Così vicini, così lontani

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Federico Bernardeschi è un attaccante proveniente dalla Fiorentina, in prestito al Crotone, convocato in questi giorni per i test fisici da Prandelli, dopo uno stage in Nazionale. Di lui, tra i non addetti ai lavori si sa tutto sommato poco, anche perché non ha mai giocato un minuto in serie A. Del resto, anche l’opportunità di vederlo in azione risulta rarefatta, vista la scarsa copertura televisiva della serie cadetta per i non possessori di abbonamenti a pagamento. Né per la verità è molto più diffusa, stante le medesime limitazioni, la conoscenza dell’attaccante del Liverpool Raheem Sterling, di qualche mese più giovane di Bernardeschi, che domenica ha firmato un gran gol nella sfida scudetto tra i Reds e i Citizens in Premier League. Due giovani del ‘94, due maturazioni differenti, in paesi diversi. Due modi di avere vent’anni. Ma soprattutto, con rispetto parlando, due semisconosciuti in Italia.

In mancanza di immagini accessibili in chiaro, sarebbe lecito attendersi che almeno il resto dei media sollecitassero l’interesse del grande pubblico verso i continenti sommersi dell’informazione calcistica, facendo ricorso alla potenza evocativa dei racconti, quanto meno per accompagnare un finale di stagione in netto calo di desiderio e di interesse partecipativo.
Del resto, l’ultimo turno di campionato ha parlato chiaramente. Ad una settimana dalla tavolata pasquale, molte difese hanno già indossato uno scarpino e una ciabatta, entrando in quel clima da goleada estiva che anni fa era riservato all’ultima giornata di campionato.
E’ successo a Verona, con un 3-5 che sa di grigliata tra amici e marcature saltate per non far bruciare le salsicce; o a Napoli (dove pure non sono state estranee carenze arbitrali che rimarranno indiscusse in ossequio al dogma dell’intoccabilità patronale), con Higuain ad offrire babà ai tifosi in tribuna. A Livorno, i locali ed il Chievo hanno dato vita ad un festival del gol inconsueto come la neve in costiera amalfitana, almeno per quanto fatto vedere fino ad ora da amaranto e clivensi. Mentre a Genova, i quattro gol messi a segno dall’Inter, sono il precipitato finale di un esperimento sulle difese solubili, che ha scartato per eccesso anche un rigore non trasformato e almeno tre occasioni neutralizzate Handanovic.

A Genova, in clima da ombrellone, oltre alle difese c’ erano anche gran parte dei cronisti, appostati dietro le sdraio di vip compiacenti, come per carpire i fotogrammi della soap argentina intestata a Icardi, Maxi Lopez e alla Malafemmina. Dei due nemiciamici e del loro biondo soggetto del contendere, ne leggeremo probabilmente di più che di Bernardeschi e Sterling.
Un meraviglioso gol di Cerci (così bello da sopravanzare perfino un altro capolavoro di Immobile, risalente al minuto precedente) e l’avanzata del Milan, inesorabile come un carrello di bolliti ben lanciato su un piano inclinato, sono i residui argomenti di giornata. Dei quali comunque varrebbe la pena parlare, se solo si volesse cercare un motivo per non mandare tutto a gamberoni e fotoromanzi rusticani.

Il calcio italiano avrà anche dei limiti, ma a farlo più bello, dovrebbe concorrere anche chi ne scrive e chi lo racconta. Che poi si sa, a sentirselo narrare in un certo modo, viene anche voglia di gustarselo meglio, come ben conosce chi segue, ad esempio, i racconti mondiali di Federico Buffa.
Già, i Mondiali. Così vicini e ancora così lontani. In attesa che si compia il quadriennio della loro venuta, vien voglia di rivolgere al Ct azzurro un’invocazione rigenerante, parafrasando l’ “extraterrestre” di Eugenio Finardi: caro Prandelli, portaci via. Voglio tornare indietro al calcio mio.

Paolo Chichierchia
Paolo Chichierchia
Nasce nel 1972 a Roma, dove vive, lavora e tifa Fiorentina. Come Eduardo Galeano, ritiene che per spiegare a un bambino cosa sia la felicità, il miglior modo sia dargli un pallone per farlo giocare.

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