Il testimone di Flemming

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Flemming Povlsen è stato un centravanti danese di un certo talento, attivo tra gli anni ’80 e gli anni ’90. Come molti danesi, ha girato l’Europa militando nel Colonia, nel PSV e nel Borussia Dortmund. Con la sua Nazionale fu anche Campone d’Europa, nella storica edizione del 1992. Ma a richiamarlo alla memoria è stato il Commissario Tecnico azzurro Ventura, quando con un guizzo degno del miglior Bizzotto, ha ricordato in conferenza stampa che la Spagna ha perso l’ultima partita di qualificazione ai Mondiali 23 anni fa.

Quel che Ventura non precisa, lasciando sospesa la golosità statistica è che la suddetta sconfitta avvenne il 13/3/1993, contro la Danimarca, a Copenaghen, per 1-0. Gol alla mezzora di Flemming Povlsen. Per il resto del tempo, ci pensò la stella del Manchester United, il portiere Peter Schmeichel, a mantenere inviolata la porta danese.
Allora la Spagna era allenata da Clemente, in campo andavano ancora Zubizarreta, Nadal ed Amor, il regista era un certo Pep Guardiola, mentre il giovane Luis Enrique scalpitava per essere convocato e Raúl González Blanco avrebbe indossato la maglia delle Furie Rosse solamente tre anni dopo. In difesa comandava Hierro e davanti torreggiava Julio Salinas, centravanti di pesante sfondamento.
E l’Italia, cosa faceva in quelle concomitanze? Pochi giorni prima, sempre in un incontro valido per le Qualificazioni al Mondiale 1994, l’Italia seppelliva Malta a Palermo, con una goleada vecchio stile: 6-1, reti di Dino Baggio, di Beppe Signori, dei difensori Paolo Maldini e Pietro Vierchowod e doppietta di Roberto Mancini, l’unica nella sua carriera in Nazionale. L’allenatore era Arrigo Sacchi e Roberto Baggio per l’occasione era assente. Quella Spagna e quell’Italia si incontrarono ai quarti del Mondiale statunitense, a Foxborough nel Massachusetts, e finì 2-1 per noi. Goal del vantaggio di Dino Baggio, autogol di Benarrivo e goal decisivo di Roby Baggio, all’88’. Indimenticabile la coda velenosa della sfida, con la gomitata rifilata da Mauro Tassotti a Luis Enrique in pieno recupero, a difesa del risultato. Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti, chioserebbe Paolo Conte.

E poi venne l’acqua che è passata sotto i ponti: l’onda lunga degli insegnamenti di Michels e Crujff avrebbe plasmato il modo di giocare degli spagnoli, fino al successo al Mondiale del 2010, incastonato tra le due agli Europei. Anche per l’Italia, oltre alla finale del già citato mondiale 1994, sarebbe giunto il successo ai Mondiali tedeschi del 2006, preceduto e seguito di sei anni da due sfortunate finali europee, perse in rimonta contro la Francia nel 2000 e contro la stessa Spagna nel 2012, con quel nettissimo 4-0.
Se questa è la discendenza ventennale delle due contendenti, non possiamo certo dimenticare che l’ultima disfida, appena pochi mesi fa è finita 2-0 per noi, con le reti di Chiellini e Pellè. Una partita che aveva rilanciato le aspettative azzurre e affossato i segnali di ripresa degli spagnoli.
La sfida di Torino arriva che la ristrutturazione delle due squadre è ancora in atto, eppure avrà un valore probabilmente già cruciale. In un girone dove le altre quattro avversarie si chiamano Albania, Israele Macedonia, Liechtenstein, con tutto il rispetto per il resto delle contendenti, è probabile che siano Italia e Spagna a giocarsi la qualificazione su due piani: gli scontri diretti e la differenza reti. Sotto quest’ultimo aspetto, l’8-0 rifilato ai valligiani di Vaduz dalla Spagna è già per loro un buon viatico. E’ appena il caso di ricordare infatti che nei nove gironi passeranno le prime di ciascun girone, mentre 8 tra le 9 seconde dovranno contendersi il passaporto per la Russia in quattro confronti ad eliminazione diretta e solo 4 residueranno quali partecipanti finali.

Tramontato il sole sul regno di Del Bosque, oggi sulla panchina della Spagna siede Julen Lopetegui, uno che in Nazionale ha giocato una volta sola, ma è stato comunque molto presente, seppure in panchina. Per esempio, quando 23 anni fa, Flemming Povlsen firmò quel gol di cui dicevamo sopra, lui c’era. E anche ai Mondiali del 1994, in quel di Foxborough, Massachusetts.
In fondo, non sarebbe proprio il testimone ideale per assistere alla caduta di un record?

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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