pagina c’è poco da rispondere, specie se l’asilo lo si è terminato da qualche anno. Per non parlare delle voci di esonero praticamente sicure che giravano poco prima della partita col Torino: “Salterà anche in caso di vittoria“, dicevano in una nota pay tv. Ci si è anche preoccupati di fare una copertina prepartita interamente dedicata all’olandese, facendo anche battute sul suo stato d’animo “sollevato” per cui vi rimando a ciò che ho detto prima sull’asilo.

Si è parlato pochissimo, invece, del coraggio che ha avuto de Boer sin da subito: proporre il modulo a tre punte con João Mário, Banega e Brozović a centrocampo, visti gli anni passati a schierare mediani di rottura, è una novità da tenere conto a San Siro. Perché non parlare poi di Senna Miangue, lanciato dallo stesso olandese, seppur in condizioni di emergenza? Tutto questo senza avere la minima considerazione da parte della società che lo aveva assunto per creare un nuovo progetto, una nuova Inter che fosse molto diversa da quella schizofrenica degli anni di Moratti, una società più internazionale che non puntasse il dito subito contro l’allenatore ma avesse la pazienza di aspettare. Tutto costruito e demolito in soli ottanta giorni, nemmeno tre mesi. Chiunque arrivi sulla panchina nerazzurra adesso può certamente migliorare le cose nell’immediato, ma allora per arrivare terzi subito non bastava Mancini, che ci era andato vicino la scorsa stagione senza Candreva, João Mário, Gabigol e Ansaldi? Nel calcio servono idee chiare non solo in campo, ma anche in ufficio.

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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