La Nazionale svizzera, tra percezione e realtà

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Giorni di riconoscimenti, per l’ASF (Associazione Svizzera di Football), nell’imminenza della partenza della UEFA Nations League, che vedrà il debutto dei rossocrociati in casa, al kybunpark di San Gallo, contro l’Islanda, l’8 settembre). Lunedì, infatti, è stato il giorno della consegna degli Swiss Football Awards per il 2018. A essere premiati, il portiere Yan Sommer come giocatore dell’anno tra gli uomini e Lara Dickenmann tra le donne. A seguire, Xherdan Shaqiri per la rete più importante della stagione (il 2:1 ai mondiali contro la Serbia). Allenatore dell’anno Vladimir Petković, mentre come “Rookie” è stato nominato l’ex YB Denis Zakaria. Menzione d’onore per il capitano Stephan Lichtsteiner.

Il premio Fair Play (con conseguente ammissione alla partecipazione alla Coppa svizzera, dove è stato eliminato dagli Azzurri Losanna) per il FC Erde, mentre il premio per il miglior arbitro è andato ad Adrien Jaccottet, promessa dei fischietti elvetici. Riconoscimenti anche allo Zurigo, per la vittoria in Coppa svizzera, e per il giocatore ticinese dei tigurini Antonio Marchesano, autore del secondo gol nella finale di Berna che, di fatto, chiuse l’incontro a favore della squadra biancoblù. Il premio Credit Suisse Cup Team of the Year, destinato alle squadre che si occupano della crescita dei giovanissimi, è andato, per le ragazze, allo United Team Herti ZG, e all’Allenwinden ZG per i ragazzi. Questo, per quanto riguarda la cronaca.

Per il resto, la Nati è alla disperata ricerca di tranquillità, dopo un periodo quanto meno travagliato. La sconfitta in Russia contro la Svezia, infatti, ha lasciato strascichi profondi nell’ambiente, che si sono sommati a polemiche, piccole e grandi, alcune esplicite (il celebre “Gesto dell’Aquila” nella partita contro la Serbia), altre sottaciute, ma esplose nel dopo Mondiali. Il “pensionamento” di Behrami, nelle scorse settimane, unito a quello di Gelson Fernandes, è stato un altro focolaio di discussione, soprattutto per i metodi usati da Vlado, attaccato in modo pesantissimo dal Blick. Nelle sale stampa svizzere, tra i colleghi reduci dalla Russia, girano diversi pareri sulla vicenda, che è apparsa, in ogni caso, sfuggita di mano ai vertici dell’ASF. 

Il dato di fatto sono, comunque, i risultati sul campo. I ticinesi, tifosi e addetti ai lavori, hanno un modo di commentare questo tipo di situazioni molto colorito ed esplicito (non riportabile per motivi intuibili), che noi riassumiamo con l’incapacità di cogliere una situazione favorevole, per mancanza di risorse nel momento decisivo. Ancora oggi, la sconfitta del 3 luglio a San Pietroburgo davanti ai Blågul resta un capitolo estremamente doloroso per gli appassionati d’oltre confine. La squadra scandinava, per quanto in buona forma e considerata temibile per i precedenti (che noi, nella Penisola, ben conosciamo), era senza dubbio un avversario alla portata per una compagine alla ricerca di una definitiva consacrazione.

L’esito degli ottavi, oltre alla delusione sportiva, ha rimesso in discussione tutto il processo di riposizionamento della nazionale svizzera nel ranking mondiale. Tra l’altro, a differenza di ciò che accadde in Francia, quando la Nati venne sconfitta dalla Polonia solo ai calci di rigore, e dopo una prestazione coraggiosa e di cuore, quella contro la Svezia è stata una resa, sul piano soprattutto del gioco e della testa. E questa è stata la cosa che tutta la stampa sportiva elvetica ha evidenziato: soprattutto perché, per diverso tempo, c’è stata la convinzione, in molti, che fosse la volta buona per fare davvero bene.

A questo punto, hanno avuto buon gioco i critici di Petković, che già avevano rumoreggiato dopo la secca sconfitta in Portogallo, nel girone di qualificazione, sconfitta che aveva costretto i rossocrociati allo spareggio contro la modesta Irlanda del Nord, superata con fatica con un gol (su rigore peraltro rivelatosi inesistente). In realtà, la squadra aveva avuto, sino alla sconfitta di Lisbona, un percorso netto, vincendo tutte le partite. Tuttavia, la modestia degli avversari incontrati era il cavallo di battaglia dei critici i quali, comunque, si riservavano di continuare la discussione coi sostenitori dopo la Russia.

Il resto, è storia nota, con la prestazione tutta cuore e muscoli nell’esordio contro il Brasile, quella emozionante e bellissima contro la Serbia, con la vittoria trovata nei minuti finali, grazie alla rete di Shaqiri, prima del deludente pareggio contro Costarica, maturato nel recupero, e della malinconica eliminazione a opera della Svezia, che ha dato il via a una serie di reazioni negative a catena, i cui effetti, sul campo, sono ancora tutti da verificare.

L’ambiente è stato scosso, soprattutto, da questioni che poco hanno a che vedere con il calcio, ma che da anni infiammano il dibattito in Svizzera: la presenza di giocatori dal doppio passaporto, e il loro attaccamento alla maglia rossocrociata. La questione nasce da lontano (pensiamo per esempio a Kubilay Türkyilmaz, passato nella Penisola a Bologna e Brescia, per anni capocannoniere della Nati), ma negli ultimi anni la polemica si è fatta caldissima. E il gesto dell’aquila fatto da Shaqiri e Xhaka nella partita contro la Serbia ha riacceso ancora un dibattito che sembrava sopito, dopo gli Europei francesi.

Sono infatti in molti, in Svizzera, a ritenere che i calciatori di seconda generazione, soprattutto quelli di origine balcanica, abbiano, nei confronti della rappresentativa nazionale del Paese adottivo, un rapporto di convenienza. Alcuni di loro (uno dei più celebri è Ivan Rakitić del Barcellona), pur essendo cittadini elvetici e cresciuti calcisticamente in Svizzera, hanno invece optato per la nazionale del Paese d’origine (in questo caso, come ben sappiamo, la Croazia). Il tutto, unito a un discorso molto più ampio su integrazione e immigrazione, che nulla ha a che vedere con lo sport, ha spinto molti a pensare che questi atleti, tutti di buon livello e militanti nei più importanti campionati continentali, non avessero lo spirito giusto per battersi con il massimo impegno in maglia rossocrociata.

E così, dopo i Mondiali in Russia, la presa di posizione di Alex Miescher, segretario dell’ASF, ha fatto parecchio discutere. In sostanza, il dirigente (ora dimissionario), in un’intervista al Tages Anzeiger, ha messo in discussione la presenza dei calciatori naturalizzati con doppio passaporto, dimenticando che si tratta di uno status riconosciuto dall’ordinamento elvetico. La questione è molto ampia, come dicevamo, in quanto il movimento calcistico svizzero ha formato (e continua a farlo) giocatori di origine estera, che potrebbero poi optare per la nazionale del Paese d’origine. Miescher chiedeva quindi di obbligare i calciatori con doppio passaporto, che avessero avuto accesso alle squadre giovanili nazionali svizzere, a rinunciare alla doppia cittadinanza. Ovviamente, una proposta irricevibile, che ha provocato una polemica tale da costringere il segretario alle dimissioni.

Sul campo, Vlado ha rinunciato ad alcuni totem del gruppo, come Behrami, Fernandes e Džemaili, “salvando” il solo Lichtsteiner, che sembrava anch’egli sacrificabile. Il problema è stato il metodo: Valon (peraltro incorso, dopo i Mondiali, in qualche infortunio mediatico) si è lamentato, sui media, di essere stato scaricato con una telefonata, senza un colloquio di persona. Petković è così stato messo nel mirino dai suoi detrattori: e una scelta lecita, dal punto di vista tecnico, seppure opinabile (come lo sono tutte quante) si è trasformata in un’arma in mano agli avversari i quali, soprattutto dalle colonne del Blick, lo hanno letteralmente massacrato.

Il tecnico, nel corso di una conferenza stampa, tenuta nei giorni passati a Ittigen, ha fatto il bilancio del mondiale e parlato del futuro (l’impegno elvetico in UEFA Nations League e nelle qualificazioni a EURO 2020). Vlado si è promosso, nonostante la mancata qualificazione ai quarti. Per il futuro ha detto (ASF): “Vogliamo fare di tutto per mantenere la Svizzera fra le migliori 12 in Europa. Voglio inserire nuovi elementi, e la porta sarà aperta a tutti coloro che saranno in grado di dimostrare di poter essere all’altezza.”

Nella medesima occasione, l’ASF ha voluto in parte correggere il tiro su quanto accaduto negli ultimi tempi, e in parte dare continuità. Da una parte si è infatti ammesso che le strutture della nazionale non hanno tenuto il passo dello sviluppo sportivo ed economico, che la comunicazione non è più al passo con i tempi, che l’attuale generazione dei giocatori della nazionale è diversa dalle precedenti (e non solo a causa dei mezzi di comunicazione a loro disposizione), nonché del fatto che i temi di politica sociale hanno condizionato pesantemente anche il mondo del calcio.

Il presidente Gilliéron, che porterà a termine il proprio mandato (e questo è l’aspetto di continuità) ha poi dichiarato (ASF): “L’ASF si trova in una buona posizione. Ma dobbiamo anche serenamente fare autocritica, ammettendo che ci siamo fatti sfuggire alcune questioni, e di questo mi assumo la responsabilità. Dobbiamo esaminare i temi sportivi e sociali citati, definendo i provvedimenti per una loro ottimizzazione”. Per farlo, l’ASF si affiderà a Bernhard Heusler, uomo che si occupa di analisi e comunicazione, che effettuerà un’indagine, i cui risultati verranno sottoposti alla dirigenza dell’ASF per le conseguenti determinazioni in merito.

Il nuovo corso è stato subito inaugurato dalle scuse di Xhaka, Shaqiri e Lichtsteiner per quanto accaduto in Russia nella partita contro la Serbia, in una conferenza stampa appositamente convocata. Queste, le parole: i fatti sono che dall’episodio sono trascorsi già dei mesi, con tutto ciò che ne è conseguito, e che vi abbiamo riassunto sopra. Tuttavia, è oggettiva anche la voglia di voltare pagina. Bisognerà vedere, su questa pagina, cosa verrà scritto.

Ora, finalmente, parlerà il campo. Questa “nuova” Svizzera è chiamata, soprattutto, a dimostrare che il processo di crescita continua. Complice un infortunio a Lang, è stato convocato Mbabu dello YB, uno dei migliori talenti della Super League svizzera, di recente protagonista anche nei preliminari di Champions. Con lui, il compagno di squadra Djibril Sow. Si va, insomma, verso un ringiovanimento della rosa: dopodiché, sarà il campo a emettere i suoi inappellabili verdetti.

 

Silvano Pulga
Silvano Pulga
Da bambino si innamorò del calcio vedendo giocare a San Siro Rivera e Prati. Milanese per nascita e necessità, sogna di vivere in Svezia, e nel frattempo sopporta una figlia tifosa del Bayern Monaco.

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