La Nazionale e l’impulso smisurato dei giudizi affrettati

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Durante l’estate era diventato un vero e proprio tormentone calcistico nazionale: “La Serie A, dopo l’acquisto di Cristiano Ronaldo, è sulla strada per tornare quella di una volta, tra i primi campionati al mondo”. Un uomo che sposta gli equilibri di un intero movimento, un calciatore straniero tra l’altro, ma poco importa adesso guardare al passaporto. Piuttosto è la ricerca continua di un singolo individuo da glorificare o buttare giù dalla torre, come responsabile in meglio o in peggio di un cambiamento, che si rivela un’inutile perdita di tempo. Vi ricordate, tra l’altro, come Bonucci dovesse spostare gli interi equilibri del Milan di Montella?

Nel belpaese abbiamo spesso una voglia smisurata di erigere templi e forche su cui rispettivamente adorare o condannare il responsabile di turno. Ma nella vita, così come nello sport, non c’è solo un fattore (o un singolo interprete) a determinare un cambiamento in meglio o una veloce caduta agli inferi. Eppure ogni volta cerchiamo, sgomitando sui social, al bar o in ufficio, di far valere la nostra idea sul chi sia il protagonista in positivo di una vittoria o il nome da crocifiggere in caso di sconfitta.

Ma dimentichiamo alcuni dogmi di questo sport, forse perché ci piace andare al di là di essi (peccato che siano dogmi e quindi non si possa ndr). Il calcio è uno sport di squadra e la squadra viene fatta in base alle disponibilità economiche di ciascuna società, un movimento calcistico dipende dai suoi dirigenti e dalle scelte progettuali della federazione, la Nazionale di ciascun paese è frutto di ciò che esprimano i settori giovanili e i giovani sono i figli di una società che passa loro i valori fondamentali. Andare alla ricerca di strani sotterfugi o dietrologie varie non aiuta, anzi ci fa allontanare da soluzioni più semplici da adottare. Quindi è inutile erigere statue di singoli (da buttare giù il giorno dopo) o recarsi alla rupe tarpea per spintonarci il malcapitato colpevole di turno, neanche fossimo l’inquisizione.

I risultati della Nazionale degli ultimi mesi confermano il trend negativo che ha portato alla mancata qualificazione ai Mondiali in Russia, ma lì il colpevole era Ventura, giusto? Il solo colpevole da mandare al patibolo. Così come guardando la rassegna mondiale abbiamo pensato che l’Italia avrebbe ben figurato, visto il livello espresso sul campo, ricordate? Contro la Polonia Jorginho il vero grande colpevole e Chiesa il salvatore della patria e oggi, dopo la sconfitta del Da Luz, la colpa è stata di Mancini che ha fatto esperimenti e cambi di modulo.

Se vogliamo ripartire davvero dobbiamo resettare tutto ciò, non è così che si esce da un momento di difficoltà. Le cause (e non i colpevoli) sono svariate, puntare il dito o portare in trionfo questo o quello non serve, non è mai servito e mai porterà benefici nel lungo periodo. Anzi, offusca la mente e ci rende poco lucidi nel capire che il problema non è la palla persa a centrocampo da quel calciatore o il gol divorato da quell’altro a determinare un fallimento di un intero movimento calcistico. È che a noi non basta centrare il focus, dobbiamo andare sempre oltre e, dopo esserci andati, ridurci a tirare somme effimere, legate ai singoli. Strano percorso che segue la nostra mente, da calciofili consumati ma con una limitata visione d’insieme.

E allora concentriamoci a valorizzare i nostri giovani, a farli giocare di più come avviene in altri campionati. Insegnamo ai ragazzi e alle nuove generazioni a non montarsi la testa a 17 anni, senza ancora aver fatto una presenza in Serie A. Facciamo capire loro che strappare un buon contratto o esordire in massima Serie non sia un punto d’arrivo, ma il vero e proprio inizio del tutto. Ci meravigliamo tanto del continuo attingere dei nostri club da campionati stranieri senza però soffermarci su un dato così ovvio quanto bistrattato: da quindici anni le nostre società arrancano finanziariamente al cospetto di altre realtà straniere ma continuiamo a sentir dire che i giovani italiani sono quelli che costano di più, i più difficili da acquistare e da mettere sotto contratto. Non è un enorme controsenso?

Ora lasciamo lavorare Mancini, aspettiamo che la Federazione affronti scelte coraggiose per dare un senso all’intero movimento delle Nazionali, dalle giovanili a quella maggiore. Perché il motivo per cui altre nazionali si trovino ora nell’Olimpo del calcio mondiale non è la fortuna di avere questo o quell’altro calciatore in rosa, ma perché un sistema ha permesso loro di farli crescere e maturare. E “costruire” un calciatore con tutti i crismi del campione è impresa ardua e lunga, tra il miglioramento tecnico e quello caratteriale, tra il non montarsi la testa e il sapersi risollevare da periodi bui. Campioni non si nasce, si diventa.

 

 

 

Vito Coppola
Vito Coppola
Telecronista e opinionista radio/TV, già a SportItalia e addetto stampa di diverse società. Non si vive di solo calcio: ciò che fa cultura è la fame di sapere, a saziarla il dinamismo del corpo e del verbo.

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