Molto più di un allenatore

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Era il 19 luglio 2013, me lo ricordo bene quel giorno perché stavo passeggiando per le vie di Barcellona con la mia famiglia, contento di esplorare una città magnifica che tanto somiglia, seppur con tutte le differenze del caso, alla mia Genova. Poche ore prima, tra l’altro, avevo avuto il privilegio di osservare, da fuori, il magnifico Camp Nou: una specie di David di Michelangelo del pallone, specie per chi segue il calcio ormai da quindici anni. Un’impianto bellissimo, gestito alla grande e pubblicizzato ancora meglio; non c’era bambino per strada, nei dintorni dello stadio, che non sfoggiasse orgoglioso la maglia di Neymar Jr, ancora senza numero, perché il brasiliano lo avrebbe comunicato di lì a poco. Non c’è nulla di male nel sognare di poter diventare come lui: un campione milionario che, di lavoro, fa quello che in molti continuano a fare a quarantanni dopo otto ore di duro lavoro.

C’è chi a quarantanni, però, perde anche questo privilegio. Tito Vilanova era una persona solare, competente ma soprattutto simpatica: non che abbia mai avuto il privilegio di fare una chiacchierata con lui, però è sempre stato uno di quegli allenatori che, a primo impatto, mi ha ispirato molta felicità. E non sono in molti a farlo, in un mondo come quello calcistico in cui le prime donne – con tutto il rispetto – sono all’ordine del giorno. Probabilmente non era nemmeno il miglior allenatore di questo pianeta, anzi posso affermarlo con una certa sicurezza: ma vincere, in questo caso, non è l’unica cosa che conti per davvero, ce ne scusi il grande Boniperti. Ce lo ha insegnato lo stesso Vilanova, con una frase tanto semplice quanto rappresentativa della vita: “Non si dovrebbe mai innervosirsi per nulla. Quello che oggi sembra importante, domani non lo è più“.

Innervosirsi per un gol sbagliato davanti alla porta o per un obiettivo in campionato non raggiunto, in questo momento, è quanto di più secondario ci possa essere: a dirlo non sono io, uno che lo sport ad alto livello può solamente vederlo in televisione, ma decine e decine di campioni che, ieri pomeriggio, hanno voluto lasciare un ricordo a un amico che non c’è più. Già, un amico. Perché davanti alla morte ogni ruolo viene messo in secondo piano: non ci sono allenatori, compagni di squadra o altro. C’è solo l’amicizia o l’amore per una persona che adesso non c’è più ed è scomparsa nel modo più dignitoso possibile, cioè in silenzio e senza far rumore, lasciando agli altri il ricordo di quando era forte e in salute, a sbraitare in panchina per una diagonale non completata o un passaggio in verticale sbagliato.

Tito Vilanova e il Barcellona festeggiano, in un bagno di folla, l'ultima Liga di Spagna conquistata
Tito Vilanova e il Barcellona festeggiano, in un bagno di folla, l’ultima Liga di Spagna conquistata

Nessuno dovrebbe morire a quarantacinque anni, ma la vità è così, ti mette alla prova più di quanto tu possa immaginare. Ed è così che, in maniera quasi beffarda, il destino fa incontrare Abidal e Vilanova, due facce della stessa medaglia, due persone sottoposte alle stesse sofferenze che, però, hanno avuto un epilogo differente. Uno oggi può scrivere su Twitter tutto il proprio cordoglio per la perdita di un compagno di viaggio fedele e sensibile, l’altro è il destinatario del messaggio stesso; una sceneggiatura da film hollywoodiano, ma qui non c’è nessuna telecamera in mezzo, purtroppo. E anche chi gli è stato avversario, come José Mourinho e Iker Casillas, ha dedicato due minuti della propria giornata per ricordare chi non c’è più: eppure gli screzi, specie con lo Special One, ci furono eccome in uno dei derby di Spagna. I due arrivarono addirittura al contatto fisico, ma davanti a una cosa del genere come puoi non lasciare tutto in secondo piano? Appunto, allora ha davvero ragione lui, non innervosiamoci per cose futili, perché domani potrebbe cambiare tutto. E in un giorno, in effetti, tutto è precipitato: da quel ricovero così frettoloso in una clinica di Barcellona, alle notizie confuse che giungevano dalla Catalogna. Poi un fulmine a ciel sereno e la notizia della tua morte: pochi moralismi, però, perché queste tragedie accadono ogni giorno, ma quando ad andarsene è una persona conosciuta e simpatica, non puoi non fermarti a ragionare un attimo su quello che ti circonda. Perché lo spettacolo deve andare avanti, è vero, ma farsi scivolare tutto addosso come se non fosse mai accaduto, quello no, sarebbe da persone vuote e superficiali.

Alessandro Lelli
Alessandro Lelli
Nato a Genova nel maggio 1992; è un appassionato di calcio, basket NBA e pallavolo (sport che ha praticato per molti anni). Frequenta la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo amministrativo e gestionale.

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