Conte, la maledizione Champions League e un futuro di ombre

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Con un secco 3-0 in favore del Barcellona, nell’inespugnabile Camp Nou, l’avventura europea di questa stagione del Chelsea è già arrivata al termine. Antonio Conte deve salutare la Champions League agli ottavi di finale e, stavolta, forse lo fa anche con più amaro in bocca rispetto alla clamorosa eliminazione della sua Juventus di quattro edizioni fa ai gironi. Se quella deludente “retrocessione” in Europa League fu figlia di tutta una serie di errori commessi e ripetuti dalla sua squadra per tutta la fase a gironi, in un’edizione cominciata male con il pareggio contro il Copenaghen e finita anche peggio con la sconfitta sul campo disastrato del Galatasaray, nelle due gare disputate contro i blaugrana si è avuta davvero l’impressione che i Blues potessero sognare il grande colpo. Ed ecco perché, ora, veder terminare in anticipo il sogno Champions fa ancora più male.

Conte ha in parte ragione quando dice che la differenza tra il Chelsea e i catalani l’hanno fatta la presenza tra i blaugrana di uno stratosferico Messi, decisivo in tutte le reti segnate dalla squadra di Valverde (tre reti e un assist), e la tanta sfortuna dei Blues, con quattro legni colpiti tra andata e ritorno e i salvataggi all’ultimo istante dei difensori blaugrana. Ma non solo: la superiorità del Barcellona è emersa dalla sua capacità di soffrire per poi colpire, senza alcuna pietà, al momento giusto, davanti a un errore in fase d’impostazione a centrocampo degli avversari o un intervento rivedibile del portiere. Un cinismo puro oggi indispensabile per vincere in campionato e in Europa e che il Chelsea di quest’anno si è dimenticato di portarsi dietro dalla scorsa stagione. La Champions League, insomma, si è rivelata ancora una volta la competizione maledetta di Conte, che può ricevere solo l’onore delle armi per aver mostrato un bel gioco davanti a una delle squadre più forti d’Europa, facendola anche soffrire a lungo, ma senza ottenere una qualificazione che avrebbe spento diverse critiche emerse in questi mesi.

L‘ex ct azzurro ora è costretto a tornare a guardare in Inghilterra, dove le cose non stanno andando certo meglio. Nella memoria dei tifosi pesa ancora parecchio l’eliminazione dalla League Cup per mano di un Arsenal certo non irresistibile, mentre in campionato i Blues sono quinti in classifica a meno quattro punti dal Liverpool, ma con almeno un paio di marce in meno rispetto alle proprie avversarie. Certo, ci sarebbe ancora l’affascinante FA Cup su cui puntare, con i londinesi arrivati ai quarti di finale, ma l’impressione generale è che la strada del matrimonio tra Conte e la società di Abramovich sia già segnata.

Le insicurezze sul futuro del tecnico rischiano costantemente di minare l’atmosfera dello spogliatoio, il mercato ha scontentato tutti tra cessioni che hanno fatto tanto rumore (Matić e Diego Costa su tutti) e acquisti costosi, ma finora poco convincenti. E, appunto, i risultati sono stati finora al di sotto delle tante aspettative create lo scorso anno con il dominio della Premier League. Lavorare nella parte blu di Londra, con una società che gira attorno agli umori e alla disponibilità di denaro di Abramovich, è ormai complicato, soprattutto per chi si presenta con progetti a lungo termine: negli ultimi 10 anni, solo Mourinho è andato oltre le due stagioni in carica (venendo però esonerato nemmeno a metà della terza).

Conte, probabilmente, non farà eccezione e a fine anno le parti dovrebbero firmare il divorzio, salvo ribaltoni clamorosi. Serviva il miracolo in Champions e il miracolo non è arrivato, sebbene questo Chelsea ci esca a testa alta come poche altre squadre sarebbero riuscite a fare. Luis Enrique bussa alla porta da tempo, qualche tifoso sogna il ritorno di Ancelotti. Mentre Conte, nel tentativo di onorare fino alla fine il suo lavoro a Stamford Bridge, comincia già a scrutare l’orizzonte, sempre più lontano da Londra.

Francesco Moria
Francesco Moria
Nato a Monza nel '95, ha tre grandi passioni: Mark Knopfler, la letteratura e il calcio inglese. Sogna di diventare giornalista d'inchiesta, andando a studiare il complesso rapporto tra calcio e politica.

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