Mondo Pallone racconta… La storia di Giacomino e di Angelo Anquilletti

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10 Gennaio di quest’anno. In un paese a pochi chilometri da Lecco Giacomino, un pensionato, sta leggendo, come ogni giorno, la Gazzetta dello Sport. Nelle pagine interne, una notizia che lo colpisce più delle altre. Non è un’anticipazione di mercato che riguarda la sua Inter, ma quella della morte di Angelo Anquilletti, avvenuta il giorno prima. Gli occhi guardano un attimo il cielo e la memoria, nel frattempo, comincia a galoppare. Fine degli anni 50. Giacomino è un ragazzone alto 1,90, originario della Valcamonica. Gioca in attacco, è estroverso, ha del talento. Nello stesso spogliatoio Angelo, terzino. Gli deve almeno 15 centimetri, parla poco, ma negli allenamenti, se si trovano uno contro l’altro, è l’unico che riesce (spesso, non sempre) ad anticiparlo, e a non farsi imbrogliare dalle sue finte.

Nei campetti di periferia, ogni tanto, guidati dal passaparola, arrivano gli uomini del calcio che conta. Il giorno nel quale passano Giacomino non c’è: un raffreddore, o forse una ragazza. Agli osservatori piace invece molto quel terzino coriaceo, ma corretto. Angelo Anquilletti, da quel campetto anonimo, prende il volo. Un viaggio che lo porterà fino alla “Bombonera” di Buenos Aires. A giocare, con la maglia del Milan, la Finale della Coppa Intercontinentale, il massimo torneo di calcio per Società.

Prima di approdare al Milan, nel 1966, Angelo (“Anguilla” per i tifosi rossoneri) passa dalla Solbiatese (tre stagioni in Serie D, dal 1961 al 1964), per poi trasferirsi all’Atalanta, dove esordisce in Serie A il 15 novembre 1961, a 21 anni. Ma è nel Milan che “Anguilla” costruisce la sua carriera: qua, sotto la guida prima di “Sandokan” Silvestri e dopo del “Paròn” Nereo Rocco vincerà, praticamente, tutto, sempre con la maglia numero 2 sulle spalle: Coppa Italia (4 volte), Campionato, Coppa Campioni, Intercontinentale, Coppa delle Coppe (2 volte).

Anquilletti è l’uomo giusto per il Paròn: al momento della distribuzione delle maglie, gli assegna il suo uomo, e sa che l’”Anguilla” lo prenderà in consegna dal tunnel degli spogliatoi fino alle docce di fine partita. Meticoloso, guarda alla televisione gli attaccanti avversari e legge di loro sui giornali; sa se sono mancini, come saltano di testa, persino se il loro mediano preferisce cercarli con i lanci lunghi o con i passaggi corti. Si troverà a marcare, tra gli altri, nella Finale di Coppa Campioni del 1969, Johann Cruijff, rapido ed imprevedibile come il suo vecchio compagno di squadra.
Negli anni giovanili punta soprattutto sull’anticipo e sulla velocità, fedele al dettato di Gianni Brera: “Puoi essere il Dio della pelota in terra, ma se uno in grado di correre più di te non te la lascia toccare (essa pelota), tu scadi immediatamente nel signor Nessuno”. Con l’incedere dell’età, la velocità lascerà il posto al mestiere. Nel 1977 il trasferimento al Monza, in serie B, dove chiuderà la carriera.

In Nazionale, Anquilletti si trova chiuso nel ruolo da Tarcisio Burgnich, del quale è la riserva naturale. Fa parte della rosa Campione d’Europa nel 1968, ma non gioca neppure un incontro. Nel 1970 è pronto per essere uno dei 22 della spedizione messicana, ma si infortuna alla caviglia contro la Juventus, nella terzultima di Campionato: stagione finita, e al suo posto in Messico andrà Poletti del Torino. Nel dopo carriera, niente calcio: uno come lui, abituato allo stile del “Paròn”, a letto alle dieci il giorno prima della partita, non era adatto al calcio di oggi, tutto muscoli, zona, discoteche e veline. Gli scarpini però li calzava ancora, sempre per beneficenza: non si è mai tirato indietro quando si trattava di raccogliere denaro per i meno fortunati.

E Giacomino? Nonostante il talento, non divenne un giocatore professionista. La Vita gli avrebbe regalato una famiglia, una casa e un lavoro sulle montagne sopra Lecco, una primogenita stupenda e, se possibile, ancora più tifosa di lui (che pure non perdeva una partita dell’Inter a San Siro per nulla al mondo, sempre seduto sotto il tabellone con l’orologio, al secondo anello), e tre bellissimi nipoti.

Silvano Pulga
Silvano Pulga
Da bambino si innamorò del calcio vedendo giocare a San Siro Rivera e Prati. Milanese per nascita e necessità, sogna di vivere in Svezia, e nel frattempo sopporta una figlia tifosa del Bayern Monaco.

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