Hanno ucciso il Tiqui Taca

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Domenica è finita la Confederations Cup con la netta vittoria per 3-0 del Brasile su una stanca Spagna. Il lunedì seguente ho così potuto assistere alla celebrazione della morte del tiqui taca e del ciclo spagnolo da parte della stampa italiana.

Personalmente, non credo basti una sconfitta, seppure netta, in casa dei padroni di casa della manifestazione e del futuro mondiale, per decretare morto un calcio che domina dal 2008.

E’ vero che questa Spagna non aveva mai dato l’impressione di essere fiacca come in questa manifestazione, dove il tiqui taca si è visto poco, dove fisicamente non sono stati superiori agli altri, dove hanno dovuto prenderle senza darle. Tuttavia bisogna rendersi conto che tra i partecipanti alla manifestazioni gli spagnoli erano quelli con più partite nelle gambe di tutti.  Inoltre va detto che ormai anche gli avversari hanno preso le misure a questa squadra, cambiando la propria predisposizione tattica nell’affrontarli. Non sta certo a me comunque trovare degli alibi allo schianto spagnolo e sinceramente non li voglio nemmeno cercare.

Quello che più mi ha colpito e forse infastidito è  questa sorta di gioia e festeggiamento per la disfatta delle furie rosse. Non si tratta solo della naturale predisposizione a godere per la sconfitta del più forte, di enfatizzare un concetto di rivalità sportiva. Questa esaltazione della sconfitta è tipica della mentalità italiana.

L’Italia gode per la sconfitta del tiqui taca, consapevole che quel tipo di calcio non sarà mai in grado di produrlo, invidiosa delle capacità altrui, vive di soddisfazione nel vedere gli altri in difficoltà, nel non sentirsi sola tra i deboli, come se acquisisse forza dalle debolezze dei rivali.

Ci sentiamo più forti ora che a nostro parere la Spagna non è più irraggiungibile come prima, non ci accorgiamo invece che forse la Spagna è stata solo scalzata da altre squadre che hanno investito nei giovani e nella mentalità, cambiando il proprio modo di interpretare il calcio. Brasile e Germania sono esempi di come le federazioni non hanno aspettato che fosse la natura a regalare una generazione talentuosa, ma hanno cercato di agevolare un rinnovamento del proprio credo calcistico.

Il Brasile non è più quella squadra fatta di undici ballerine tutta tacco e fantasia, ora è una squadra più fisica dove i talenti naturali si mescolano alla praticità di giocatori non belli ma efficaci. La Germania  ha abbandonato il suo tradizionale calcio fisico, unendolo alla velocità e alla tecnica portata dalle nuove generazioni.

Noi italioti che fatichiamo ancora ad accettare una nazionale multietnica, non ci accorgiamo che come sempre siamo attaccati ai nostri vecchi, al nostro passato. Un nazionale che senza Pirlo e Buffon perde metà del proprio valore, una squadra che non ha alternative a Balotelli, povera di giocatori con esperienza internazionale.

Popolo apriamo gli occhi,  il calcio spagnolo non è certo in crisi i successi dei club e delle nazionali giovanili lo confermano ai primi posti nel mondo. E comunque fosse non è certo l’indebolimento altrui che porterà la nostra nazionale sul tetto del Mondo. Siamo forse più vicini alla Spagna, ma ancora lontani da altre nazionali, ancora nettamente superiori a noi.

Non facciamoci belli della figuracce altrui, iniziamo invece a fare qualcosa per cambiare e dare un futuro alla nostra nazionale. Lasciamo agli altri i funerali senza il morto e pensiamo piuttosto a come migliorare e svluppare le capacità del nostro calcio.

Francesco Filippetto
Francesco Filippetto
Nato nel 1977, da allora si nutre di calcio: una passione che pratica e insegna a Treviso nei settori giovanili. Ama i giovani talenti e il lato romantico di questo sport.

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Sfrontato, vincente, preparato, antipatico, fascinoso, linguacciuto... Su di lui sono stati spesi fiumi di inchiostro perchè non è un allenatore come gli altri. Forse...
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