La siesta spagnola

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Lo abbiamo immaginato appena dopo aver saputo la composizione del tabellone di questo Mondiale, dopo il girone eliminatorio ne avevamo praticamente la certezza, poi è successo quello che è successo. La Spagna dei fratelli Gasol, di Fernandez, di Lull e Ibaka è fuori dal mondiale disputato in casa propria; sono usciti con i rivali storici, quei francesi che, con un roster sulla carta mediocre e un Tony Parker a godersi le meritate vacanze dopo due stagioni giocate a livello stratosferici, hanno spazzato via ogni sogno iberico di vittoria contro Team USA, una sorta di rivincita della finale olimpica persa a Londra 2012.

Permettetemi di fare un plauso a Boris Diaw, un giocatore fantastico che, nonostante un fisico non esattamente al top della forma, continua a spiegare basket sia a gente più giovane di lui che contro veterani di altissimo livello come Pau Gasol. Non c’è una cosa che non sappia fare bene, ma quello che colpisce di lui sicuramente è la visione di gioco a 360°, una caratteristica in grado di far brillare anche i compagni meno dotati tecnicamente. E poi Batum, una delle ali piccole più sottovalutate dell’NBA finalmente sta scoprendo le proprie carte anche in nazionale; il sogno continua, e dopo l’ultimo europeo vinto nel 2013 adesso c’è anche la possibilità di arrivare in fondo al campionato del mondo. Loro direbbero chapeau.

La Serbia venderà cara la pelle e, sulla carta, forse ha qualcosa in più rispetto ai transalpini. Ma lo stesso doveva essere contro la Spagna, eppure ce l’hanno fatta; l’impressione è che sarà una battaglia tra squadra che hanno voglia di essere sicure di finire in zona medaglia. Vero che la pallacanestro è uno sport talmente affascinante da regalare sempre una sorpresa, ma nessuna delle due squadre ha davvero un’occasione in finale contro gli Stati Uniti; a tal proposito, qualcuno aveva mica dubbi sulle motivazioni dei giovani giocatori di coach Krzyzewski? Il talento non l’ha mai messo in discussione nessuno, eppure nei giorni scorsi ho sentito spesso invocare un possibile passo falso contro le squadre che contano per davvero. Lo escluderei nella maniera più assoluta, e credo che anche Curry, Faried, Davis e Harden abbiano qualcosa da dire a riguardo. Contro la Lituania c’è stata una partita solo per un tempo, forse neanche visto che all’intervallo gli Stati Uniti erano già sopra di otto punti: ma soprattutto è stato devastante l’impatto statunitense nel terzo quarto, quello in cui spesso si decidono le partite. Sintomo che anche la mentalità è quella giusta e nulla è lasciato al caso, come spesso avviene quando si hanno squadroni talmente forti da lasciare in secondo piano dettagli che, altrimenti, cureresti nei minimi dettagli.

Menzione d’onore per Klay Thomson, l’outsider che in pochi si aspettavano di vedere a questo livello: oddio, non che a San Francisco abbia deluso, tutt’altro. Ma vederlo uscire in quella maniera dai blocchi, vederlo scalare gerarchie nonostante combatta per avere un posto in squadra contro atletico come Harden, Rose, Irving, Curry o DeRozan, beh tanto di cappello. Specie per l’applicazione difensiva, le letture e i tempi delle varie giocate con cui, quotidianamente, incanta i palazzetti di mezza Spagna; a dimostrazione che gli USA non sono soltanto isolamenti o giocate di fisico, ma che i fondamentali sono alquanto ricercati anche dall’altra parte dell’oceano.

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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