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Ranieri e Milito: il derby è questione di attitudine

Che fosse una partita fuori dal campionato, una sfida esulante dai canoni pragmatici, lo si è sempre saputo nonostante le dichiarazioni di rito volte a normalizzare una dimensione extracalcistica. Claudio Ranieri, spontaneamente uomo prima che tecnico, non si era nascosto dietro la consuetudine nella conferenza stampa del sabato, avallando la tesi sulla reale consistenza di un derby come del resto aveva già fatto a Torino e Roma.

Otto vittorie e un pareggio in nove stracittadine italiane, questo lo score del testaccino. Coincidenza fortunata o semplice conseguenza di un modo d’essere? Noi propendiamo per la seconda ipotesi: Ranieri esce trionfante dai derby perché, a differenza dei colleghi, concilia fermezza e sentimento. Dipenderà forse dalla sua romanità, da un passato da tifoso – giocatore e allenatore giallorosso, all’interno dell’ambiente più consono a garantire la comprensione del concetto derby. Certamente la sfida di Roma non ha nulla da spartire con le diverse lotte comunali della Penisola, a prescindere dall’uomo seduto in panchina la battaglia è totale, e perciò le quattro sconfitte inflitte alla Lazio risultano l’impresa meno ardua per uno che, tra le altre cose, viveva le stesse emozioni della gente. I derby il tecnico dell’Inter li ha persi all’estero: a Londra, dove però con nove squadre non esiste nessun orgoglio municipale, e a Madrid nella quale, per stessa ammissione dei calciatori, è roba poco sentita. Non è un caso che le ultime stracittadine vittoriose dei nerazzurri risalissero all’epoca di Josè Mourinho, anch’esso quasi nudo nei sentimenti e unico nel far breccia sull’uomo. Il Gentleman e lo Special One, personaggi agli antipodi eppure così simili.

E vogliamo parlare poi di Diego Milito? Il mattatore della Lanterna, il bomber che puniva con una facilità disarmante i tifosi della Samp e portava in cielo i genoani, da subito in feeling con le sfide della Madonnina. L’attaccante benvoluto da tutti, che soffre terribilmente senza il gol e sprizza brandelli di gioia pura nelle serate trionfali. Il primo nome, dopo Mourinho ovviamente, che balza alla mente sfogliando le pagine del Triplete, il giocatore in grado di identificarsi con un popolo e lasciare la scia più profonda. Non è fantasia: il derby è proprio questione di attitudine.

 

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