Marco Simoncelli, parla il padre Paolo: “Marco è ormai diventato una leggenda”

-

Sono passati ormai quattro anni da quel 23 ottobre 2011 che ha portato alla scomparsa del campione italiano di motociclismo Marco Simoncelli sul circuito di Sepang durante il Gran premio della Malesia. Per molti le immagini in diretta dell’incidente di Sic sono indelebili e non potranno mai essere dimenticate. Oggi il ricordo di Marco Simoncelli e del suo essere un “normale” e coraggioso ragazzo in un Circus di eroi è ancora vivo, soprattutto nei suoi familiari, come testimonia un’intervista rilasciata in questi giorni a TuttoSport dal padre di Marco, Paolo Simoncelli. 

Dopo la morte di Marco hai portato avanti tanti grandi progetti, tra cui quello racing. Raccontacelo.
“Il progetto corse è nato tre anni fa. Per capire qualcosa… per pensare ad altro… anzi, per non pensare. Ho iniziato con due pilotini, due storie diverse, due tredicenni: Mattia Casadei e Kevin Sabatucci. Ho cominciato con due pre moto 3, delle Honda 125, che abbiamo usato nel campionato italiano. Alla prima gara mia moglie e mia figlia si sono presentate in pista ed ho capito che avevo scelto la strada giusta”.

Poi cosa è successo?
“Il secondo anno ci siamo attrezzati, abbiamo comprato il bilico, ed hanno corso con noi quattro piloti. È stato tutto molto positivo. Le corse hanno continuato a darmi qualcosa e sono andato avanti e abbiamo anche vinto due titoli italiani con Tony Arbolino”.

Quali sono le regole del tuo team?
“I ragazzi che iniziano a correre con me non pagano un euro. Gareggiano perché ho visto qualcosa in loro. Io ci metto la passione e la professionalità. Ho cercato di fare un team da MotoGP, per garantire il massimo ai ragazzi che corrono con me. Il mio rapporto con loro è quello che avevo in passato con i giovani. Cerco di usare la tecnica del bastone e della carota. Secondo me funziona. I ragazzi vanno elogiati ma anche sgridati e soprattutto difesi quando hanno ragione, anche se nella cattiva sorte”.

Come è stato possibile organizzare un team così in poco tempo?
“Molti team hanno problemi economici. Io ho potuto realizzare questo sogno e posso permettermi di dare la possibilità a dei ragazzi di iniziare a gareggiare, perché ho fatto una telefonata agli sponsor storici di Marco e loro mi hanno aiutato subito. Senza di loro non avrei potuto fare niente”.

Quali sono gli obiettivi del progetto?
“Nel 2017 gareggeremo nel mondiale Moto3. Non serve andare oltre. Idealmente io vorrei costruire un percorso per portare i giovani talenti al mondiale, partendo dal basso. Siamo a buon punto, perché già oggi siamo presenti sia nel CEV, sia nel CIV, le due più importanti vetrine nazionali. Siamo arrivati a questo punto da soli, perché il nostro team è una struttura che non ha nulla a che fare con le istituzioni. Ci possiamo definire degli indipendenti di sinistra… Ovviamente scherzo… Diciamo che noi andiamo avanti con la nostra autonomia economica e il nostro modo di fare e di ragionare con i ragazzi”.

C’è molto altro oltre alle corse. Ti va di parlarne?
“Certo. C’è la fondazione, che va di pari passo con il team. È una cosa spavantosa, perché la gente ci ha seguiti in maniera incredibile. Gestiamo la fondazione come un moto club, quindi ogni anno abbiamo dei tesserati. Poi ci sono tante persone che credono in quello che facciamo. Abbiamo raccolto circa 2,3 milioni di euro. Abbiamo già fatto delle opere spendendo circa 300.000 euro e adesso faremo il centro dedicato ai ragazzi bisognosi, alla casa famiglia di Monte Tauro. Sarà un’opera meravigliosa, perché era il sogno di Marco. Sarà il nostro fiore all’occhiello. La spesa supererà i due milioni di euro. Anche qui, però, mi sto arrabbiando tanto. Io vorrei che in questa opera ci guadagnassero solo i bambini che hanno problemi, invece mi devo rapportare con imprenditori che vogliono lucrare sugli appalti. Comunque, posso anche capire che chi non ha avuto esperienze dirette con questi bambini non può comprendere. Neppure io capivo. Quando Marco andava a trovarli io lo guardavo, lo guardavo che li abbracciava e li baciava. E non capivo, pur essendo lì. Solo oggi ho capito…”.

Il mondo delle corse ti ha dato tanto ma ti ha tolto tanto. Le iniziative sociali ti permettono di portare avanti quello che Marco aveva iniziato, senza vivere il mondo delle corse, che però tu vuoi vivere. Perché?
“Non è giusto perdere un figlio. Chi lo ha perso, purtroppo, sa di cosa sto parlando. Non ci sono parole. O decidi di mettere la testa sotto terra o trovi qualcosa da fare per non pensare. Ed io ho scelto di fare quello che mi piace. Non per far quadrare i conti o meno. Ma per vivere, per parlare di Marco. Io voglio parlare di Marco e quando lo faccio sorrido, perché lo ricordo”. 

Quando la gente viene da te per parlare di Marco, immagino non sia facile.
“Al museo, a Coriano, viene tanta gente, che piange, ed a volte l’assurdo è che sono io che consolo loro. Perché io, invece, ricordo i momenti felici vissuti con Marco, il suo modo di fare, le sue battute, il suo lato bello”.

In Spagna Marco era stato criticato da piloti e tifosi. Oggi sembra tutto diverso.
“In Spagna, il Paese dove lui è stato più osteggiato, tutti mi abbracciano, mi chiedono cose che lo riguardavano. Marco è ormai diventato una leggenda e la gente gli vuole bene. Purtroppo è così. Dico purtroppo perché Marco non è qui”.

È strano, dalle tue parole sembra quasi che tu ti consideri un fortunato.
“Non tutti i genitori vivono nella stesso modo la morte di un figlio. Ad esempio, ho conosciuto i genitori di Pantani, che è stato massacrato mediaticamente. Da questo punto di vista noi siamo stati molto più fortunati”.

Hai qualche rimpianto che riguarda il tuo passato e quello di Marco?
“Non ho nessun rimpianto. Rifarei tutto quello che ho fatto. Marco viveva per le corse e ha fatto ciò che amava. Ci sono dei giorni buoni, dei giorni meno buoni, però vai avanti. Anche questo significa essere genitori. E ti assicuro che noi non siamo quelli che soffriamo di più. Io sono spesso a contatto con i genitori dei bambini che hanno problemi seri. Quei genitori sono i veri super eroi, perché vivono una quotidianità durissima. Io direi addiritura ingiusta”.

Rifaresti tutto quello che hai fatto dopo la morte di Marco?
“Assolutamente sì, perché in definitiva… non ho fatto niente. Ha fatto tutto Marco. Lui era speciale, la gente lo sapeva e non lo ha dimenticato. Lui oggi è ricordato da tutti, in tutto il mondo ed il merito non è il mio, è il suo. Io sto solo cercando di portare avanti quello che lui avrebbe voluto fare”.

Recentemente, al GP Giappone di MotoGP, Alex De Angelis è stato sfortunato protagonista di un bruttissimo incidente. La dinamica ricordava molto quella dell’incidente di Marco. Non pensi che si debba fare di più per la sicurezza?
“Gli aerei sono sicurissimi, però ogni tanto qualcosa accade. Dove c’è velocità c’è pericolo, è inutile nasconderlo. Marco è morto nella pista più sicura del mondo, a 47 km/h. Dove c’è velocità c’è pericolo. Pensa, per me guidare lo scooter in città è più pericoloso che portare al limite una MotoGP. In città muori anche se hai ragione; basta che qualcuno non rispetti la precedenza. È chiaro che l’imponderabile c’è sempre. Per la sicurezza si fa tanto. Per i piloti si fa tanto. Se uno non accetta il rischio per la velocità è meglio che stia a casa. Le gare assolutamente sicura non esistono. Purtroppo è così”.

I bambini che corrono con te ti fanno domande sul tuo passato e sul passato di Marco?
“Sono bambini che fanno un mestiere da grandi. Nella mente di tutti i piloti c’è il pensiero che l’incidente non toccherà mai a loro. Magari da bambini non pensano neppure alle cadute ma solo a divertirsi, perché andare in moto è bellissimo. Da parte mia sono molto attento a verificare che tutti i fattori sicurezza siano rispettati, però raramente rispondo alle domande sull’incidente di Marco”.

Qualcuno ha tentato o tenta di lucrare sulla morte di Marco?
“Sulla morte di Marco lucrano tutti. A Milano è stata arrestata una persona che ha rubato molti soldi sfruttando il nome della fondazione ed esistono milioni di magliette abusive e cappellini abusivi. Quindi tutti lucrano sulla morte di Marco Simoncelli. Anche quelli che organizzano eventi col nome di Marco; lo fanno per avere un maggiore ritorno economico. A noi fa comodo, non lo nascondo, perché grazie a loro otteniamo dei fondi per aiutare chi ha bisogno, ma affermare che usano il nome di Marco solo per ricordarlo… non è così. Questa è la situazione ma cosa puoi farci? Nulla. Alla fine andiamo avanti con le nostre attività, cercando di fare del bene”.

Stefano Pellone
Stefano Pellone
Parte-nopeo e parte bolognese, ha collaborato a vari progetti editoriali e sul web (Elisir, Intellego, Melodicamente). Ha riscoperto il piacere del calcio guardando quello femminile.

MondoPallone Racconta… L’esilio dalla panchina

Il ritorno di Antonio Conte in panchina dopo la squalifica per lo "Scandalo Scommesse", avvenuto pochi giorni fa, è stato sicuramente vissuto come un...
error: Content is protected !!