Svizzera, questa volta il bilancio complessivo è negativo

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La nazionale svizzera di calcio è rientrata oggi in patria con un volo da Samara. In questi giorni, stampa e addetti ai lavori si infervorano sui giudizi relativi al mondiale rossocrociato. Bicchiere mezzo pieno (una qualificazione ottenuta in un girone difficile, e senza perdere neppure una partita) o mezzo vuoto (prova contro Costa Rica molto modesta, e deludente ottavo di finale contro la Svezia)?

Diciamo, innanzitutto, che dobbiamo vedere la problematica sotto due diverse angolazioni. Esiste una Nati percepita, con una parte dell’ambiente che ha definito questa generazione di giocatori, bravi a qualificarsi con regolarità alle ultime grandi competizioni internazionali, come la migliore della storia del calcio svizzero. Poi c’è la Nati effettiva, che si ferma sempre prima di compiere il passo decisivo per entrare nel vero salotto buono del calcio, quello delle 8/10 migliori nazionali del Mondo. Accadde con l’Argentina, 4 anni fa, con la beffa di Di Maria al 118′, e con la Polonia agli europei del 2016. Questo, senza dimenticare la sconfitta in Portogallo durante le qualificazioni, dove sarebbe bastato non perdere per evitare gli spareggi.

I sostenitori della prima visione tirano fuori i numeri, che sono dalla loro parte: solo 2 sconfitte in 21 incontri ufficiali (amichevoli comprese). Chi, invece, sostiene la tesi di un gruppo tutto sommato di seconda fascia, entra nel merito delle partite, senza limitarsi alle statistiche. Noi, personalmente, facciamo parte (in buona compagnia, beninteso) del secondo partito.

L’allenatore, intanto. Vladimir Petković ha disertato la conferenza stampa finale, dov’erano invece presenti il capitano Lichtsteiner e il presidente Peter Gilliéron, che ha confermato la fiducia al tecnico. Un atteggiamento che non ha convinto tanti addetti ai lavori.

Noi, per esempio, eravamo rimasti perplessi non vedendo Vlado a Berna alla finale di Coppa svizzera. Non solo: i colleghi bernesi ci hanno detto di non averlo mai visto allo Stade de Suisse durante tutta la stagione, conclusasi con la vittoria in campionato dello YB, dove giocano diversi giocatori giovani, interessanti e con passaporto elvetico. Noi, a onor del vero, a Lugano l’abbiamo visto sovente (abita in Ticino): però, in effetti, i giocatori svizzeri giovani e con ambizioni da nazionale non militano nella compagine ticinese.

Ma questa Svizzera, è davvero la più forte della storia del calcio elvetico? Diciamo che l’odierna generazione di calciatori rossocrociati è buona, tanto che i 23 convocati militano, in maggior parte, nei migliori campionati continentali. Però a volte, si ha la sensazione che vengano sopravvalutati. Shaqiri è un buon giocatore, per esempio: ma, in Italia, è passato senza lasciare tracce evidenti, se non in polemiche postume. E con la sua squadra attuale, in Inghilterra, è retrocesso.

Si potrebbe anche sostenere che essere presenti con regolarità alle grandi competizioni internazionali, superando quasi sempre lo scoglio del girone eliminatorio, sia un ottimo risultato per un movimento calcistico come quello svizzero. Noi siamo dell’idea, dopo questo mondiale, che questo sia il livello attuale, anche se qualcuno era convinto di altro. Tuttavia, pensiamo che la Nati, in futuro, possa ambire a qualcosa di più. Esiste, dalla generazione dei Lichtsteiner e dei Behrami in poi, un movimento capace di creare uno zoccolo duro di buoni giocatori: il giovane Akanji, per esempio, è uno di loro, così come Embolo (sempre che maturi dal punto di vista della disciplina tattica).

Quello che è sempre mancato, a questo movimento, è il fuoriclasse: un Ibrahimović svizzero, insomma. E quello (come per esempio accaduto con il Portogallo) potrebbe aprire nuovi scenari. Ne abbiamo parlato tante volte, nei viaggi dal Ticino alla Svizzera interna, tra colleghi, dei motivi per i quali non sia ancora nato, in questo Paese, un giocatore in grado di scrivere delle pagine importanti di storia del calcio. Non è un problema legato al numero di abitanti (pensiamo alla Svezia, che vanta solo un milione di residenti in più, alla Croazia, al Portogallo), ma, forse, alla diversa mentalità.

Zeman, ai tempi del Lugano, lo aveva detto: “Vedo qualche ragazzo, in questo gruppo, che non ha una percezione abbastanza coraggiosa di cosa voglia dire essere un calciatore professionista. Qualcuno di loro pensa che la Super League svizzera sia un traguardo: no, lo era arrivarci quando hanno iniziato la stagione scorsa. Un ragazzo giovane che voglia fare il calciatore professionista deve avere fame, guardare oltre: ci sono la Germania, l’Inghilterra, l’Italia… Ho allenato Florenzi. Lui era acerbo, aveva tanti aspetti da migliorare. Finito l’allenamento, gli altri andavano a fare la doccia. Lui restava in campo, a lavorare da solo, per colmare le sue lacune tecniche. Questo è quello che intendo per fame.” 

Ecco, in Svizzera manca l’Ibrahimović che parli Schwizdütsch. Però, siamo dell’idea che arriverà: il movimento è sano, sviluppato a livello giovanile, con tanti osservatori e professionisti seri che insegnano calcio, e tanti ragazzi che praticano. Prima o poi, il giocatore con la giusta fame e il giusto talento capiterà nelle mani dell’allenatore ideale. Magari non si chiamerà Streller, Frei, Regazzoni o Reto; avrà il cognome che finisce in vić, o la pelle scura, cosa che ancora scandalizza qualcuno da queste parti (sempre meno, per fortuna). Però, anche Federer ha origini africane, ed è il più grande sportivo della storia elvetica: quindi, vedremo cosa riserverà il futuro al calcio svizzero.

Silvano Pulga
Silvano Pulga
Da bambino si innamorò del calcio vedendo giocare a San Siro Rivera e Prati. Milanese per nascita e necessità, sogna di vivere in Svezia, e nel frattempo sopporta una figlia tifosa del Bayern Monaco.

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