Un Capitano per sempre

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“Le bandiere nel calcio non esistono più”, dice un uomo al suo amico, mentre sorseggia una birra fresca in uno dei tanti bar di una delle tante città italiane. Chiacchiere da bar, appunto, futili e fini a se stesse, ma che hanno il beneficio di distogliere l’attenzione (leggasi “preoccupazione”) dalle cose serie della vita. Eppure, in uno dei tanti bar di Cagliari, una coppia di amici come ce ne sono tanti, non la pensa allo stesso modo. E non solo là, a quanto pare.

Questo finale di stagione ha lasciato il magone in tanti romantici del calcio, quelli che si alimentano d’emozioni. I saluti di Totò Di Natale, Luca Toni, Christian Abbiati, Gianpaolo Bellini, Miro Klose ci hanno ricordato che il calcio cambia e volta pagina, e che il tempo passa, inesorabilmente, per tutti. Bandiere, appunto. Di Udinese, Verona (e non solo), Milan, Atalanta, Lazio; bandiere che esistono e che sono la prova pulsante che quelle dicerie da bar, in fin dei conti, stanno a zero. Certo, il nostro non è più il calcio degli anni ’60, ma qualche bella storia è capace di regalarcela ancora.

Ultimo di questa serie di bandiere, anche se in realtà è il primo, visto che ha appeso le scarpette al chiodo già da un anno, è Daniele Conti, il capitano del Cagliari, un romano che a vent’anni si è tolto la maglia giallorossa e ha indossato, fino ad assorbirla come fosse l’inchiostro di un tatuaggio, quella rossoblù con lo stemma dei quattro mori. Uno che non ha mai fatto drammi per le mancate convocazioni in maglia azzurra, perché il Cagliari era la sua Nazionale, e non serviva altro per essere felici.

Come quella volta a Napoli, contro gli odiati rivali, quando una sua zuccata consentì ai sardi di ribaltare il risultato e di vincere al San Paolo, chiudendo di fatto il discorso salvezza. O quel giorno al Sant’Elia, quando segnò una doppietta al Torino nel giorno della sua trecentesima partita con la maglia del Cagliari. Un predestinato. La corsa ad abbracciare il figlio a bordocampo, poi, è impressa come una delle immagini più dolci della storia di questo sport.

Sedici stagioni, 464 gare in rossoblù, oltre cinquanta gol. I numeri non regalano emozioni, ma fanno capire perché ieri sera al Sant’Elia erano in tanti e tutti per lui nel Conti Day. La famiglia (da Bruno padre a Bruno figlio), i compagni e gli allenatori di una vita, ma soprattutto i tifosi, i suoi tifosi, quelli che l’hanno anche criticato nei primi anni in Sardegna, ma che poi l’hanno adottato e amato incondizionatamente. E dire che nel capoluogo sardo non si vedono tutti i giorni feste come quella di ieri.

Oltre dieci anni fa venne ritirata la maglia rossoblù numero 11, quella che appartenne al Mito Gigi Riva. Ma anche allora fu un momento isolato, breve e intensissimo, prima dell’amichevole Italia-Russia, con Rocco Sabato (sconosciuto ai più, ma consegnato agli annali come ultimo 11 cagliaritano) che consegnò a Rombo di Tuono la maglia col numero che sarebbe stato per sempre suo.

Ieri, addirittura, una giornata tutta per Daniele, resa ancora più dolce dalla consegna al Cagliari del presente della Coppa della Serie B. Poi l’invasione di numeri 5 (tutti i giocatori del “Conti Team” indossavano la maglia col medesimo numero) come epilogo perfetto di una stagione in cui nessuno aveva avuto il coraggio di indossarlo. Ora il calcio italiano ha il suo secondo grande Conti, il primo per quello isolano. Evidentemente, le bandiere esistono ancora.

Francesco Cucinotta
Francesco Cucinotta
Sardo di origini sicule, ama il calcio dalle “notti magiche” di Italia ’90. Laureato in Comunicazione con una tesi sulla lingua del calcio e pubblicista dal 2010. Per anni inviato al seguito del Cagliari Calcio per Radio Sintony.

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