Storia fantastica di Kazu Miura

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Anno 1967, a Caldogno vagisce in culla Roberto Baggio, in Argentina viene al mondo l’implume Claudio Caniggia, mentre in un terzo angolo del mondo, nel paese del sol levante, nasce Kazujoshi Miura.

Dei primi due si sa tutto, mentre il terzo lo ricordano appena quanti hanno memoria della stagione 1994-95 della serie A italiana. In quell’anno, “Kazu” Miura firmò un contratto con il Genoa, diventando il primo giocatore giapponese a militare nel nostro campionato.
Fino a quel momento, il Giappone aveva esportato alle nostre latitudini ben pochi nomi: Shingo Tamai, protagonista dei Superboys nei primi anni ’80, Holly e Benj negli anni successivi. Eroi a due dimensioni, capaci di prodigiosi tiri in avvitamento multiplo e di rincorse estenuanti su campi infiniti. Ben inteso, all’interno dei rispettivi cartoni animati.
Miura invece era un calciatore in carne ed ossa, con una gavetta da eroe dei due mondi. Appena quindicenne, nell’82, mentre Paolo Rossi faceva piangere il Brasile, si recò nella terra di Zico e Socrates, dove si fece le ossa con Santos, Palmeiras e Coritiba.

Nel 1990, mentre i coetanei Baggio e Caniggia si apprestavano a sfidarsi nella semifinale mondiale di Napoli, Miura rientrò in patria per vestire la maglia dello Yomiuri, poi rinominato Verdy Kawasaky. In quegli anni, anche per lui si aprirono le porte della Nazionale maggiore. Record di 13 gol nelle qualificazioni per USA ’94, non ancora sufficienti tuttavia a portare il Giappone ai Mondiali.
Quando Miura arrivò a Genoa aveva ventisette anni e in patria era già un marchio registrato da esportazione, sposato per di più con una famosa cantante e modella. Gira in Porsche e pare avesse un cane a cui aveva dato nome “Vito Corleone”. L’intera operazione legata al suo ingaggio rientrava in una manovra promozionale legata a una cordata di sponsor che pagarono tanto l’ingaggio quanto un gettone al Genoa, per ogni presenza di Kazu. Intorno all’avventura di Miura, girò stabilmente, al campo e in allenamento, una coda di giornalisti nipponici. Fu lui ad aprire la strada ai successivi compatrioti, primo tra tutti Hidetoshi Nakata a Perugia, seguito da Nakamura a Reggio Calabria, fino agli odierni Nakatomo ed Honda sui due lati di Milano.

Dotato di rapidità, discreta tecnica, volontà e mobilità, seppe comunque farsi apprezzare più di quanto ci si aspettasse, nonostante non fosse all’altezza dei livelli praticati sui nostri campi, negli anni di Baggio e Zola, Signori e Mancini, dei giovani Del Piero e Totti, di Batistuta e Gullit, Savicevic e Boksic.
“Datemi il tempo di ambientarmi e vi stupirò” dichiarava Miura, “E’ soltanto un bravo ragazzo”, precisava il compianto Professor Scoglio.
Alla prima di campionato, il debutto fu da brivido, ortopedico. Al 28’, uno scontro con Franco Baresi, decano dei difensori italiani, gli costò una frattura al setto nasale e una commozione cerebrale. Miura, mostrando un coraggio da samurai, restò in campo per tutto il primo tempo, ma si ritrovò a saltare poi diverse giornate di campionato.

La traccia più limpida del suo passaggio restò annotata nel tabellino di un Derby della Lanterna, quando sul risultato di zero a zero, Miura mise a segno la sua unica rete in 21 presenze, ai danni del portiere blucerchiato che nell’occasione era Walter Zenga. Per la cronaca, la Samp vinse ugualmente per 3-2 quell’incontro. A fine stagione, il Genoa retrocesse, Miura tornò in patria e la storia finì lì, almeno per quanto riguarda l’attenzione mediatica nostrana.

Ma Kazu Miura continuò a giocare. Per qualche anno ritrovò i Verdy Kawasaky, poi il ritorno in Europa, questa volta però in Croazia, dove vestirà per una stagione la maglia della Dinamo Zagabria, nel 1999. Ancora Giappone, con diversi cambi di maglia, poi un nuovo espatrio continentale, laddove ancora non era stato: nel 2005, a 38 anni, firmò per il Sydney FC, precedendo di qualche anno Alex Del Piero. Una stagione tra i canguri e poi, come da copione, il ritorno in Giappone.

Finita qui? Per quanto se ne potesse sapere, sarebbe sembrato di sì. E invece no.

Mentre in Italia si festeggiava la Pasqua, il 5 aprile 2015, durante la sfida tra Yokohama- Jubilo Iwata, valida per il campionato di serie B giapponese, sul risultato di zero a zero, un cursore esterno dello Yokohama fugge sulla destra e mette in mezzo un pallone forte sul secondo palo, tagliando fuori il portiere. C’è un difensore dello Jubilo Iwata appostato in marcatura stretta sull’attaccante avversario, che tuttavia riesce a svettare e impattare con precisione il pallone, insaccandolo forte sul palo opposto. Il telecronista esplode d’entusiasmo, l’inquadratura stringe sul giocatore che corre a festeggiare, maglia blu e celeste con vistoso sponsor, volto barriquato ma giovanile, con sentori da ritratto di Dorian Gray. E’ proprio lui, intramontabile, Kazu Miura, ancora in rete a 48 anni.
Sempre per la cronaca, l’incontro è finito 3-2 per il Jubilo Iwata. Proprio come quel derby della lanterna.

Nell’era in cui l’evoluzione della preparazione atletica, oltre a un certo livellamento tecnico consentono alla nostra serie A di vedere ancora fattivamente all’opera i nativi degli anni ’70, quali Totti, Di Natale e Toni, dall’Oriente arriva un’anticipazione fantascientifica. Forse, anche loro non smetteranno mai. Come Kazu Miura, protagonista di una storia fantastica, che sembra uscita da un cartone animato.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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