Lezioni di NFL: come si arriva al SuperBowl

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Come si può capire la portata di un successo senza conoscere quali sacrifici ci sono dietro? Una pedina fondamentale per affezionarsi al football è sapere cosa bisogna fare per giungere alla partita finale, quella che ogni anno decreta il campione dei campioni, la squadra che dominerà il Mondo per dodici mesi.

Mettiamo che siate americani e da bambini vi venga in mente di cimentarvi nel football, uno degli sport più popolari tra quelli aldilà dell’Atlantico. Quale sarebbe la vostra strada per, venti anni dopo, sollevare il Vince Lombardi Trophy?
Innanzitutto, giochereste nella vostra scuola elementare/media. Può andarvi bene, avere un maestro/allenatore che vi insegni bene uno sport molto complicato come il football, oppure anche male e dedicarvi ad altro. Non sono dettagli, perchè la formazione fisica per il football ha bisogno di essere presa in considerazione in giovanissima età, al contrario di quanto succede negli sport non di contatto come basket o calcio.

D’accordo, siete arrivati alle superiori. Già a questo livello c’è chi cambia scuola perchè l’allenatore di un tale liceo è conosciuto a livello nazionale. Non scherziamo nemmeno qui, come si evince anche da molti speciali e documentari (oltre che dalla finzione), queste dinamiche esistono in America, ed un ragazzo di 14 anni ha già una carriera cucitagli addosso. Quindi potreste anche non giocare nel liceo dietro casa, scavalcati da qualcuno, oppure emigrare per cercare fortuna in un altro stato.

Ora ipotizziamo abbiate trovato posto in squadra, abbiate vinto magari un titolo statale (Texas, Illinois, Alabama, scegliete voi tra i 51) giocando in uno stadio NFL o NCAA, dove di solito si giocano le finali dei tornei tra licei. Avete brillantemente sostenuto le aspettative di quei fanatici dei vostri genitori o di quello schiavista del vostro allenatore, conoscete la vostra squadra a memoria e guidate le statistiche.
Statistiche? Sì, statistiche.NFL
Siete ampiamente minorenni, non potete bere alcool, vi alzate alle 5 per allenarvi e lo fate sia prima che dopo le lezioni, poi alla sera studiate. Questo per quattro lunghi anni, e qualcuno vi ha già messo dentro una tabella, ha detto che siete il 13esimo prospetto della nazione in quel ruolo ed il terzo nel vostro stato. Pazzesco? Date un’occhiata qui: ESPN300. A 18 anni siete già un nome, un numero, con tratti deboli, forti e valutazione sul vostro carattere. Vi danno delle stellette e delle iconcine che descrivono il vostro modo di giocare.
Un bel giorno (ogni anno sempre quello) si aprono i contatti con le università, che da quel preciso momento possono contattarvi. Mamma va a prendere la posta: UCLA, Tennessee, Iowa, USC se siete fortunati o qualche università statale vicino casa se lo siete meno. O se vi hanno dato una stella in meno del dovuto.
C’è da prendere una decisione (il famoso commitment) e, dopo aver parlato con il futuro head coach ed esser stati bene attenti a rifiutare favori (se li accettate e vi beccano probabilmente l’università salta e rimanete a fare panini al fast food), accettate uno di questi tra mille remore.

Al college vi trovate bene, avete tutte le ragazze che volete, studiate gratis e vi divertite. A 18 anni avete per le mani una situazione idilliaca ma delicatissima. Primo infortunio e siete fuori. Prima insufficienza in un esame e siete fuori. Parliamoci chiaro: o siete dei fenomeni come Marcus Lattimore o alla prima volta che cadete (accademicamente o fisicamente) è meglio che studiate bene perchè la NFL la vedrete col binocolo. A ogni singola azione corrisponde un rapporto di un osservatore.

Mandiamo avanti il nastro di tre anni. Siete grossi, forti, veloci, avete 21 anni e vi iscrivete al draft. Siete i migliori nel vostro ruolo nella storia del vostro ateneo. Non ultimate l’università per andare tra i professionisti un anno prima del dovuto (siete un underclassman). Gli scout vi danno al quarto giro (attorno alla centoventesima scelta assoluta), ma qualcosa va storto ed al draft non vi chiamano.
Disperazione.
Una squadra vi fa firmare comunque un contratto, misero, e vi chiede di aiutarla nella practice squad (gli sparring partner degli allenamenti). Primo infortunio? Inutile dirvi come va a finire.

NFL PPRestate in salute, entrate in squadra come riserva della riserva. Altro fast-forward.
Dopo qualche anno, alla soglia dei 26 anni (o 25, fate voi) vi danno una maglia da titolare perchè quello vero si è fatto male. Giocate bene ma non convincete per ragioni tattiche il vostro allenatore. Finite in un’altra squadra, che voi non potete decidere, vi usano come giocatore degli special team (non propio il ruolo più sicuro e quello chiaramente più lontano dalle luci della ribalta). Altro infortunio e siete fuori, torniamo a puntualizzare.

Avete abbastanza fortuna da approdare in un team vincente e prendere una maglia da titolare. Le cose vanno bene, arrivate ai Playoff, dove le vincete tutte. Durante l’inno antecedente al SuperBowl, con i jet dell’aviazione che passano sopra le vostre teste, non potete smettere di piangere. Saranno dolori, vi rompete una gamba e la squadra perde. Rimanete nella rosa perchè ormai siete imprescindibili, mentre i 30 si avvicinano inesorabilmente.

Date ancora il vostro contributo, non siete nella squadra migliore della lega ma con un po’ di fortuna ed un po’ di caparbietà raggiungete di nuovo la partita finale. Il vostro QB è infallibile, voi e i vostri compagni lo aiutate, la difesa risponde bene. Finisce con un misero touchdown di vantaggio, quando un receiver degli avversari si lascia scappare l’ultimo passaggio utile per pareggiare.
Stavolta sono lacrime di gioia, e quando il Vince Lombardi Trophy passa alle vostre mani sembra irreale. Ripensate a quella cittadina del Texas, Illinois, Alabama in cui avete iniziato, alle pressioni dei reclutatori, alla scelta del college, agli anni dell’università, allo sfortunato draft, agli scambi, ai tagli, alla practice squad, a quel SuperBowl perso, agli infortuni e a quanto siete contenti in quel momento.

E quando domenica notte vedrete Ray Lewis o Randy Moss alzare il trofeo non cambiate canale, non andate a dormire.
Aspettate che esso vado nelle mani di Vonta Leach, non scelto da nessuno nel 2004, tagliato dai Packers e ripreso dai Saints prima di essere nuovamente tagliato. Poi conteso tra Houston Texans e New York Giants, ed infine approdato come uno dei migliori fullback della lega ai Ravens.
Oppure aspettate il turno di Frank Gore, che dopo la stagione da rookie fu operato ad entrambe le spalle, poi si ruppe una mano, l’anca e nonostante tutto ha portato la palla anche trenta volte a partita per otto anni tra i professionisti, aspettando che i suoi 49ers diventassero una squadra da titolo.

Le lacrime di Gore o di Leach vi diranno cosa vuol dire il SuperBowl, vi daranno le motivazioni per seguire questo grande sport, non i “servizi” dei nostri telegiornali generalisti.
In quelle lacrime ci sono le levatacce a 13 anni, gli allenamenti massacranti in estate per rimanere nel roster della squadra, i momenti bui in ospedale, tutte le sconfitte che si sono dovute mandare giù, tutti i sacrifici di una vita dedicata al football. Dietro agli assegni che un professionista dell’NFL riceve c’è anche tutto questo, tutta la voglia di raggiungere la partita delle partite.

Dario Alfredo Michielini
Dario Alfredo Michielini
È convinto la vita sia una brutta imitazione di una bella partita di football. Telecronista, editorialista, allenatore. Vive di passioni quindi probabilmente morirà in miseria. Gioca a golf con pessimi risultati; ma d'altra parte, chi può affermare il contrario?

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