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“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”: la tragica storia di Carlo Castellani

Il nome Carlo Castellani sarà forse sconosciuto alla maggior parte delle persone in Italia; per i calciofili, invece, è probabilmente solo colui al quale è intitolato lo stadio comunale di Empoli. Ma la figura di Carlo Castellani va ben oltre il calcio: sconfina purtroppo nella tragica cronaca della guerra e nella drammaticità di un periodo che, se non potrà mai essere compreso, non dovrà nemmeno mai essere dimenticato. Ieri era il Giorno della Memoria, il settantesimo anniversario dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa (designato nel 2005 anche come il giorno-simbolo dell’intera liberazione dal nazi-fascismo): e noi oggi vi vogliamo raccontare la storia di quest’uomo che, purtroppo, fu una delle tante vittime di quel tremendo genocidio.

Carlo Castellani nacque a Fibbiana, una frazione del comune di Montelupo Fiorentino, nel 1909: fin da giovane coltivò la sua passione per il calcio, militando prevalentemente nelle fila dell’Empoli (già dalla stagione 1926-1927, quando aveva appena 17 anni). Poi altre stagioni con la maglia azzurra (1929-30, 1934-35, 1938-39), e il record di reti (61 su 145 presenze totali) che per molti anni è stato suo, battuto solo da Francesco Tavano molto tempo più tardi.

Ma, come dicevamo, la storia di Castellani non si esaurisce nel calcio: nella notte dell’8 marzo 1944 i fascisti fecero dei rallestramenti, nel comune di Montelupo Fiorentino, mirati a colpire coloro che lavoravano nelle vetrerie della zona e che avevano scioperato quattro giorni prima. Si trattava di una vera e propria rappresaglia nei confronti di coloro che rappresentavano una minaccia per il regime: “le persone nemiche” furono individuate e portare in caserma, caricate in torpedoni e trasportate poi alla Stazione di Firenze.

I fascisti si presentarono alla porta della famiglia Castellani con l’intento di arrestare il padre di Carlo, ma Castellani si oppose all’arresto e decise di andare in caserma per chiarire l’equivoco. Invece, il ragazzo non tornerà più: viene messo su un treno per Mauthausen-Gusen, uno di quei tanti e terribili campi di sterminio, e lì morirà l’11 agosto 1944 all’età di 35 anni.

Come testimoniato da Alfio Dini, nel suo libro La notte dell’odio, “molti deportati di Montelupo toccarono le infermerie dei vari campi. La sorte che vi incontrarono fu la più diversa. Per alcuni, fu rapida anticamera della morte. Carlo Castellani, colpito da dissenteria, fu isolato, insieme a tanti altri in una baracca appartata che chiamavano ‘lazzaretto’, e lì trovò solo il conforto di qualche visita di Aldo Rovai a cui affidò il suo messaggio per la famiglia che sembrava rivolto a una nuova umanità: ‘Racconta come sono morto!… Dì loro quanto ho sofferto…più di Gesù Cristo!’. Il giorno dopo Rovai tornò e non lo trovò più. Nessuno forse, tranne lui, s’accorse che il deportato Carlo Castellani era morto.”

 

 

 

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