Crisi calcio greco: tra spirito e bordelli

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Se Atene piange, Sparta non solo non ride, ma si dispera. Tradotto: se la crisi ha portato la piccola economia ellenica sull’orlo del baratro, lo stesso vale per il calcio degli dèi. Il “podosfairo” come lo conoscevamo non esiste più. Lo si nota sia negli spalti sempre meno gremiti, sia nelle presidenze che saltano. Lo si avverte nelle rose zeppe di giovanissimi, ma anche nella sempre maggiore carenza di aiuti alle società da parte della federazione. Questa è la causa della tragicomica scelta di alcune società dei campionati locali di cercare gli sponsor in bordelli e agenzie di pompe funebri. Si sa, la crisi colpisce sempre i più piccoli per primi.

Certo è che non risparmia nemmeno i grandi: lo conferma il calciomercato, che ha visto pochissimo contante, una moltitudine di tesseramenti di svincolati e, soprattutto, la tendenza di ogni società a ridimensionare il proprio monte ingaggi. Il calcio greco è mutato: niente più vecchie glorie in prepensionamento o promettenti sudamericani che vedevano nella penisola la rampa di lancio per il calcio che conta. Insomma, manca quella marcia in più che caratterizzava le grandi squadre vincenti di Grecia: una perfetta alchimia che vedeva i più talentuosi giovani primavera o provenienti dal mercato che, ai piedi della cattedra di giocatori di esperienza internazionale, apprendevano i trucchi del mestiere.

Ora i mentori sono da ricercare tra gli ex alumni. Come l’eroico capitano del derelitto AEK Panagiotis Lagos che, circondato da classe ’93/’94 di dubbio talento, deve tenere insieme una squadra stremata e afflitta, che non riceve il dovuto stipendio da inizio stagione. Il susseguirsi di notizie di un imminente accordo economico per versare almeno 2,5 milioni di euro nelle casse giallo-nere per la copertura immediata delle spese serve giusto a placare gli animi, non a ridare fiducia. L’AEK, suo malgrado, racchiude tutti gli effetti della crisi. Ecco perchè è il fanalino di coda della SuperLeague.

Tra crisi economica e politiche societarie poco lungimiranti (in primis, l’aver portato in squadra giocatori con pretese economiche di rilievo), sull’aquila dicefala incombeva l’ombra del fallimento. Qui entrava in gioco “o theòs” Thomas Mavros che, formando un gruppo d’azione di vecchie glorie della squadra ateniese, prendeva le redini del club cercando di traghettarlo verso acque più placide. La prima cosa da fare era tagliare le spese e, soprattutto, i contratti onerosi: Kafes, Gudjohnsen, Leonardo, Manolas e altri dai salari troppo pesanti per le vuote casse societarie lasciavano la capitale. A questo c’è da aggiungere il ritiro di due colonne dello spogliatoio: Traianos Dellas e Nikos Liberopoulos. Il mercato consisteva nel ritorno dai prestiti di tutti i giovani della cantera e la loro conseguente promozione in prima squadra. I modesti nuovi arrivi erano giocatori da Beta Ethniki o ragazzini di buone, ci si augurava, speranze.

Ricapitolando questa triste storia: crisi economica, che porta ad una crisi societaria poi risolta e a un ridimensionamento estremo della rosa; il risultato è una crisi tecnica enorme, accompagnata da una altrettanto incolmabile crisi di identità e di carisma. Questi sono i malanni di cui soffrono le squadre greche, chi più, chi meno. C’è solo da decidere quali e in che ordine. Purtroppo l’AEK li ha tutti.

Ma c’è una cosa che la crisi non può scalfire: lo spirito. Questo è figlio della storia, delle tradizioni. È ciò che i padri tramandano ai figli, ciò che caratterizza un gruppo. Ciò che “ce fa sentire uniti anche se nun ce conosciamo”, per dirla con Venditti. Tutto ciò non è intaccato: la magia che circonda ogni squadra, la passione con cui i tifosi si accalcano alle balaustre, la leggerezza dello sventolio delle bandiere, il rumore assordante dei petardi, il calore che i tifosi greci, come pochi altri, sanno offrire. I fortunati che hanno guardato il derby di Salonicco tra PAOK e Aris, oltre che uno spettacolo fantastico, hanno visto l’orgoglio di una comunità, l’amore incrollabile per due colori. I 21.000 del Toumbas sono l’antidoto per ogni difficoltà, una gioia per l’anima di tutti gli sportivi: il segno che finché lo spirito rimarrà intatto, nessuna crisi avrà la meglio.

Francesco Piacentini
Francesco Piacentini
Pavese classe '91, laureato in scienze politiche, per lui lo sport è uno specchio su cui si riflette la storia di un popolo. Stregato dal calcio inglese e greco, ama la politica, l'heavy metal e il whiskey.

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