Calcio femminile, quanta confusione

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A che livello è arrivato il calcio femminile in Italia dopo questa estate lunga e travagliata? Vediamo di fare un attimo il punto della situazione, per quanto sia possibile.

In questi mesi estivi il consiglio federale della FIGC ha dapprima approvato la modifica che obbliga le società di Serie A e B ad avere una formazione di Giovanissime (Under 12) a partire dalla stagione 2015-2016 e di Allieve (Under 15) entro l’anno successivo e successivamente ha deliberato la riforma che permette ai club professionistici maschili di acquisire il titolo sportivo della controparte femminile, ultimando questa mini rivoluzione con la nascita del Comitato Calcio Donne in seno alla Federazione e non più dentro la Lega Nazionale Dilettanti. Una svolta netta che dovrebbe favorire il dialogo e la nascita di sinergie virtuose fra club femminili e società maschili e, soprattutto, dare un maggiore impulso allo sviluppo del calcio femminile nel nostro paese. Il Presidente ha posto infine in votazione l’istituzione di una Commissione ristretta sul calcio femminile, da lui stesso presieduta e composta da soli componenti del Consiglio (Abodi, Cosentino, Tommasi e Ulivieri con la partecipazione del presidente del Settore Giovanile e Scolastico Tisci).

Se si confrontano le statistiche di crescita europee del numero di ragazze che giocano a calcio il quadro è a dir poco impietoso: l’Italia è fanalino di coda, superata da nazioni come Ungheria e Austria, ed è uno dei pochissimi stati in recessione, dato che quasi 2.200 ragazze hanno abbandonato la pratica mentre negli ultimi 30 anni il numero delle tesserate è praticamente rimasta stabile; erano 18.000 nel 1984 e sono 20.563 oggi. Un dato imbarazzante se confrontato alle 258.380 calciatrici tesserate della Germania, le 167.949 della Svezia, le 137.525 dell’Olanda, le 106.696 della Norvegia (un paese con un dodicesimo della nostra popolazione), le 89.118 dell’Inghilterra, le 73.000 della Danimarca e della Francia e le 31.314 della Spagna.

La prossima Serie A Femminile vedrà al suo interno formazioni come la “Fiorentina Women’s Football Club” di proprietà della Fiorentina e presieduta da Sandro Mencucci, già consigliere delegato della società viola, un deciso segno del cambio dei tempi in un paese dove il calcio è quasi religione e gli stereotipi sulle donne e sul pallone sono davvero duri a morire (Belloli docet). Forse davvero sta per iniziare una nuova era nel calcio femminile, capitanata da Vincenzo Vergine, che è stato responsabile del settore giovanile e svolgerà l’incarico di amministratore delegato dei viola. Forse. Questa rivoluzione ha bisogno però necessariamente di due cose: allargare il bacino di utenza del calcio femminile e aumentare le risorse a disposizione delle squadre di calcio in rosa. Senza questi due cambiamenti l’Italia non riuscirà mai a recuperare il gap con le altre nazioni europee e mondiali (e chi ha visto le gare dello scorso Mondiale di calcio femminile in Canada sa cosa sto dicendo).

Davvero sta per iniziare una nuova era per il calcio femminile italiano? Noi lo speriamo ma non possiamo saperlo e preferiamo che a dirlo per noi sia Martina Angelini, la voce del calcio femminile di Eurosport: “Penso che davvero questo possa essere una specie di anno zero per il calcio femminile italiano perché dopo anni di immobilismo finalmente la Figc ha varato delle norme volte ad allargare la base obbligando le società di A e di B ad avvicinarsi a questo mondo e a fare in modo che sempre più bambine e ragazzine si avvicinino a questo sport. Da questa stagione 42 club sono obbligati ad organizzare un Under 12 di 20 giocatrici ed entro i prossimi due anni saranno chiamate ad allestire anche l’Under 15 e l’Under 17 significa che potenzialmente da qui al 2018 almeno 2500 ragazzine potrebbero avvicinarsi a questa disciplina. Coinvolgere le società di A e B dovrebbe significare anche alzare il livello: nessuno ci sta a perdere 10 o 12-0 contro le giovanissime del Milan, dell’Inter o del Verona e così anche le società più scettiche o meno attrezzate per evitare figuracce proveranno a prendere sul serio questo impegno lavorando in funzione della crescita tecnica e fisica delle allieve. Per tali ragioni sono ottimista anche se per vedere risultati tangibili, come ad esempio un campionato di massima serie composto interamente da squadre professionistiche, a mio avviso ci vorranno almeno 10 anni. Il calcio in Italia lo giocano i ragionieri sovrappeso dopo il lavoro, gli scapoli e gli ammogliati, i bimbi nel cortile ma per qualcuno fa ancora strano che lo giochino le ragazze. Questa mentalità deve cambiare se si vuole davvero provare a crescere come movimento. Quando la Germania ha scelto di investire pesantemente sul calcio per ritornare ai vertici mondiali ha speso soldi a tutti i livelli anche sul femminile raggiungendo risultati importantissimi a livello internazionale e allargando a dismisura il bacino dei tesserati. Da noi ad oggi questo sarebbe irrealizzabile visto che ancora siamo lontani dal riconoscere il professionismo per le giocatrici femminili. Credo sia anticostituzionale che, per fare esattamente la stessa cosa, ovvero allenarsi tutti i giorni, giocare in Italia, all’estero e in Nazionale, un uomo sia considerato professionista e una donna dilettante. La trovo una grave forma di discriminazione di genere che non può essere accettata nel 2015 e a cui spero si ponga un giorno rimedio…”.

Stefano Pellone
Stefano Pellone
Parte-nopeo e parte bolognese, ha collaborato a vari progetti editoriali e sul web (Elisir, Intellego, Melodicamente). Ha riscoperto il piacere del calcio guardando quello femminile.

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