Euro2012, il personaggio: Andriy Shevchenko

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Un personaggio al giorno, dentro o fuori dal campo di gioco, fino al 2 luglio: MondoPallone, durante tutti gli Europei, vi regalerà quotidianamente la biografia compressa di giocatori e non solo. Oggi è il turno di Andriy Shevchenko, attaccante dell’Ucraina.

Mi piacerebbe chiamarlo col nome traslitterato bene in italiano, cioè Andrij Ševčenko (per i feticisti: Андрій Шевченко), ma se lo facessi, sembrerebbe un giocatore diverso, così continuiamo a conoscerlo tramite la traslitterazione inglese. (E dire che gli Europei dovrebbero essere l’occasione giusta per risvegliare l’italianità.)

Comunque non è questo il punto. Il punto è che Shevchenko (scritto in qualsiasi maniera) è un calciatore abbastanza finito, sì. Uno che ha vinto tutto con il Milan, poi è andato in cerca del guiderdone e ha perso anche l’anima, senza combinare più nulla; mentre il Milan stesso attraversava alcune annate poco fortunate (diciamo così). Una di quelle cose che dimostrano come, se si divorzia, ci si rimette tutti e due. Per tacere del patetico tentativo di tornare insieme, tre anni fa. E ora sverna a casa sua, nella squadra che per prima l’ha lanciato, la Dinamo Kiev.

Però ho detto che si tratta di «un calciatore abbastanza finito»: e in quell’abbastanza ce n’è abbastanza almeno per una serata da favola sportiva. Quella di un’Ucraina che si fa superare da una Svezia che è composta da dieci giocatori che si affidano a Ibrahimović (e questo nome lo scrivo come mi pare). E tutti sappiamo che si tratta proprio dello zingaro svedese che ha riportato il Milan al successo. Ma è vera gloria?

Uno scudetto non si regala mai a nessuno, e quindi sì, è vera gloria; ma non è quella che Ibrahimović brama di più. Perché lo abbiamo visto cambiare casacca molto spesso, Zlatan, e sappiamo dagli organi di stampa che mira al Pallone d’Oro e ha bisogno di vincere la Champions per sperarci (perché se i giurati non sanno chi votare, Messi è sempre in cima). E misteriosamente riesce sempre a prendere il treno sbagliato (un esempio su tutti: via dall’Inter, e l’Inter fa tripletta).

Dicevamo: va in gol Ibrahimović, che del Milan è (sarebbe?) il presente. Poi il risveglio del passato: in soli sei minuti, una doppietta dell’«abbastanza finito» (auto-cit.) che si aggrappa con tenacia al suo abbastanza, sospinto da uno stadio veramente caloroso, e inizialmente (assist) da uno Jarmolenko (o Yarmolenko, o Ярмоленко) voglioso di farsi perdonare l’erroraccio che è costato lo svantaggio. Poi Konopljanka (sono stanco di scriverli tutti: fidatevi) batte un calcio d’angolo che a ISS Pro Evolution, ere geologiche fa, battevo sempre per la testa di Shevchenko. Con me aveva fatto gol cento volte, così. Magari, però, non lo faceva in faccia a Ibrahimović (che lo marcava e che nel finale regalerà un pallone d’oro a Elmander, gettato alle ortiche).

Ops, accidenti, ho scritto di nuovo pallone d’oro. Perché il Pallone d’Oro, quello vero e non quello figurato, un certo Shevchenko, che lo sognava fin da piccolo, lo custodisce in casa. Visto che a Milano si è fermato per sette stagioni, un tempo sufficiente a vincere una Champions League, nel 2003. E voglio vedere se a fine carriera Ibrahimović tornerà a giocare nel Malmö.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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