Mai dire gol e il calcio da ridere

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“C’è chi dice che il calcio sia questione di vita o di morte: non concordo con quest’affermazione; posso assicurarvi che è una questione molto, ma molto più seria”. L’asserzione del leggendario coach del Liverpool Bill Shankly coesiste sottopelle in ogni partigiano del pallone che si rispetti. Eppure, 25 anni fa, il 18 novembre 1990, in un tempo in cui si era arrivati a prendere fin troppo seriamente le appartenenze identitarie di fede calcistica e le emanazioni luminose dei Divi dello Scarpino, un’ irreverente trasmissione ebbe l’audacia di scompigliare i registri della comunicazione, aggiungendo una nuova dimensione partecipativa: quella in cui si rideva dell’intero carrozzone.

Stiamo parlando di Mai Dire Gol, la trasmissione condotta dalla Gialappa’s band, ovvero il trio formato da Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci, intorno al quale una generazioni di talenti della comicità italiana iniziò a dar vita a una serie di personaggi, rimasti memorabili per chi c’era ed oggi oggetto di continui ripescaggi su youtube, per chi è venuto dopo.

Dovessimo dare un volto al ricordo, forse avrebbe i contorni di Frengo, il Dee Jay del Tavoliere, mentre compare in scena portando la croce, dopo un risultato deludente dell’amato Foggia di Zeman. Oppure il trio Aldo, Giovanni e Giacomo, nella veste dei sardi sostenitori di Giggirriva. Ma felicemente a ruota in volata, vengono in mente anche Gene Gnocchi, Francesco Paolantoni, Teo Teocoli e il suo “Felice Caccamo” (con le sue gite in compagnia di Bruscolotti e Pesaola), o anche Daniele Luttazzi con il Professor Fontecedro e Paolo Hendel con “Carcarlo Pravettoni”, che allargavano la semantica dell’umorismo a personaggi non necessariamente legati al calcio. Tormentoni e fior di conio linguistici, inserzioni di frammenti pop nel linguaggio comune (“Ho vinto qualche cosa?”), una serie di imitazioni sconfinata che nemmeno la Settimana Enigmistica, rappresentano l’effetto duraturo e persistente della trasmissione.

Accanto all’interazione con gli interpreti, la Gialappa’s ebbe il merito di dare la stura anche a nuovi format di comicità video, con rubriche come “Vai col liscio” e “Questo lo segnavo anch’io”, dedicato alle defaillance tecniche sul rettangolo verde, il “Pippero” berlina per gli attaccanti in crisi di identità (lo vinse persino Batistuta, nella sua prima stagione italiana) o la rubrica che andava a ripescare le meteore straniere per consacrarle nel pantheon della bidoneria postuma. Forse in pochi ricorderanno – per citarne giusto una – l’esilarante clip dedicata al bomber ellenico dell’Avellino Anastopoulos, giunto con referenze da scardinatore delle porte avversarie (ben inteso, resta sempre il miglior cannoniere nella storia della Nazionale greca con 29 reti in 79 presenze) e ripartito mestamente dopo 16 partite senza nemmeno una rete. La Gialappa’s lo ritrasse mentre si imbarcava sull’aereo del rimpatrio, con il languido straziante motivo di “Tornerò” dei Santo California nel sottofondo del montaggio.

Un capitolo a parte meriterebbero le “Interviste impossibili”, che andando a pungolare il gusto dello spettatore per gli sfondoni linguistici, resero celebri le sfuriate di Trapattoni, il meticciato linguistico italo-brasiliano dell’allenatore viola Sebastiao Lazaroni, le dichiarazioni disarticolate di Presidenti come Lugaresi del Cesena o Massimino del Catania, o perle estemporanee, rimaste magari anche apocrife nei ricordi, come “Sono completamente d’accordo a metà con il Mister” (Luigi Garzya, difensore di Lecce e Roma).

Non son mancate le altre trasmissioni che al calcio hanno saputo unire l’intrattenimento, una per tutte la longeva “Quelli che il calcio” (citiamo tra i personaggi, l’attore Massimo Buscemi, l’esperto “tassonomico e non nozionistico”, declamatore di dettagliati curricula, chiosati con il tormentone “Tutto questo, per la precisione!”), che costituiva anche una forma di risposta della Rai di fronte all’avanzare delle Pay-Tv, nel momento in cui la diretta delle partite sulle nuove emittenti aveva stravolto le rendite di posizione dell’emittente di Stato, ferme sulla staticità della cronaca settoriale di “Tutto il calcio…”, “90° Minuto” e “la Domenica Sportiva”. Senza dimenticare che, proprio in Rai c’era stato il prodromo del movimento, rappresentato dall’umorismo sagace di Beppe Viola.
E tuttavia, nonostante l’impatto dei primi anni, il contenitore Rai, proprio per il suo legame con la concomitanza di palinsesto, nel tempo ha mostrato un progressivo affievolimento nella capacità di presa.

E oggi? Nella dimensione social ancor di più si continua a ridere del calcio. A chi non è capitato di seguire (o vedere qualcuno che seguiva) una partita con occhi e dita concentrati sullo smartphone e sugli hashtag del momento, magari per commentare anche in maniera divertita un avvenimento live? Molte sono le pagine dedite su Facebook e su Twitter, tra alti e bassi di comicità o di satira, giochi di parole e colpi di genio (ma anche plagi a man bassa). Milioni di bit che danno vita a dissacrazioni, tanto più necessarie quanto si accresce in contemporanea il furore fanatico da tastiera del supporter incarognito (del calcio o del motociclismo che sia).
E forse, è proprio attraverso lo smartphone, lo strumento che è stato capace di detronizzare il telecomando dai salotti del Regno e che in fondo svolge la funzione domestica degli occhialini cinematografici per il 3D, facendo da modem di un’ulteriore dimensione interattiva, che passa anche l’evoluzione di trasmissioni come “Mai dire gol” o “Quelli che il calcio” e pure il divertimento di chi ne fruisce. La voglia di ridere, soprattutto oggi, è sempre bene che non passi mai.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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