La puzza sotto il caso

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Se lo dice il Tg sarà vero: qui a Napoli noi puzziamo. Ci puzziamo di fame, abbiamo puzza sotto il naso, puzziamo di bruciato. Qui a fianco, al fetore, hanno dedicato un paese: Pozzuoli, dal latino Puteoli, che deve il nome non proprio lusinghiero, pur essendo cittadina bellissima, ai miasmi della Solfatara. Ma la vicenda del giornalista sospeso per avere dato la stura a dei tifosi juventini sui loro cori razzisti, come dire, mi puzza.

 

Il coro contro da stadio è sempre esistito, dai goliardici “Giulietta è ‘na zoccola” a tutti quelli immortalati dalla rubrica “Striscia lo striscione” del programma di Ricci. Alcuni pesantucci: “Forza Vesuvio”, o “Hitler, dopo gli ebrei anche i napoletani”, o “L’arena crollerà”, ma restavano all’interno dell’immaginifico. Diciamo che era anacronistico attribuire un ritorno del Fuhrer in chiave antipartenopea e gli eventi naturali sono, come dire, sordi ai richiami da stadio. Dunque potevano andare.

Poi si è entrati nel tragico, a partire dai fatti dell’Heyesel, con scantonamenti, questi si attualissimi, su razzismo vario, esemplificato dal classico “Buuu” contro i giocatori di colore. Per quanto squallido, il fenomeno poteva rimanere circoscritto alla categoria dell’esorcismo, o della autoraffigurazione in senso negativo che però, manifestando in modo esplicito il male – o il peggio – al tempo stesso lo neutralizzava. La curva è soprattutto un gioco di mistiche, da due soldi, ma è appunto la simulazione di una faziosità pressochè bellica e necessita di tinte fosche di maniera.

Da qualche tempo, tuttavia, il fenomeno è trasceso, tracimando nella cronaca. L’insieme è definito dai navigatori “Cori beceri” e, grazie al volano di internet e dei sempre più utili – sia letto con infinito sarcasmo – facebook e twitter, si gonfia su sé stesso. Ogni tanto da una curva parte un canto non più indirizzato alla squadra o la città avversa, ma che ironizza sui fatti di cronaca più truci: quotatissimi i casi Knox e Misseri, o Franzoni e il “volo” di Pessotto, che più si avvicina alla congerie calcistica.

I soliti ritornelli vengono riadattati con effetti del genere: “Se tu odi gli schiamazzi chiama Olindo e Rosa Bazzi”, che, per quanto estrema, comunque è una soluzione al problema dei vicini molesti . O “Non rompere il cruscotto, l’ha già fatto Pessotto” sulle note di “Para no verte mas” che citiamo solo perchè la vicenda si è conclusa bene. Altri alzano il tiro ma sfiorano vette di fantasia compositiva che, se da un verso è esecrabile, in assoluto (in senso quasi nietzschiano) sono indovinatissimi, come “Se sei Restivo tu lo sai batti le mani, Claps Claps”.

Il problema è quando si scantona verso l’indicibile, ad esempio le vicende Franzoni e Gambirasio che non osiamo neanche riportare per decenza. Sembra una gara al fuori luogo incapace di risparmiare anche i drammi peggiori. Ma pure una risposta scostumatissima, oltre il politcally uncorrect, all’invasività delle speculazioni mediatiche alla Vespa, quelle si da vespasiano. Un dato è netto: gli stadi raccolgono il peggio, ma non è da loro che questo peggio nasce. E con un sorriso, tra lo scanzonato e lo psicopatico, ce lo fanno notare.

Perciò tocca alle donne riscattarci, noi maschi pallonari, con la grazia della poesia di getto. Sta facendo il giro della rete questa nota di Giada Barbaro, giovane napoletana, che, dopo il fattaccio del Tgr piemontese, in barba al cognome ha buttato giù delle righe di pura nobiltà civile: “Io puzzo di lava, di tufo, di ortobotanico, di golfo e di isole, di mare e pure di cozze, di ragu’ e di dolci fatti in casa, di pizza, di almeno tre castelli, di solfatara, di canzoni cantate a squarcia gola nel traffico, di frutta e verdura non geneticamente modificata, di serate buttate in una piazza, di sporcizia e di disordine logico, di genuinita’, di caffe’, di una tradizione musicale, di sole, di scogli e pure di frittura, di bambini che giocano a pallone in mezzo alla strada, di ingiustizie, di precarieta’, di generosita’, di fiducia nel prossimo e di ingenuita’, di salite e discese, di vicoli, di chiese, di una città sotterranea, di panieri calati dai balconi, di pane quotidiano, di andate a tre sul motorino, di inventiva ed adattamento, della domenica, di allegria, di panni stesi ad asciugare fuori e non dentro una stanza…di bidet e di identita’: eppure è tutta questa puzza, e non solo, che da profumo alla mia vita”. Prendete e portate a casa, maschiacci.

Giovanni Chianelli
Giovanni Chianelli
Nasce a Napoli nel maggio '80. Ha fatto di tutto per evitare il giornalismo fallendo, ha collaborato per anni con Repubblica Napoli e Agoravox. Attualmente sbarca il lunario con l'editoria artistica.

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