Sportività a Nordsjælland

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Non è la prima volta che lo scrivo, che lo sport è anzitutto una questione di valori: e chiaramente non intendo quelli contabili. Ilvideo è cosa nota in queste ore, come una storia che si ripete di tanto in tanto: invece di restituire il pallone in nome della sportività, si va in gol o comunque si creano le condizioni per una rete.

Mi ricorda il nostro Francesco Mariani di un Atalanta-Milan di Coppa Italia nel 1989: formula come andava di moda ai tempi, con un gironcino a quattro nei quarti di finale (era successo anche nei Mondiali di Spagna); nell’ultima partita, l’Atalanta è condannata a vincere per passare il turno. Sul punteggio di 1-0 a due minuti dalla fine, Borgonovo a terra, gli orobici mandano fuori il pallone per consentire i soccorsi. Rimessa laterale: Rijkaard non restituisce il pallone, ma lo serve sui piedi di Massaro che lancia proprio Borgonovo, atterrato da Barcella: impossibile non fischiare il rigore — poi realizzato da Baresi (sbaglierà cinque anni dopo).

Dopo, il putiferio: Ramaccioni che dichiara che, arrivati a quel punto, sbagliare appositamente il rigore avrebbe comportato una probabile imputazione per illecito sportivo (in barba alla sportività della rimessa, si direbbe), Berlusconi che si scusa a nome della società, e il Milan che passa il turno. Giova dire: cui prodest?, nel senso che almeno il Milan aveva ricavato un vantaggio chiaro da tutta questa situazione. Ma possiamo pensare che lo Shaktar avesse da preoccuparsi del Nordsjælland? Un motivo in più per aprire un procedimento disciplinare (tanto più che il colpevole prima non si è pentito, poi ha pensato bene di ripensarci “spintaneamente”), nel senso che la sportività dovrebbe essere dimostrata anzitutto da chi è più forte, ha più mezzi ed è in una posizione di vantaggio potenziale.

Faccio solo un esempio di comportamento corretto, magari dovendo appositamente compiere una scorrettezza: è quello che fece Paolo Di Canio afferrando il pallone con le mani, per interrompere il gioco mentre Paul Gerrard, portiere dell’Everton, era a terra; e gioca ricordare che eravamo allo scadere di una partita il cui punteggio era fermo sull’uno pari. E poi mi piace citare il caso di Arsenal-Sheffield United, ottavi di finale della Coppa d’Inghilterra del 1999: Nwankwo Kanu, invece di restituire palla allo Sheffield, lancia Overmars che segna il gol partita. E Arsène Wenger, allenatore dei Gunners, chiede di rigiocare la partita: per la prima volta la FIFA concede, e l’Arsenal vince, stavolta correttamente. Chapeau.

Ultimo esempio, stavolta italiano: Giuseppe “Bepi” Pillon che, dopo che la sua squadra ha segnato un gol mentre un difensore avversario era a terra (e aveva lasciato che il pallone uscisse), ordina alla sua squadra, sul successivo calcio d’inizio, di rimanere ferma e lasciare che gli avversari segnino il gol del pareggio. A futura memoria:

Forse Pillon non sarà un grande allenatore, se è ancora senza squadra (viene da due esoneri, l’ultimo nel novembre 2011, dopo due soli mesi a Empoli); ma agendo d’istinto ha fatto la cosa giusta, ed è stato uomo di sport a tutto tondo. Forse non basterà, forse non sarà piaciuto ai tifosi ascolani (che persero quella partita per 3-1); a me basta e avanza per essere contento di avere pagato il biglietto.

In altre parole: parlando di sport, l’antisportività è quanto di peggio possa capitare. Il reato peggiore: sul rettangolo di gioco, nei bilanci, negli scontri mediatici, dappertutto. Non so voi, ma io voglio vedere lo sport, non una squadra che vince.

Pietro Luigi Borgia
Pietro Luigi Borgia
Cofondatore e vicedirettore, editorialista, nozionista, italianista, esperantista, europeista, relativista, intimista, illuminista, neolaburista, antirazzista, salutista – e, se volete, allungate voi la lista.

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