Il calcio nella canzone italiana – prima parte
La storia degli incontri tra il mondo della canzone italiana e quello del calcio è lunga e costellata di note. Dalle voci ormai lontane nel tempo che allietavano i nostri nonni, fino agli autori ancora oggi popolari, passando per cantautori stagionali e fenomeni dell’underground, le convergenze tra musica leggera e citazioni calcistiche sono forse troppe per poter esaurire enciclopedicamente il tema, ma di seguito proveremo comunque ad offrire una rassegna, recuperando anche qualche curiosità.
Iniziamo allora dal lontano 1959, quando il Quartetto Cetra incide “Che centrattacco!”, brano swing recuperato recentemente anche in qualche jingle, che con leggerezza e divertimento racconta le imprese sognate di Spartaco, giovane atleta che immagina di diventare come il grande Levratto, figura già leggendaria all’epoca: “oh oh che centrattacco, oh oh oh oh tu sei un cerbiatto / sei meglio di Levratto, ogni tiro va nel sacco /oh oh oh che centrattacco”. Già, ma chi era Virgilio Felice Levratto? Attaccante genoano famosissimo ai tempi del calcio pioneristico, già in là negli anni per partecipare ai vittoriosi Mondiali del ’34, era dotato di un tiro così potente che in più di una circostanza sfondò letteralmente le reti delle porte avversarie. Ad un suo gol nei tempi di recupero si deve una delle vittorie più singolari agli occhi di chi sfogli oggi un Albo d’ Oro italiano: la vittoria del Vado in Coppa Italia, nel 1922, ai danni dell’Udinese.
Famigerato invece il brano inciso da Rita Pavone nel 1962 “La partita di pallone”, più volte ripreso anche dalle tifoserie per formulare vari coretti. E’ un brano semplice ed orecchiabile, che ci riporta a quando anche il mondo femminile scopriva il calcio e cerca di partecipare al rito sino ad allora squisitamente maschile, in un clima generale in cui le barriere di genere iniziavano a vacillare e la ricerca della parità dei diritti poteva esternarsi fino a vagheggiare l’ingresso in quel tempio della mascolinità che era lo stadio.
E che allo stadio ci entrassero sia uomini che donne, sebbene magari non solo in orario di partita, ce lo racconta una famosa canzone d’amore del Professor Roberto Vecchioni, quando nel 1971 incide “Luci a San Siro”, (Luci a San Siro di quella sera/ che c’è di strano siamo stati tutti là), racconto poetico di un amore giovanile consumato allo Stadio e rivissuto con nostalgia come un simbolo di tempi andati, mentre fuori tutto sta cambiando.
Quattro anni dopo, nel 1975 è il turno di un altro cantautore e di una citazione molto più diretta: Enzo Jannacci in “Vincenzina e la fabbrica” struggente canzone che narra il nuovo sacrificio della donna costretta dai tempi a lavorare sulle linee di produzione, vivendo la stessa alienazione dei propri colleghi. Jannacci affida il mood triste dell’operaio al commento sul Milan scambiato in una rapida pausa: “Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui / sto Rivera che ormai non mi segna più/ che tristezza, il padrone non c’ha neanche ‘sti problemi qua”.Quindici anni dopo, lo stesso Jannacci, presentando a Sanremo ’89 il pezzo “Se mo lo dicevi prima”, in cui racconta dell’uscita dalla tossicodipendenza del figlio, tornerà a citare il Milan, questa volta come simbolo della gioia (E allora sarà bello / quando vince il Milan) insita nelle piccole cose ritrovate che fan bella la vita.
Ma proseguiamo cronologicamente ed arriviamo nel 1976 ad una delle citazioni più belle, contenuta nel meraviglioso pezzo di Rino Gaetano “Mio fratello è figlio unico”. Canzone d’autore, molto pregna dello stile compositivo lirico e stralunato dell’autore in cui si racconta con accorata partecipazione vocale e musicale la storia di un uomo qualunque, di un lavoratore qualunque, figlio unico perché fratello di tutti ma solo con se stesso, emarginato con le proprie convinzioni nella quotidiana battaglia per la sopravvivenza in un mondo sempre più commerciale e sempre meno umano: “Mio fratello e’ figlio unico / perche’ e’ convinto che Chinaglia non puo’ passare al Frosinone”. E ne aveva ben ragione visto che Chinaglia all’epoca aveva abbandonato l’Italia per andare a giocare nei Cosmos di New York, con Pelè, Beckenbauer e Cruyff, in quello che fu il primo tentativo di lanciare il Soccer negli USA.
Ancora Rino Gaetano, questa volta nel trascinate e liberatorio “Nun te reggae cchiù”
del 1978, elenca le ridondanze che sovraffollano le capacità di sopportazione quotidiana e, come in un’eco di telecronaca, infila il verso “Dribbla Causio che passa a Tardelli Musella Antognoni Zaccarelli Gianni Brera Bearzot …”, laddove in molti si saranno chiesti, magari non orecchiando bene il brano oggi, chi diavolo fosse Musella. E allora diciamolo: Gaetano Musella, attaccante che fu di Napoli e Catanzaro, onesto talento non completamente sbocciato del calcio italiano, tra i protagonisti della stagione 1980-1981, quando il Napoli arrivò a giocarsi lo scudetto, perdendolo alle ultime giornate. Nello stesso brano, notare la citazione “Il numero 5 sta in panchina / s’è alzato male stamattina”, in cui si accenna ai vezzi dei calciatori, contrapposti ai doveri feriali inesorabili dei propri tifosi.
Si ritorna invece alle canzoni orecchiabili, rime facili e parole semplici, destinate a essere plasmate dai cori della domenica, con la famosissima “Squadra Grande”, popolare successo del 1979 di Tony Santagata.
Sicuramente meno popolare e conosciuto invece, fu Stefano Rosso, cantauore romano, ai più forse noto per lo stornello “Che bello, gli amici, la chitarra e lo spinello”, che nel 1980 canta un ritratto ironico dell’italiano, per l’appunto intitolato “L’Italiano” in cui rimanda alla disfatta epica subita dalla nazionale in Corea (Ma cosa guardi, cosa c’è di strano? / Chi sono dici? Beh, sono italiano / son stato il solo a perdere la mano / anzi, il pallone con il coreano) e si consola con il pallone (“ma la domenica problemi grossi / segna Giordano, segna Paolo Rossi”), citando due dei bomber più prolifici dell’epoca.
Decisamente più famosa invece, la canzone che Francesco De Gregori, in Titanic dell’82 dedica allo sport del calcio: “La leva calcistica del ‘68”. Ne riportiamo alcuni tra i versi più noti:
Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore / non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, / un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Chi sia Nino, fa parte dei tanti misteri intorno alle interpretazioni delle canzoni di De Gregori. C’è chi dice si tratti di Bruno Conti (per via del riferimento “Quest’altr’anno giocherà / con la maglia n. 7”), mentre molti altri rimandano ad Agostino Di Bartolomei, spingendosi fino ad identificare il campetto di pallone con quello dell’Oratorio S. Filippo Neri alla Garbatella, dove giocò il giovane “Ago” e in tempi più recenti Aleandro Rosi. Ma più probabilmente, Nino è un ragazzo come tanti, innamorato del pallone come tutti i dodicenni. Per la cronaca, facendo due conti, oggi Nino avrebbe 44 anni.
Per la seconda parte, appuntamento a mercoledì 12/9