È sempre difficile essere profeta in patria

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Alla fine, l’esonero è arrivato. Gigi Delneri non è più l’allenatore dell’Udinese e lascia la squadra al quattordicesimo posto in classifica, a soli 3 punti dal terzultimo posto. Pesano come un macigno le 8 sconfitte in 12 giornate, sicuramente troppe per una squadra che mira a una salvezza tranquilla. A poco più di un anno dal suo insediamento in bianconero, Delneri saluta il popolo bianconero: in 43 gare complessive di campionato sotto la sua direzione tecnica, l’Udinese ha conquistato 14 vittorie e 8 pareggi, subendo 21 sconfitte. L’anno scorso, sotto la sua gestione, la squadra ha conquistato 38 punti in 31 partite, una media da 46 punti in campionato; quest’anno la media è calata e, in proiezione, l’Udinese terminerebbe il campionato a 35 punti: livello d’allarme, dunque, dato che l’anno scorso l’Empoli terzultimo ne ha totalizzati 32.

Il rendimento in campionato della squadra friulana stride e molto con le ambizioni societarie: non più tardi di 2 anni fa il patron Pozzo aveva dichiarato di non voler più iniziare il campionato parlando di salvezza. Dopo più di 20 anni consecutivi in Serie A, l’obiettivo dichiarato dalla dirigenza era di entrare a far parte di quel gruppo di squadre che, ogni anno, occupa i primi 6-7 posti della classifica. Il problema principale è che a non essere per niente in linea con questo obiettivo, in questi ultimi anni, è la rosa dell’Udinese. Negli ultimi due anni di tecnici ne sono passati molti, troppi: finiti i tempi di Guidolin, con Massimo Oddo in poco più di 2 anni l’Udinese è già al sesto allenatore.

I cambi continui in panchina non sono una novità nella gestione Pozzo: negli ultimi due decenni i bianconeri hanno vissuto tre grandi cicli, nei quali hanno raggiunto risultati inimmaginabili: il primo fu con Zaccheroni, all’Udinese dal 1995 al 1998, culminato con il terzo posto in classifica della stagione 1997-1998 e la prestigiosa doppia sfida con l’Ajax ai sedicesimi di Coppa Uefa nella stessa stagione; il secondo fu con Spalletti, in carica dal 2002 al 2005, capace di ottenere in sequenza un sesto, un settimo e un quarto posto (quest’ultimo valse la prima qualificazione in Champions League della storia dei friulani, che ai gironi incontrarono niente meno che il Barcellona); il terzo ciclo fu quello di Guidolin, dal 2010 al 2014, impreziosito da un quarto, un terzo e un quinto posto: le eliminazioni ai preliminari di Champions League contro Arsenal e Sporting Braga non permisero di dare l’adeguato risalto a delle vere e proprie imprese sportive. In mezzo a questi tre cicli ci sono stati 12 cambi in panchina: la speranza per il popolo friulano è di aver terminato il solito periodo di intermezzo e di trovare il nuovo condottiero per raggiungere nuovamente grossi traguardi.

Il problema, però, lo abbiamo già sottolineato: la rosa non è in linea con gli obiettivi societari. La squadra ha una qualità media bassa e non si trova in acque più torbide grazie solo alla pochezza di chi le sta dietro in classifica. Sono anni, ormai, che l’Udinese non è più la fucina di talenti che permetteva al proprio presidente di ottenere plusvalenze stratosferiche. Sono pochi i giocatori appetibili dal mercato (Jankto sembra essere l’unico nome di spessore): anche i vari Fofana, Widmer e Samir non stanno rispettando le attese. Le scelte di mercato non hanno favorito Delneri: via Théréau (su indicazione, va detto, dello stesso allenatore), l’Udinese ha ripiegato su Maxi López, attaccante che non garantisce la doppia cifra.

Delneri paga per gli errori di tutti, come spesso accade. Il tecnico di Aquileia si era inserito in punta di piedi e si era fatto apprezzare per la sua genuinità: si è fatto voler bene dal popolo friulano anche grazie al suo attaccamento alla maglia e al territorio; lui, nato ad Aquileia, si è preso le simpatie di tutti anche grazie alle frequenti battute in dialetto elargite nelle varie conferenze stampa (il suo “andiamo a sgarfare” è diventato addirittura un tormentone virale). La maggior parte della tifoseria è schierata con lui, conscia del fatto che se i giocatori avessero avuto anche metà del suo attaccamento alla maglia i risultati sarebbero stati diversi.

La palla passa ora nelle mani di Massimo Oddo, profilo giovane e promettente, un volto carismatico con un recente passato da calciatore a ottimi livelli. Il primo tentativo di Pozzo con un allenatore giovane, Stramaccioni, era naufragato malamente. Dopo aver bruciato in successione i più esperti Colantuono, De Canio, Iachini e Delneri, l’Udinese prova a dare nuovamente una ventata di freschezza con Oddo, capace di ottenere una promozione in Serie A con il Pescara ma incapace di vincere anche solo una partita nella massima categoria sempre alla guida dai marchigiani (esperienza culminata con l’esonero dopo 24 giornate). La missione di Oddo è quella di dare un gioco, una struttura a questa squadra: probabilmente punterà sul 4-3-2-1, con Lasagna e De Paul (tra i migliori della rosa) che agiranno sulla trequarti alle spalle della punta.

L’importante, per Oddo, sarà raggiungere una salvezza tranquilla e far giocare bene la squadra. Se la società, poi, sarà in grado di scovare i nuovi Amoroso, Benatia, Sánchez e Allan, allora si che si potrà veramente alzare l’asticella.

Stefano Tomat
Stefano Tomat
Nasce nel 1987 a Udine, gioca a calcio da quando ha 6 anni. Laureato in Relazioni Pubbliche e Comunicazione Integrata per le Imprese e le Organizzazioni.

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