L’ultima buona azione del Söderstadion: una storia di amicizia vera, come la Svezia

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Nel sentire la parola Hammarby, non sarebbero in molti a dire: “Ah, ma certo! La squadra di Stoccolma!”. Ovviamente, se questo nome venisse pronunciato in qualsiasi angolo della Svezia, nessuno rimarrebbe a bocca aperta, soprattutto ora, quand’è passata poco più di una settimana dal ritorno nella massima serie della seguitissima squadra della capitale. Legato a doppio filo al nome della compagine c’è la parola Söderstadion, lo storico stadio che ha ospitato i biancoverdi fino al 2013, quando si spostarono nella nuovissima Tele 2 Arena, insieme ai rivali del Djurgården, che lasciarono lo Stadio Olimpico. Ebbene, pochi giorni fa la dirigenza dell’Hammarby ha dato il via libera ai tifosi di prendere uno o più pezzi del loro stadio del cuore, prima della demolizione. Armati di sega e martello, numerosi hammarbyare hanno fatto man bassa di travi, seggiolini, ciuffi d’erba e tornelli, per conservare un ricordo tangibile di quella che era stata la loro seconda casa.

Tra questi, figurava un signore sulla settantina, con una giaccia scamosciata e una vistosa cuffia blu calata sulla fronte, che lasciava spazio a due occhi di un grigio nordico, ma caldi. Si avvicina a un uomo con qualche primavera in meno, gli chiede se può aiutarlo con una pesante tavola di legno e, timidamente, rivela la scottante verità: “Sa, io in realtà tifo per l’AIK“. Poi aggiunge i dettagli di una storia che ha commosso la Svezia: “Il mio migliore amico è morto ed era un grande tifoso dell’Hammarby. Gli sto portando sulla tomba un ciuffo d’erba”.

L’uomo con gli occhi grigi si chiama Torbjörn Andersson, ha 70 anni e vive a Södermalm, pieno centro di Stoccolma. Il suo migliore amico, invece, si chiamava Lasse Johansson. I due erano molto legati, in barba alla diversa fede calcistica che infiammava i loro cuori. “Abbiamo lavorato insieme per un po’”, dice Torbjörn in un’intervista ad Aftonbladet, “e abbiamo subito stretto amicizia. Poi le nostre carriere hanno preso strade diverse, ma ci incontravamo comunque ogni giorno per bere una birra e parlare di qualsiasi cosa”. Le lacrime si impadroniscono dei suoi occhi grigi, mentre parla del tumore alla prostata che si è portato via il suo compagno. “Che malattia del cazzo! Quando è stato operato ero così triste che non sono nemmeno riuscito ad andarlo a trovare per l’ultima volta”.

Il bottino di Torbjörn è di una trave di legno da portare ai figli di Lasse, un ciuffo d’erba per la vedova Rose-Marie e un altro da piantare sulla tomba dell’amico nel Cimitero di Skogskyrkogården. “E’ stato bello”, continua Torbjörn ritrovando il sorriso, “mi sono seduto e ho parlato con lui. Poi ho acceso una candela e ho stappato una birra per tutti e due. Il cancro ha segnato la sua vita doppiamente, portandogli via anche la moglie; ed è per questo che Torbjörn, tagliato il traguardo dei settant’anni, non ha voluto nessun tipo di regalo, ma solo donazioni per la ricerca. “A settant’anni possiedi già tutto e il più è spazzatura. Mia moglie è morta di cancro al seno e possono soffrirne anche vostro figlio o vostro nipote. La ricerca è importantissima per loro, hanno bisogno di sostegno”. E non possiamo che unirci all’appello con cui si conclude questa storia di calcio e amicizia, portataci dal vento del nord.

Francesco Piacentini
Francesco Piacentini
Pavese classe '91, laureato in scienze politiche, per lui lo sport è uno specchio su cui si riflette la storia di un popolo. Stregato dal calcio inglese e greco, ama la politica, l'heavy metal e il whiskey.

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