NBA – Personaggi 2015: Shabazzketball, il prescelto del prescelto

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Leggendo la storia di Shabazz Napier, guardia dei Miami Heat, rookie nato in Massachussetts, vi confesso di non averla trovata straordinaria.
Quanti giocatori NBA non hanno avuto un padre presente? Quasi tutti. Quanti sono cresciuti in un quartiere malfamato, e per un caso del destino o fortuna sono riusciti a emergere? La maggior parte delle stelle NBA.

Shabazz nasce a Roxbury, pessimo quartiere di Boston. Prende la palla a spicchi in mano a 5 anni, giocando con i ragazzi più grandi. A 9 segue le evoluzioni degli adolescenti sul campetto di fronte a casa, quella in cui la mamma cresce lui e altri due fratellini, aspettando l’intervallo delle partite per rubare la palla all’arbitro e fare qualche canestro nel divertimento del pubblico assiepato sui gradoni.
Sei degli adolescenti che venera lo prendono sotto la loro ala protettiva. È quella che ti salva la vita in un posto come Roxbury. Lui, con i suoi occhialoni, li segue dappertutto, e d’estate per cinque anni vive a casa di uno di loro, Will Blalock, che giocherà anche quattordici partite in NBA qualche tempo dopo.
Nonostante l’aspetto da secchione, Napier a scuola va male. Serve una prep school (per la quale vince una borsa di studio da 50000 dollari) per scortarlo dal liceo all’università. In quell’anno alla Lawrence Academy, Shabazz impara a essere decisivo. Le lettere delle università che vogliono farlo studiare in cambio delle sue prestazioni cestistiche si moltiplicano, lui sceglie Connecticut. Se ne pentirà spesso nel primo anno di studi, ripromettendosi di mollare tutto e tornare a Roxbury.

Ma i suoi sei angeli custodi, e siamo sicuri anche gli allenatori di Uconn, lo convincono a rimanere. Passano tre anni, e se Connecticut vince il titolo NCAA nell’aprile del 2014 dopo una march madness che stupisce continuamente, il 70% è merito di Shabazz, che li guida in punti, assist e rimbalzi a partita. Alto 1.85, senza alcun mezzo fisico fuori dalla norma, passato abbondantemente sotto il radar NBA nelle precedenti stagioni giocate al college.
Jim Calhoun, coach di Uconn, lo aveva notato nel 2009, in un torneo in cui doveva osservare altri prospetti ma si fermò perché intrigato dal seguire una rappresentativa di Boston, la sua città.

Ve l’avevo detto, nulla di speciale. Una storia come un’altra nel panorama NBA.
E in questa lega Shabazz, soprannominato Shabazzketball dai compagni di Connecticut che nelle interviste ne parlano con il rispetto assoluto che si deve a un giocatore che fa vincere le partite e non molla mai sul parquet, alla fine ci vuole entrare.
Sono i primi di aprile dell’anno che è giunto al termine in questi giorni: Napier è un mezzo atleta per i canoni NBA, troppo basso, troppo segaligno, con braccia di lunghezza normale, che non salta troppo, che è stato quattro anni all’università. Cosa che in America, ottusamente, è vista come una traduzione di “mancanza di talento”. Gli esperti lo danno al secondo giro, se va bene. Come a dire: “Sì, d’accordo, ha fatto il fenomeno al torneo, ma niente più”.

Fino a quell’8 aprile, in cui LeBron James twitta: “Non c’è migliore guardia, nel draft, di Shabazz Napier!”. I Miami Heat, forse convinti che l’infatuazione della loro stella per il prodotto di Lawrence Academy possa farlo rimanere in Florida, lo scelgono, o perlomeno lo fanno arrivare a South Beach lavorando con il front office di altre squadre. Danno a LeBron il giocattolo che ha chiesto.
Ma il prescelto se ne va, torna a Cleveland. Pat Riley rimane con questo ragazzo tra le mani e un altro numero imprecisato di guardie in spogliatoio (Chalmers e Wade per esempio). Proprio in questi giorni, dopo un inizio stagione tutt’altro che esaltante, il ragazzo di Roxbury fa su e giù dalla D-League.

Per sapere se aveva ragione LeBron o chi compila ottusamente le tabelle pre-draft abbiamo bisogno di aspettare qualche anno. Crescerà Napier? Come lo farà e dove? Per ora, a soli 23 anni, la sua vita è già stata un’altalena incredibile. Dalla nascita nel ghetto alla fortuna di aver incontrato Calhoun quel giorno del 2009, all’insoddisfazione a Uconn, al trionfo di due anni dopo, fino all’incoronazione da parte del re. Ed è solo l’inizio.

 

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

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