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Mettere mano al Pistorius

In fondo e in fine, ancora non sappiamo esattamente come sia andata. I fatti sono questi: un uomo spara quattro colpi a un intruso in casa, e lo uccide. Poi viene fuori che l’uomo era un certo Oscar Leonard Carl Pistorius, e l’intruso la sua fidanzata Reeva Steenkamp, professione modella. Un campione paralimpico che è riuscito a coronare il sogno di partecipare alle Olimpiadi per i normodotati (semifinale sui 400, ottavo con la staffetta sulla stessa lunghezza), e la sua fidanzata che ha fatto incetta di copertine e campagne pubblicitarie. Roba che uno pensa «ho tutto dalla vita, non mi manca niente».

Non è certo compito nostro quello di decidere chi sia stato, perché e percome: gli inquirenti esistono apposta. Ma chi fa informazione è tenuto a riferire e talvolta a commentare; difficile astenersi in questo caso. A maggior ragione se entrano in gioco interessi multimiliardari: penso allo spot immediatamente ritirato dalla Nike (potete vederlo qui). Pistorius appare tra gli altri, e lo slogan è del genere di più veloce di un proiettile; uno di quei casi in cui pensare «Just do it» suona agghiacciante a prescindere dalla effettiva dinamica dei fatti (la foto che vedete in alto risale a una campagna di sei anni fa, denominata «What is your fight»; e dovrebbe suggerire l’idea che sport e battaglie siano due concetti radicalmente opposti, a mio modesto avviso).

Torniamo al punto. Prime ricostruzioni: Pistorius ha pensato a un ladro (si pensi che le ville intorno a dove abita hanno tutte il filo spinato) e, spaventato, ha sparato quattro colpi. Colpendo la fidanzata alla testa e a una mano (due colpi a vuoto). Incidente. Ricostruzioni successive durante la giornata: la polizia ha motivo di credere che non si sia trattato di un incidente (quattro colpi non sono mai pochi), e cominciano le speculazioni. Notevole, come sempre, l’immancabile notizia che in passato si erano sentite delle urla in casa: cosa che vuol dire tutto e niente, diciamolo una volta per tutte.

Amare constatazioni su Twitter: la sera prima, lei mandava al mondo un messaggio di gioia e curiosità; se uno guarda indietro, allo scorso novembre, noterà questo:
https://twitter.com/OscarPistorius/status/273337050470678528
Oggettivamente, oggi suona come uno schiaffo (ritwittato oltre quattromila volte). Come suonano terribili le parole di Samantha Taylor, la precedente fidanzata di Pistorius: «Oscar is certainly not what people think he is» (dichiarazioni sempre dello scorso novembre, poi ritrattate, e ora di nuovo riportate alla luce dal giornale che le raccolse); più facile fare, a posteriori, la conta degli eccessi (potete leggerla qui).

Sia andata come sia andata, la situazione è più che difficile: perché da un lato si rischia di essere travolti da un buonismo fuoriluogo (non è che perché una persona è menomata fisicamente, allora gli sia concesso tutto), dall’altro però si rischia di infangare la persona che abbiamo incensato fino a ieri (troppo facile farlo dopo), nell’ennesimo caso di (auto)distruzione di un’icona. E, si badi bene, in ogni caso c’è un cadavere in mezzo: il rispetto, a chi non c’è più, lo si deve a prescindere; a maggior ragione se si muore uccisi, nel fiore degli anni. Comunque sia andata.

L’ho già scritto in passato: «come la disputa su Oscar Pistorius, insomma: immutata la stima per la forza e il coraggio, il dibattito è ridotto a pensieri banali». Il carattere dell’uomo è di quelli forti, evidentemente; ma questo, e la stima di cui sopra, non possono comunque essere il lasciapassare per l’impunità (varrebbe per qualsiasi cosa, inclusa la semplice maleducazione).
O forse, semplicemente, chi non è famoso ancora non sa quale fortuna gli sia capitata, di poter rimanere a vivere con i piedi ancorati a terra.

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