La nazionale del Galateo

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La nazionale di Marcello Lippi, quella che vinse il Mondiale nell’ormai lontano 2006, a me non piaceva. Lo dico senza paura di essere giudicato, perché in fondo quanti di noi avrebbero previsto il successo dell’Italia in quella rassegna? Pochissimi, ed io non ero tra quelli: quindi probabilmente c’è anche un po’ di scaramanzia nelle mie parole, nonostante sia risaputo che noi italiani, nel calcio come nella vita, tiriamo fuori il meglio quando messi con le spalle al muro. Era proprio il caso di quella nazionale che, a breve, avrebbe visto i suoi migliori giocatori emigrare all’estero – Cannavaro, Zambrotta e Toni – invocando la tranquillità che non ci sarebbe potuta essere nel nostro Paese, complice Calciopoli e le relative conseguenze, giuste o sbagliate che siano.

Allo stesso modo, oggi, non mi piace questa Nazionale: troppi giocatori altalenanti convocati, Maggio e Abate in primis, a scapito di giocatori come Criscito e Florenzi, sicuramente più costanti a livello di rendimento. Ma soprattutto non condivido questa voglia di educare, punire e poi perdonare persone che, nella vita, hanno scelto di dare calci a un pallone, seppur davanti a centinaia di migliaia di persone: non è compito di Chiellini, Destro o Balotelli educare i nostri ragazzi, quindi non c’è nulla di diseducativo nel comportarsi da persone umane, cioè sbagliando. Specie quando l’adrenalina è a mille, quando l’avversario ti ha appena provocato o quando i nervi stanno per saltare; questo lo può capire solo chi ha fatto sport nella vita, e sono quelli che in genere puntano di meno il dito contro gli altri. Mi stupisce, da questo punto di vista, che una persona competente e preparata come Cesare Prandelli sia caduta nella trappola del Codice Etico, una delle più grandi falsità del panorama calcistico italiano; non bastava, infatti, che il giudice sportivo si mettesse a multare i bambini dello Juventus Stadium, oppure che la discriminazione territoriale valesse solo in un senso (da Nord a Sud e non viceversa, per cui “Milano in fiamme” è uno sfottò mentre “Lavali col fuoco” rappresenta la genesi di ogni male, e sia chiaro che per me sono entrambi da condannare).

Tutto questo non bastava a rendere ridicolo un movimento che in questi ultimi anni è riuscito a mostrare al Mondo il suo lato peggiore, lo specchio di quello che rappresenta in questo momento il nostro paese. Ci si è sentiti tutti in dovere di aggiungere la ciliegina sulla torta, quel pizzico di sale sulla ferita sanguinante: perché invocare così tanto la moralità, l’etica e e il Galateo su un campo da calcio? Tenetevi voi i gentiluomini, quelli che in campo non dicono parolacce perché sennò vengono sgridati dall’allenatore; io preferisco gli uomini veri, quelli che sul rettangolo di gioco se le danno di santa ragione e si dicono le peggiori cose senza peli sulla lingua, salvo poi stringersi la mano – in segno di rispetto – appena udito il triplice fischio finale. Perché in campo ci sono sempre stati, storicamente, dei compagni e dei rivali: e indossare una divisa piuttosto che un’altra fa tutta la differenza del mondo. Giorgio Chiellini ha sbagliato, ha commesso un errore gravissimo e pagherà questa sciocchezza – per un giocatore della sua esperienza – con tre giornate di squalifica. Qual è l’errore in tutto questo? Molto semplice: l’errore è che, in passato, si è punito con un’esclusione dalla Nazionale per lo stesso identico motivo. Discorso simile potrebbe essere fatto per Mattia Destro, fresco di rientro da una squalifica di quattro giornate per un pugno – con successiva simulazione – a Davide Astori, uno che nel sogno mondiale ci ha sperato sino all’ultimo, salvo essere escluso al photofinish.

Tutti i ragazzi avranno l’opportunità di essere nei 23 convocati per i Mondiali. A patto che non infrangano il codice etico, che sarà in vigore anche nell’ultimo mese. Chi sbaglia sta a casa, non convocherò giocatori squalificati per questi atteggiamenti, non mi serve il Giudice sportivo per valutare“.
Perché Cesare? Almeno tu, in fondo, speravo fossi diverso. Speravo che non promuovessi in maniera così esplicita quella bruttissima piaga che sta logorando il nostro paese, cioè quella dei “due pesi e due misure“; Chiellini sarebbe stato escluso se, invece del Mondiale, ci fosse stata un’amichevole con l’Islanda, mi sembra chiaro e limpido. Allora cosa c’è di etico in tutto questo? Che per una partita inutile si può rinunciare a certi giocatori, ma per la competizione più importante per nazioni no? E quale messaggio stai lanciando ai giovani? Uno solo, cioè che se uno è davvero indispensabile per la propria squadra – come lo sarà Chiellini per l’Italia – allora può andare oltre la legge e i regolamenti, qualunque essi siano.

Non era meglio, a questo punto, quando ai giocatori si chiedeva solo di cantare l’inno per evitare di fare brutte figure in televisione? Almeno era un calcio più sincero e sicuramente meno malato di questo, in cui le telecamere seguono con enfasi l’ipotetica stretta di mano tra Icardi e Maxi Lopez come evento clou della giornata. E dopo la stretta di mano, tutti a puntare il dito contro l’esultanza del numero 9 nerazzurro, la stessa che poi Osvaldo ha replicato in faccia ai suoi ex tifosi giallorossi, senza però suscitare nessuna polemica. Come dicevo? Ah sì, due pesi e due misure: facciamo anche tre o quattro.

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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