C’era un Mondiale: Germania 2006, il ritorno di Zidane e la marcia della Francia

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Dopo l’esperienza nippo-coreana, contraddistinta dalle ambiguità arbitrali e dall’esoticità ambientale, almeno rispetto al tradizionale bacino d’utenza europeo e sudamericano che solitamente contornava l’evento, i Mondiali del 2006 avevano bisogno di ritrovare quella centralità calcistica che riportasse in primo piano lo l’esibizione tecnica. Per capacità organizzative, pubblico fidelizzato, impianti di gioco e orari di trasmissione, la Germania garantiva le migliori condizioni possibili per lo spettacolo atteso. Alla fine della competizione, la mediazione tra gli interessi commerciali dell’azienda globale del pallone e le attese degli appassionati fruitori, trovò un giusto punto d’incrocio sul grafico cartesiano del bilancio finale. I numeri finali raccontarono di 300 milioni di incasso ai botteghini, 1.200 milioni di introiti televisivi, 1.000 euro di spesa media per tifoso straniero in trasferta, 250.000 poliziotti impiegati nel servizio d’ordine, 1,7 miliardi di ricavi complessivi dalla manifestazione. In omaggio al marketing dell’evento, venne usato il pallone dell’Adidas “Teamgeist”, personalizzato ad ogni incontro con ora, luogo, data, squadre e nome dello stadio. Colonna sonora dei mondiali fu il famoso coro adottato dai tifosi sulle note di “Seven Nation Army” dei White Stripes.

Quanto alle partecipanti, la rappresentanza europea e sudamericana era al meglio. Solo la Grecia, campione d’Europa in carica, non riuscì a qualificarsi. Rimasero fuori anche Turchia – protagonista quattro anni prima – Russia, Belgio e Danimarca. Debuttarono l’Ucraina di Shevchenko e la Repubblica Ceca di Nedved. Tra le africane invece, in luogo di Camerun, Nigeria, Senegal ed Egitto che in passato avevano rappresentato il continente, esordirono ai Mondiali Angola, Costa d’Avorio, Togo e Ghana. oltre alla Tunisia che già in passato era stata presente. Per la prima volta nessun calciatore mise a segno una tripletta.

A parlare del Mondiale tedesco del 2006, la memoria vola rapida all’impresa dell’Italia e al trionfo azzurro nella notte di Berlino. Inevitabilmente, perché a distanza di meno di un decennio, i ricordi di quella vittoria sono ancora troppo vividi per archiviarli nella biblioteca storica del pallone. Alcuni dei protagonisti della vittoria azzurra, li ritroveremo con ogni probabilità anche in Brasile: Buffon, De Rossi e Pirlo. Tra le fila dei francesi invece, ritroveremo Ribery. Lasciando perciò da parte il successo dell’Italia, consideriamo altri aspetti di quell’edizione. In particolare, il cammino di quelli che furono i nostri sfidanti a Berlino.

La Francia cominciò a ritmi blandi la competizione, rischiando addirittura di non passare il girone iniziale. Ma nelle sfide successive la condizione atletica e la convinzione tecnica della squadra s’impennarono, insieme alle prestazioni di Zidane. Dapprima, la Francia recuperò l’attenzione del pubblico, impartendo un 3-1 alla Spagna. le furie rosse, che già schieravano Casillas, Sergio Ramos, Puyol, Fabregas, Villa, Xavi e Xabi Alonso, di lì a poco avrebbero cominciato la propria marcia trionfale che li ha portati a vincere due volte l’europeo e ad essere campioni del mondo in carica. Ma quel giorno, dopo essere andati in vantaggio grazie ad un rigore di Villa, capitolarono dinanzi alla rimonta francese, ad opera di Ribery, Vieira e Zidane. In particolare quest’ultimo, iniziò a meritare i primi 8 in pagella.

La svolta avvenne nei quarti, contro il favorito Brasile di Ronaldo, Ronaldinho, Adriano e Kaka, reduce da tre finali mondiali consecutive. Ad illuminare quella gara infatti non furono le stelle brasiliani, ma la luce brillante di Zidane. Da una sua punizione si propiziò l’occasione trasformata nel gol vincente da Henry. In realtà la Francia meritò ampiamente quel successo, anche più di quanto abbia detto il risultato. Assist, dribbling, impostazione e calci piazzati caratterizzarono luna delle migliori prestazioni in carriera di Zidane.

Di seguito, il tabellino dell’incontro.

BRASILE-FRANCIA 0-1
BRASILE: Dida; Cafu (30′ st Cicinho), Lucio, Juan, Roberto Carlos; Gilberto Silva, Ze Roberto; Kaka (33′ st Robinho), Juninho Pernambucano (8′ st Adriano), Ronaldinho; Ronaldo. In panchina: Julio Cesar, Rogerio Ceni, Emerson, Luisao, Cris, Gilberto, Mineiro, Ricardinho, Fred. Allenatore: Parreira.

FRANCIA: Barthez; Sagnol, Thuram, Gallas, Abidal; Vieira, Makelele; Ribery (31′ st Govou), Zidane, Malouda (35′ st Wiltord); Henry (40′ st Saha). In panchina: Coupet, Landreau, Boumsong, Dhorasoo, Silvestre, Givet, Diarra, Trezeguet, Chimbonda. Allenatore: Domenech.
ARBITRO: Luis Medina Cantalejo (Spagna)
RETI: 12′ st Henry.
Qui, un video dell’incontro e della prestazione di Zidane.

In semifinale fu ancora una volta Zidane a decidere, trasformando il rigore della vittoria contro il Portogallo di Cristiano Ronaldo e Figo, che aveva superato l’Inghilterra di Beckham.
L’ultimo saggio di bravura di Zidane avvenne nella finale contro l’Italia, allorché dopo pochi minuti realizzò il gol dell’1-0, trasformando con un beffardo cucchiaio il rigore concesso per atterramento di Malouda.

Il resto è storia nota. Prima il pareggio di Materazzi, poi nei supplementari l’espulsione dello stesso Zidane, in seguito al raptus collerico sfociato nella famosa testata rifilata allo stesso Materazzi.
Poi il rigore di Trezeguet sulla traversa, (proprio come accadde a parti inverse per Di Biagio, nel ’98 in Francia) e la trasformazione decisiva di Fabio Grosso. Quella notte il cielo sopra Berlino non fu “blues”. Si vede che era destino. Zinedine Zidane, a 34 anni, diede l’addio al calcio subito dopo quel Mondiale.

Leggi anche le precedenti puntate di “C’era un Mondiale”:

1 Camerun – Colombia e i colori di Italia 90;
2 Uruguay 1930 e il primo gol della Coppa del Mondo;
3 Corea e Giappone 2002, un mondiale di… cose turche;
4 Germania 1974, “E tu dov’eri, quando segnò Sparwasser?”;
5 Italia 1934, il “Wunderteam” austriaco si arrende agli azzurri;
6 Cile 1962, il torneo di Garrincha. E di Masopust;
7 Francia 1938, la semifinale di Marsiglia e il bis dell’Italia;
8 Messico ’70, Italia-Germania 4-3 – “El partido del siglo”;
9 Argentina 1978, Olanda-Argentina e il palo che fece tremare i generali;
10 Brasile 1950, il Miracolo di Belo Horizonte. Gloria e tragedia di “Joe” Gaetjens;
11 Messico ’86, la breve favola della Danimarca;
12 Svizzera 1954, la battaglia di Berna e la Grande Ungheria, prima della disfatta;
13 Spagna 1982, la notte di Siviglia e l’uscita di Schumacher su Battiston;
14 Francia ’98, la sfida tra Zidane e Ronaldo e Usa-Iran, “la madre di tutte le partite”;
15 Svezia 1958, Pelé alla conquista del mondo

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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