Un Napoli ancora adolescente

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Nuovo tecnico, nuove idee tattiche e diversa concezione del turnover, ma per il Napoli l’Europa resta il solito percorso da correre in costante salita. In parte per sfortuna e in parte per alcuni problemi già visti nelle prime uscite stagionali, le speranze di qualificazione dei partenopei calano sensibilmente già all’esordio. La prima in Champions League sulla panchina azzurra di Carlo Ancelotti, l’attesissimo uomo dal curriculum ricco di premi internazionali, doveva essere la gara dai tre punti obbligatori, a maggior ragione contro l’anello debole di uno dei gironi più complicati di questa edizione. E, invece, la trasferta di Belgrado si è trasformata in un frustrante e inutile assalto al muro della Stella Rossa, rimasto in piedi fino alla fine grazie a una prestazione di grande sacrificio (e con una buona dose di fortuna) dei suoi giocatori, acclamati come eroi dallo scatenato pubblico del Marakana e galvanizzati dal simbolico scambio di testimone avuto a inizio gara con i mitici vincitori della Coppa dei Campioni del 1991. Quasi delle divinità per i giocatori della squadra serba di oggi. E così, al fischio finale, ai campani non è rimasta altra scelta che battere ritirata, a testa bassa e con un bottino troppo misero rispetto a quanto era lecito attendersi alla vigilia.

Il primo segnale di cambiamento rispetto al passato Ancelotti lo manda al momento dell’annuncio delle formazioni. Addio al turnover totale e spregiudicato dell’era Sarri, spazio a una squadra potenzialmente titolare, con qualche cambio rispetto alla gara del week-end, ma senza mai finire per stravolgere la natura della squadra mescolando tra loro giocatori generalmente inutilizzati. L’ex Bayern e Real Madrid non ha mai condiviso l’idea di tracciare un solco così netto tra la squadra che gioca in Serie A e quella che va in campo in mezzo alla settimana, percorrendo in parallelo tutti gli obiettivi disponibili. E così, ecco di nuovo in campo dal 1′ Ospina, Albiol e Milik, oltre all’esordio di Fabian Ruiz in cabina di regia al posto di Hamšík. Ma anche così non c’è stato niente da fare, la prima in Europa resta maledetta per il Napoli: lo scorso anno arrivò la sconfitta contro lo Shakhtar Donetsk che preparò la clamorosa eliminazione alla fase a gironi, quest’anno un pareggio che sa solo di frustrazione e amarezza.

Il sapore amaro che rimane negli spogliatoi di Belgrado sembra quello che gli adolescenti provano nella fase in cui lentamente diventano adulti. Quando ci si allontana dall’identità del proprio passato, ma senza avere ancora piena coscienza di quello che sarà. E questo crea a volte frustrazione, a volte curiosità e voglia di crescere ancora. Questo Napoli, al momento, resta in evidente fase di evoluzione, senza una forma definita: non è più certamente la squadra dalle geometrie calcolate di Sarri e non è ancora il gruppo solido, pratico e vincente che vorrebbe Ancelotti. Ci vorrà pazienza, simile a quella che si è tentato di mantenere ieri sera per trovare il giusto corridoio per superare la difesa di una squadra nettamente inferiore sul piano del gioco dopo 90 minuti di dominio quasi totale.

Il Napoli deve ancora crescere e questo messaggio ci era già arrivato dopo la gara contro la Fiorentina. Il guizzo di Insigne, l’elemento decisivo mancato ieri sera, non poteva cancellare gli evidenti problemi di una manovra troppo lenta e macchinosa e di un attacco che lavora meglio in fase di sacrificio rispetto al proprio ruolo naturale, nonostante le tante soluzioni provate fin qui da Ancelotti. Servirà tempo, anche se gli impegni tra campionato ed Europa ora non concedono tregua. A maggior ragione in Champions League, perché il Liverpool si è imposto per 3-2 contro il PSG, in una gara spettacolare che ha confermato la momentanea supremazia degli uomini di Klopp, ma senza far uscire ridimensionati i parigini. La strada per questo Napoli adolescente comincia dunque subito in salita. Ma, in fondo, non è proprio da giovani che ci insegnano che gli errori ci formano di più preparandoci a diventare degli adulti migliori un domani?

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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